Patrizia Mancini
Le elezioni per l’assemblea costituente in Tunisia si terranno il 23 ottobre 2011. Al momento Ennahda sembra essere favorito, anche se appare ridimensionato in confronto alle stime di qualche mese fa.
A luglio, secondo un sondaggio dell’Istituto 3C Études il 67% dei tunisini sarebbe incerto su quale partito votare, mentre del 33% che dichiara la propria intenzione di voto, il 14% voterà Ennahda.
Questo partito è molto radicato nelle parti povere del paese, dove compie molte opere di beneficienza. É l’unico partito seriamente strutturato. Ha aperto moltissime sedi in tutta la Tunisia, grazie anche a probabili finanziamenti provenienti dagli Stati del Golfo. Ennahda, insieme a un altro partito che riceve finanziamenti non chiari dall’estero (PDP), non ha accettato la modifica proposta dall’Haute Instance che avrebbe voluto vietarli. Eppure i suoi leaders sostengono che i loro proventi provengano esclusivamente dalle quote di adesione degli iscritti.
L’Islam politico tunisino è sempre stato il più aperto alla discussione teorica. Ennahda nasce intorno al 1969-1970 dall’incontro di tre uomini: Rached Ghannouchi, tornato nel suo paese dalla Siria dove aveva svolto i suoi studi di filosofia e si era avvicinato al movimento dei Fratelli Musulmani.
Hmida Enneifer, di ritorno da Parigi dove aveva studiato letteratura araba, anch’egli molto vicino ai Fratelli Musulmani, e infine Abdelfattah Mourou, detto “lo sceicco”, avvocato, uno dei pochi, se non l’unico, giovane predicatore formato al Sadiki Collége, ma molto vicino a quello che rimaneva degli sceicchi della Zeitouna (università musulmana).
La svolta decisiva verso l’islam politico avvenne alla fine degli anni ’70, anche a seguito della rivoluzione iraniana.
Habib Bourghiba perseguitò ferocemente l’MTI (Movimento per la tendenza islamica), iniziale denominazione del partito, i cui militanti subirono durissime condanne al carcere. Graziati nel 1984, arrivarono ad avere una larga base sociale nelle zone disagiate della Tunisia, dove facevano opere di beneficenza e creavano comitati di quartiere.
Salutarono con gioia il colpo di stato del generale Zine el-Abidine Ben Alì che spodestava il loro grande persecutore. Ma il flirt fra il nuovo dittatore che, a differenza del suo predecessore, aveva ostentato inizialmente un grande attaccamento ai valori della religione, e Rached Gannouchi, era destinato a breve durata.
Nel 1988 venne firmato il Patto Nazionale che permetteva all’MTI di partecipare alla vita politica del paese, però l’anno successivo la denominazione del movimento venne cambiata in Ennahda (Rinascimento) in modo da rispettare il nuovo Codice Elettorale che vietava ogni riferimento religioso nei nomi dei partiti.
In questo modo gli islamici parteciparono alle elezioni dell’aprile 1989 in liste “indipendenti”, ottenendo ufficialmente il 13%, mentre si dice che la percentuale effettiva fosse del 30%.
A quel punto, Ben Alì comprese di aver commesso un errore e iniziarono retate e persecuzioni, mentre Ennahda, sulla scia dello sdegno popolare per la prima invasione dell’Iraq da parte degli USA, portava in piazza migliaia di persone. Ma la sconfitta di Saddam Hussein del 1991 permise a Ben Alì di usare il pugno duro imprigionando i militanti islamici e costringendo all’esilio Gannouchi e altri leaders.
Nel febbraio dello stesso anno ci fu l’attentato alla sede dell’ RCD (il partito del dittatore Ben Alì) di Bab Souika a Tunisi in cui fu dato fuoco ai due guardiani di cui uno morì a seguito delle ustioni dopo 15 giorni. Ennahda fino a pochissimo tempo fa ha negato di essere coinvolta in quella aggressione e solo recentemente Gannouchi ha ammesso che alcuni giovani militanti, disorientati dall’assenza dei quadri dirigenti e infuriati a causa della repressione cui erano soggetti, presero l’iniziativa .
