Patrizia Mancini
8 febbraio 2012 ore 16: Chokri Belaid è stato sepolto nel cimitero di Djallez, nella zona dedicata ai martiri della nazione tunisina. Hamma Hammami, leader del Fronte Popolare, ha reso l’ultimo omaggio al suo compagno di lotta, a nome delle centinaia di migliaia di persone accorse alle esequie da ogni parte del paese. Un discorso toccante, ma al tempo stesso militante. “Non faremo marcia indietro, ma la Tunisia dovrà rimanere unita come tu volevi! Chokri, continueremo la lotta nel tuo nome”.
Il corteo funebre era partito verso le 12.30 dalla casa della Cultura di Djbel Jelloud, nell’immediata periferia sud di Tunisi. Essendo un funerale di Stato, l’esercito ha scortato la salma e accompagnato l’enorme sfilata fino a destinazione, ma nessun membro del governo vi ha partecipato. Nel villaggio della famiglia di Belaid tutti sono in strada: donne, vecchi, bambini e disabili, ai lati della strada, hanno salutato per l’ultima volta il loro concittadino. Vecchiette velate si sono mescolate in mezzo in mezzo ai giovani con le magliette del Che Guevara o con la kefiah palestinese. Al vento le bandiere del Fronte Popolare e centinaia, migliaia di foto del leader assassinato La sensazione benefica è che il popolo tunisino si stia nuovamente unendo, al di là delle differenze di ceto e di opinione, come durante le rivolte popolari che hanno cacciato Ben Alì. Il tempo è impazzito, folate di vento e pioggia sferzante si alternano a sprazzi di sole, camminiamo incuranti nel fango e nelle pozzanghere, incontriamo amici e compagni e ci si abbraccia piangendo per il dolore e per la rabbia. Nejiba, un’amica sindacalista dell’UGTT, gli occhi rossi, non cessa di gridare: “Ghannouchi assassino”. Una donna con l’hijab mi sorride, mi prende la mano e mi trascina di corsa davanti al corteo in uno spezzone femminile che lancia il tradizionale youyou, un saluto d’addio gioioso per Chokri. Su un automezzo dell’esercito montano decine di ragazzi, il militare alla guida dell’automezzo sorride e questa immagine mi ricorda immediatamente Lisbona nel 1975. Al termine della marcia il fiume di persone si sparpaglia fra il bianco delle tombe abbarbicate sulle collinette di Djallez, ognuno cerca la sua strada verso il luogo della sepoltura, ma è impossibile per noi arrivarci. Un’ora più tardi all’avenue Bourghiba, in attesa che i partecipanti al corteo funebre arrivino. La presenza imponente della polizia non va presagire nulla di buono. Il viale è deserto, chiuso al traffico e nelle vie adiacenti nessun taxi e rarissime automobili. Tutti i negozi chiusi e la vetrina scheggiata della libreria “Al Kitab” (nelle ore precedenti ci sono state scaramucce fra giovani del Fronte Popolare e polizia) L’aria è tesissima. Il corteo non arriverà mai, probabilmente per ragioni di sicurezza, poiché nel frattempo gruppi di casseurs intorno al cimitero saccheggiano e appiccano il fuoco alle auto parcheggiate. Parcheggiate da chi sta partecipando al funerale, quindi si può tranquillamente affermare che non si tratta di giovani manifestanti infuriati, bensì di semplici delinquenti. Il pericolo di una grossa provocazione è effettivamente tangibile. Ripercorrendo in senso inverso il percorso della mattina, di là dalla cinta del cimitero vediamo alzarsi colonne di fumo nero. E dopo un paio di chilometri, raggiunto un gruppo ben nutrito di sindacalisti e avvocati, ci rendiamo conto di come sia cambiato il clima. A sinistra, al bordo della ferrovia, un giovane con una scimitarra, a destra ragazzi con bastoni e poi più avanti adolescenti che stanno scassinando le auto. Mi dicono che sembra essere tornati al periodo post 14 gennaio 2011, quando le milizie di Ben Alì seminavano il terrore nei quartieri. Chi sono questi giovani? Piccoli criminali o provocatori? Con estremo sollievo assieme ai compagni raggiungiamo la nostra auto e ci allontaniamo da quel villaggio. Tuttavia, neppure questa esperienza negativa potrà cancellare la giornata di oggi che, pur nel lutto e nel dolore, potrebbe dare nuovo slancio alle istanze rivoluzionarie.
Alle venti in televisione il primo ministro Hamadi Jebali ribadirà la sua decisione di effettuare un rimpasto governativo, in contrasto aperto con il suo partito, Ennahdha. Nel nuovo governo entreranno alcuni ministri indipendenti dai partiti: le loro competenze, a suo parere, potranno aiutare il paese a uscire dalla grave crisi in cui è piombato nell’ultimo periodo. Basterà un semplice rimescolamento delle carte a migliorare la situazione o non sarà necessario invece finalmente prestare ascolto alle istanze di quella parte della popolazione che era in piazza a cacciare Ben Alì e definire con coraggio un nuovo modello economico e sociale?
Quel modello per cui ha lottato il compagno Chokri Belaid.
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