Patrizia Mancini
In quasi tutti i paesi musulmani non solo l’omosessualità è considerata un peccato, ma viene persino punita dalla legge. In Iran, Arabia Saudita, Mauritania, Sudan e Yemen viene applicata la pena di morte, secondo l’interpretazione più tradizionalista e conservatrice di alcuni versetti del Corano e di hadith del Profeta. Solo in Libano è in corso un processo per depenalizzare il reato.
In Tunisia per l’atto di sodomia fra adulti consenzienti (non solo dello stesso sesso, quindi) è prevista unamulta ed una condanna detentiva fino a tre anni, anche se si tratta probabilmente, dopo il Libano, del paese musulmano dove finora vi è stata più indulgenza verso gay e lesbiche, pur tra mille contraddizioni. Non esiste di fatto alcuna legge che punisca il lesbismo. Il 22 dicembre 1993 la Corte d’appello di Tunisi ha rigettato la richiesta di un transessuale di cambiare il proprio stato da “uomo” a “donna”.
La sentenza dichiarava che il suo cambiamento di sesso era un’operazione volontaria e artificiale che non poteva giustificare un cambiamento del suo stato. Inoltre, tra il 1996 e il 1997, a un gay tunisino è stato riconosciuto il diritto all’asilo per ragioni umanitarie negli Stati Uniti. Nel 2002 la Tunisia ha votato contro la concessione dello status consultativo presso il Consiglio Economico e Sociale dell’ONUall’ILGA (International Lesbian and Gay Association).
Al centro dell’interpretazione dell’omosessualità come peccato vi è la vicenda di Sodoma e Gomorra che ne dimostrerebbe la condanna da parte della divinità, condanna che vale per tutte e tre le religioni del Libro. La trasformazione del peccato in reato, per i paesi musulmani, è naturalmente legata all’ispirazione che la giurisprudenza (fiqh) ha tratto dalla sha’ria. Ma così come nella teologia cristiana vi sono moderne correnti di rilettura del passaggio biblico in questione, così dal mondo islamico, anche se con ritardo e ancora con poco approfondimento, si levano voci di dissenso che interpretano diversamente il motivo per cui Dio punisce con “una pioggia di pietre d’argilla ardenti” (Sura XI, Hud, 82) gli abitanti delle sunnominate città.
L’interpretazione anticonformista più conosciuta (Olfa Yussef e Amina Wadid) è quella che identifica la colpa dei sodomiti nella volontà di violentare i tre angeli inviati da Dio e ospitati da Lot: quindi, il problema non sarebbe il sesso dei partecipanti al rapporto voluto dai sodomiti, ma la violenza del rapporto stesso. Nella Sura VII, ai versetti 80-81 si legge: “Vorreste commettere un abominio tale che nessuna creatura ha mai commesso prima di voi? Ecco, vi accostate con lussuria agli uomini invece che alle donne. No, siete un popolo di trasgressori”.
Un ulteriore accredito alle interpretazioni succitate, sarebbe proprio questo versetto del Corano dove si cita “un abominio mai commesso prima”, ragionevolmente si può pensare che non si stia parlando di rapporti omosessuali che evidentemente erano già presenti nei costumi di quelle popolazioni, ma di stupro. La punizione di Sodoma, in altre parole, sarebbe di monito contro lo stupro e non contro l’omosessualità. Inoltre, Dio punisce anche la moglie di Lot perché non ha obbedito al comando di non girarsi indietro (secondo il Corano, uccidendola sotto la stessa pioggia di pietre d’argilla roventi). Da ciò si può dedurre che il peccato supremo sarebbe la disobbedienza a Dio ed è questa che verrebbe dunque sanzionata.