Gannouchi tornerà dalla Gran Bretagna (dove aveva ottenuto asilo politico nel 1992) in Tunisia solo all’indomani della rivolta del 14 gennaio 2011, grazie all’amnistia per tutti i detenuti per reati d’opinione e poco dopo il partito Ennahda verrà legalizzato.
Va detto chiaramente che Ennahda o altri movimenti islamici non hanno avuto alcun ruolo nella rivoluzione tunisina fra dicembre 2010 e gennaio 2011, nessuno slogan inneggiante all’Islam è stato udito nelle manifestazioni: probabilmente i simpatizzanti hanno preferito pragmaticamente osservare silenti, in attesa degli eventi.
Il riferimento principe di questo movimento è il motto di Sayed Kotb, grande teorico egiziano dei Fratelli Musulmani - il più antico gruppo islamico al mondo, fondato nel 1928 in Egitto da un insegnante, Hassan El-Banna: “l’Islam è un modello di vita che non si può realizzare se non con la creazione di uno stato islamico”. Già questo naturalmente appare in contraddizione con le aspettative messe in moto dalla rivoluzione dei giovani per la libertà, la dignità e il rispetto dei diritti umani. Già nel 1984 il movimento aveva scioccato la società tunisina, abituata alla convivenza pacifica fra diversi stili di vita: usciti di fresco dalle prigioni di Bourghiba, Mourou e Gannouchi organizzarono una conferenza stampa nel corso della quale dichiararono che il Codice dello statuto personale emanato da Bourghiba non era sacro e che di conseguenza poteva essere modificato.
Il suddetto statuto, il più avanzato nei paesi a maggioranza musulmana, entrò in vigore nel 1957 e abolì la poligamia, limitò l’endogamia, regolamentò il matrimonio in base al mutuo consenso dei coniugi e vietò il divorzio per ripudio da parte del marito, prevedendone la regolamentazione esclusivamente tramite le procedure giudiziarie. Una delle prime dichiarazioni di Gannouchi al suo rientro dall’esilio riguardava proprio la non volontà di Ennahda di modificare lo statuto.
Viene da chiedersi: se nel 1988 Ennahda ebbe il coraggio di non aderire preliminarmente al Codice, il che permise a Ben Alì di rifiutare il riconoscimento del partito, cosa impedirebbe a questo stesso partito di modificarlo, una volta al potere?
L’ideologia di fondo è ancora talmente ancorata ad una lettura letterale del Corano da impedire una vera tendenza democratica degli islamici tunisini? Sono domande a cui ancora Ennahda non ha dato finora risposte univoche e chiarificatrici.
Infatti, vi sono molti che affermano che Ennadha faccia un discorso doppio: democratico all’esterno e integralista al suo interno e che in realtà il punto di arrivo sarà l’applicazione della chariaâ. E di fatto si possono rilevare innumerevoli contraddizioni: se ascoltiamo i discorsi ufficiali di Gannouchi, ci si può sentire tranquillizzati da quest’uomo calmo e benevolo che dice di ispirarsi all’esperienza turca, mentre la stessa tranquillità non ci ispirano i raduni di Ennadha dove, per citare solo un esempio, il rapper Psycho-M, nelle sue canzoni, incita all’odio contro i non credenti e ad aggredire fisicamente il regista (di sinistra) Nouri Bouzid.
Nello statuto del partito non viene mai citata la chariaâ, ma si afferma testualmente che “il partito opera nel quadro del diritto e del regime repubblicano” ma che attinge il suo approccio “dai valori eterni dell’Islam”. Il che, a seconda delle interpretazioni, può significare tutto e il contrario di tutto.