Questa lettura può donare consolazione a tutti gli omosessuali credenti. Ma non li libera dal senso di soffocamento e di oppressione che condividono con gli altri omosessuali non credenti nelle società musulmane. Eppure, nelle cultura araba in generale non è stato sempre così, se si va a ritroso nel tempo:
Abu Nawas (757 circa-815), considerato come uno dei maggiori poeti di lingua araba, celebrava amori omosessuali in maniera provocatoria e dichiarava: “L’uomo è un continente. La donna, il mare. Io preferisco la terra ferma”. Lo scrittore Al-Jahiz (IX sec. dopo Cristo), in “Kitah al-Ghilman” (epistola dei ragazzi) scrive invece, una sorta di apologia delle relazioni amorose tra maschi. In Egitto sono stati ritrovati bassorilievi di origine medioevale dove vengono riprodotti in maniera esplicita rapporti sessuali fra persone dello stesso sesso. Ciò non può che confermarci come questo velo di proibizionismo da cui è circondata la vita di gay e lesbiche sia una pratica recente.
E in particolare, come è la vita delle lesbiche e dei gay in Tunisia oggi? Cosa ha loro portato la rivoluzione e il processo democratico in corso nel paese? Il partito islamico di Ennahda ha conquistato oltre il 40% dei seggi alla Costituente. Ciò sicuramente ha messo in agitazione la parte laica e progressista del paese che teme, a torto o a ragione, una scrittura della nuova costituzione ispirata alla sha’ria o comunque a principi conservatori o regressivi.
Del resto, dopo le dichiarazioni iniziali di totale rispetto dei principi di democrazia e libertà, Hamadi Jebali, segretario politico del partito islamico e probabile futuro Primo Ministro, in questi giorni ha compiuto un clamoroso passo falso che per la sinistra tunisina non fa altro che confermare il famoso “doppio linguaggio” caratteristico di Ennahdha: durante un meeting a Sousse ha dichiarato che la Tunisia si avvia verso il 6°califfato. In seguito, ha corretto il tiro, affermando che la frase era stata utilizzata fuori contesto.
Ora, fra chi teme maggiormente un cambiamento in senso involutivo della propria condizione che già negli ultimi anni è andata sensibilmente peggiorando, c’è proprio la comunità omosessuale. Ho avuto la fortuna e il piacere di approfondire l’argomento con alcune lesbiche di Tunisi che vivono con apprensione questa fase politica. Dopo la grande speranza suscitata dalle giornate del gennaio 2011, le giornate della rivoluzione della libertà e della dignità, dopo la grande emozione del primo voto democratico nella storia del paese, ora vedono affievolirsi le possibilità di vivere apertamente e con dignità la loro differenza.
Negli anni ’60 e ’70, una certa egemonia culturale delle élites intellettuali tunisine aveva creato un clima, se non di completa accettazione, sicuramente di convivenza pacifica fra etero e gay. Nelle famiglie tunisine in quegli anni il maschio gay era coccolato e viziato (come il “femminiello” a Napoli), viveva nell’ambiente delle donne e la sua scelta sessuale non veniva considerata come un fatto particolarmente trasgressivo. Nelle grandi famiglie della medina araba (chiamate “tunisois”) l’adulto omosessuale era identificabile per il suo abbigliamento: abito europeo o djebba, bianchi, baffi molto curati e rivolti all’insù. Nelle famiglie più modeste il giovane gay si dedicava alle faccende domestiche, senza che ciò provocasse disprezzo negli altri uomini. Il caffè di Paris sull’Avenue Bourghiba era fra i luoghi più frequentati dagli omosessuali maschi.
Quasi del tutto nascosta o poco visibile, la quotidianità delle lesbiche tunisine. Solo alcune fra loro, le cosiddette garçons manquées, facevano comunella con i maschi del quartiere, condividendone giochi e sbruffonate. Negli anni ’80 il Movimento della Tendenza Islamica (che in seguito darà origine al partito Ennahdha) cominciò ad esercitare la propria influenza negli ambienti universitari. Si fece strada fra i giovani un ritorno alla religione in senso identitario in contrapposizione all’Occidente che esportava costumi “dissoluti” e “depravati”.
Ma sarebbe stato dunque lo shock di fronte alla modernità occidentale a provocare un ripiegamento su di sé dei tunisini? Io credo che non sia stato l’unico fattore che ha determinato una modificazione nelle abitudini dei gay in questo paese. A ciò ha contribuito anche la dittatura di Ben Ali che non è stata solo repressione e corruzione, ma anche introduzione nell’ attitudine della gente, di durezza e mancanza di comprensione verso tutto quello che rappresentava anticonformismo e trasgressione. Si è materializzata nelle persone una incapacità di visione “altra”, differente dall’opinione dominante; ciò ha condotto all’instaurazione dell’ipocrisia come stile di vita, naturalmente anche per quanto concerneva l’omosessualità. Adesso lesbiche e gay tendono di più a nascondersi, adottando una doppia vita. Una tecnica di sopravvivenza molto utilizzata, ad esempio, è quella di sposarsi con una persona dell’altro sesso, una lesbica si sposa con un suo amico gay e in questo modo si salvano le apparenze di fronte allafamiglia e alla società continuando a vivere la propria sessualità. Non è tanto la pratica dell’omosessualità a scandalizzare in Tunisia, ma piuttosto il fatto di divulgarne il segreto.
Quindi, in virtù del proverbio arabo “nascondi l’errore, e sei già perdonato”, gay e lesbiche possono sempre vivere i propri amori, ma in clandestinità, lontano dagli occhi indiscreti della gente, correndo il rischio di macchiarsi di aib (infamia) e di macchiare di ar (disonore) la famiglia. Negli ambienti rurali spesso la scoperta da parte dei parenti dell’omosessualità di un proprio congiunto spinge quest’ultimo a commettere suicidio. Nascondersi non è una scelta, ma un obbligo.
“Il clima sociale magrebino è caratterizzato da una forte devozione e dal dominio della collettività sull’individuo, il che non aiuta a ostentare la propria omosessualità” scrive Ahmed Rouadjia, storico algerino dell’università di Msila. Il lesbismo poi sembrerebbe ancora meno accetto dell’omosessualità maschile; nei loro rarissimi blog si può leggere la doppia sofferenza di donne che vivono sia la sottomissione al maschio che quella del loro amore da nascondere. Sanno e ribadiscono che la rivoluzione non le ha affatto toccate, che la loro vita non cambierà soprattutto dopo l’avvento di Ennahdha. E’dunque con paura e rassegnazione che stanno vivendo quello che per la maggior parte degli altri tunisini è un momento storico decisivo per le loro libertà.
A riprova di quanto sia diffusa la paura, voglio riportare la testimonianza di A., una donna forte, coraggiosa e colta che con la sua compagna ha passato momenti terribili subito dopo il ritorno di Rachid Gannouchi(leader di Ennahdha) dall’esilio di Londra: “Il 30 gennaio 2011 eravamo andate, io e la mia compagna insieme ad altri amici, all’aeroporto di Cartagine certamente non per accogliere Rached Gannouchi, bensì per dirgli che per noi la Tunisia doveva rimanere uno stato laico, dove il diritto alla differenza è un principio; che dunque non accettavamo uno stato islamico come lui e il suo partito avrebbero voluto instaurare. Pensavamo che tali affermazioni in un contesto civile e democratico fossero un nostro diritto sacrosanto.
E invece siamo stati aggrediti e ci hanno strappato i volantini che stavamo distribuendo dove c’erano scritti slogan per la democrazia, la laicità e la tolleranza che esprimevano i principi di uno stato moderno. I seguaci di Gannouchi hanno schiaffeggiato anche due o tre dei nostri. Durante la discussione che abbiamo avuto con loro c’erano alcuni che ci riprendevano con i cellulari. Personalmente ho parlato con una personalità di Ennahdha e gli ho detto che eravamo lì per esprimere il nostro appoggio alla democrazia e alle libertà individuali. Dopo una settimana, uno degli amici che era presente con noi all’aeroporto, anche lui omosessuale, è stato seguito fin sotto casa dove è stato minacciato da sconosciuti che gli hanno detto di postare un video online per fare le scuse a Ennahdha per i fatti dell’aeroporto e ancora più minacciosamente, gli hanno detto: “Sappiamo benissimo che sei gay!”.