Il segretario generale del movimento Hamadi Jebali ha trovato uno stratagemma per sedurre i militanti: oggi la chariaâ significa democrazia, libertà e giustizia, quanto all’applicazioni delle leggi divine (che regolano quindi anche le punizioni corporali), bisognerà attendere che la società venga ripulita dall’ingiustizia per poterle applicare.
Alla fine di giugno il giornalista dell'”Huffington Post”Muqtedar Khan nel corso di una conferenza organizzata dal Center for the Study of Islam and Democracy chiese a Gannouchi che tipo di costituzione volesse Ennahda e se il partito, nel caso avesse ottenuto una quantità importante di seggi, fosse pronto a difendere i diritti di quanti non avessero votato per loro.
Il giornalista inoltre invitava Ennahda a pubblicare il loro progetto di Costituzione prima delle elezioni in modo da poter smentire le dichiarazioni allarmistiche dell’”estremismo laico”. La deludente, vaga e, aggiungerei, preoccupante risposta del leader al quesito è stata la seguente: “Ennahda non andrà alle urne senza programma, ci sono 150 docenti universitari che ci stanno lavorando”. Nessun accenno ad un eventuale impegno per la difesa dei diritti degli avversari. Bisogna obiettivamente riconoscere che ad oggi (agosto) nessun partito, a due mesi dalle elezioni della Costituente, ha definito in modo chiaro i contenuti del proprio progetto di Costituzione, ma ciò non ci toglie il dubbio su che cosa gli islamici intendano per diritti civili, dal momento che la risposte ambigue dei loro leaders si vanno moltiplicando.
“Rached Ghannouchi non smette di evocare il modello turco, Abdelfattah Mourou, co-fondatore di Ennahdha, compara l’orientamento politico del movimento islamico in Tunisia a quello della democrazia cristiana. Noureddine Bhiri accetta l’esistenza di vicinanze intellettuali e concettuali con Hamas e i fratelli musulmani. Un intreccio di concetti, un labirinto di percorsi politici” (Walid Jafar su “Kapitalis, 28 giugno 2011).
Ma a che cosa può portare un tale contradditorio miscuglio di riferimenti all’interno di Ennadha? E il discorso doppio di Ennahda a cosa serve? Come affermano molti suoi oppositori, Ennahda si finge democratico per poter prendere il potere e instaurare un califfato? Senza arrivare a questo, possiamo però ipotizzare che sia uno strumento rivolto all’esterno, ma anche all’interno del partito, per mantenere una unità di facciata che è lungi dall’essere reale.
All’interno di Ennahda convivono anime diverse che rappresentano sia le posizioni genuinamente democratiche che le più intransigenti e conservatrici, fra cui una base giovanile cresciuta con le trasmissioni satellitari delle TV islamiche dei paesi del Golfo che è pronta a combattere per il ritorno ad una presunta purezza dell’Islam. La maggior parte dei dirigenti non può fare apertamente il discorso integralista che è alle origini del movimento, non perché abbia rinunciato al proprio credo, ma perché si trova in una via di mezzo molto difficile, tra l’attaccamento ai valori indicati dallachariaâ che porterebbe all’allontanamento della parte più moderata anche all’interno del partito stesso e il superamento della stessa che comporterebbe il distacco della parte più ideologizzata dei militanti e di certe parti della popolazione. Ma quanto potrà durare questa unità di facciata?
Già si sa di defezioni di alcuni ideologi democratici. Alcuni mi dicono che non è peculiare di Ennahda fare un discorso doppio, che praticamente ogni partito può dire delle cose e nella pratica agire diversamente. A questi rispondo agevolmente: se ad esempio dovesse andare al potere un partito liberista e/o liberale, potrei contrastarlo scendendo in piazza e smascherandone le bugie e le false promesse. Ma se Ennahda andasse al potere, chi mi garantisce che non mi impedirebbe con la forza di esprimere le mie opinioni? A tutt’oggi è questa la paura che Gannouchi e gli altri dirigenti non sono riusciti a togliere dal cuore di molti tunisini, e neanche dal mio.
A fronte anche delle esperienze algerine e iraniane.
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