Per la paura, Il nostro amico non è più ritornato nel suo appartamento. Ma il 12 febbraio io e altre quattro ragazze abbiamo deciso di accompagnarlo di nuovo a casa sua, un gesto di solidarietà, certo, ma anche una sottovalutazione da parte nostra delle minacce che erano state fatte. Alle ore 20:00, dopo un’ora che si chiacchierava serenamente e si sorseggiava della birra, dall’esterno del portone di casa degli uomini ci ordinano con aggressività di aprire la porta. Naturalmente abbiamo rifiutato, allora loro hanno cominciato a picchiare sul portone con più violenza e subito dopo hanno aperto una grande fessura dalla quale si potevano intravedere delle spade
Urlavano anche “Dio è grande”. A quel punto, abbiamo collocato dei mobili contro il portone e chiamato la polizia al telefono, ma non arrivava nessuno. Le mie amiche avrebbero voluto fuggire per andare a chiedere aiuto, calandosi dal balcone sul retro della casa, ma io non volevo perché avevo paura per loro, dato che eravamo al terzo piano e poi non sopportavo l’idea che la mia compagna si esponesse al pericolo mentre io restavo lì senza far niente. Ma la paura era troppa e quindi ho deciso di calarmi io stessa con delle lenzuola arrotolate, visto che ero la maggiore per età e la più robusta di costituzione.
Perciò ho attaccato le lenzuola ad un ferro nel muro e ho fatto i primi passi fuori dal balcone, ma ho perso la presa e sono caduta e svenuta. I miei amici hanno chiamato un’autoambulanza che è arrivata immediatamente e mi ha condotto all’ospedale. Gli infermieri stessi hanno chiamato la polizia che finalmente è arrivata con alcuni soldati per far uscire i miei amici dall’appartamento. Io sono stata operata per ricomporre una frattura al bacino e una frattura al ginocchio della gamba destra, ho subito anche una lesione all’occhio destro. A tutt’oggi (novembre) cammino con le stampelle: so già che nonostante una seconda operazione non recupererò mai più l’uso della gamba destra, rimarrò zoppa per il resto della mia vita, io che amavo lo sport e la vita all’aria aperta.
L’unica consolazione è che i poliziotti hanno arrestato 16 persone in 24 ore che saranno giudicati da una corte militare perché i fatti si sono svolti mentre era in vigore il coprifuoco. Nel frattempo, nulla è cambiato ed io e M. viviamo clandestinamente il nostro amore ormai da 5 anni, una situazione aggravata anche dalla nostra attuale disoccupazione che ci impedisce di essere completamente indipendenti dalla famiglia. Per sfuggire da questa trappola potrei trovarmi un amico gay, sposarlo e continuare a frequentare la mia amica in pace, ma può essere pericoloso perché è capitato che qualcuna non ha fatto patti chiari con il “marito” e questi l’ha maltrattata, ma il peggio che può succedere è un divorzio.
Qui in Tunisia mi manca l’aria, tutti noi omosessuali pensiamo che la soluzione migliore sia quella diemigrare all’estero, di abbandonare questo paese che amiamo tantissimo e per la libertà del quale abbiamo condiviso con gli altri compatrioti le giornate di gennaio 2011”.
Vorrei poter contraddire la mia amica, ma anche io non vedo ancora un futuro di liberazione per questa minoranza che sicuramente rimane la più discriminata e oppressa della Tunisia. Ci dovranno essere atti di coraggio da parte delle lesbiche e dei gay tunisini e sostegno internazionale da parte delle associazioni LGBT e di tutti gli autentici democratici.
Una storia tutta da scrivere.
http://www.agoravox.it/Lesbiche-e-gay-in-Tunisia-fra.html?pagina=1
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