Patrizia Mancini
Il sito Nawaat.org pubblica un’inchiesta esplosiva sul partito islamico al potere.
Durante la dittatura mafiosa di Ben Alì e dei familiari di sua moglie Leila Trabelsi, le pratiche di spionaggio, traffico e contrabbando di armi erano moneta corrente, oggetto delle chiacchiere sussurrate a bassa voce nei caffè e nelle case private. L’insopportabilità del giogo dittatoriale con il suo corollario camorristico à la tunisienne è stata senza dubbio la scintilla che ha fatto esplodere la rivoluzione.
Ora ritrovarsi su un palcoscenico diverso lo stesso spettacolo era lungi dall’essere prevedibile e il gioco delle parti è quasi inesplicabile, così come comprenderne la regia.
Eppure succede nella Tunisia post-rivoluzione di rivivere un déjà-vu a tinte fosche. Con la differenza che a parlarne non è qualche amico che, guardandosi attorno sospettoso, ci confida i misfatti del governo, ma è il sito Nawaat.org, con un’inchiesta pubblicata online l’8 gennaio 2013 e destinata a scatenare polemiche.
Questo fatto dimostra ampiamente la vitalità dei media non tradizionali che tuttavia in Tunisia rischiano ancora molto. Tutto era cominciato con la pubblicazione da parte del sito Nawaat di un paio di articoli, corredati da video esplosivi in cui si poteva assistere a una trattativa per l’acquisto di armi fra un noto imprenditore, Fathi Dammak, e due personaggi di nome Alì e Belahassan. Le armi sarebbero dovute servire a un gruppo criminale per l’organizzazione di rapimenti e uccisioni di uomini d’affari, giudici e altre persone in vista. Dammak si trova attualmente in prigione con l’accusa di congiura.
Per due settimane Nawaat ha voluto approfondire la vicenda, soprattutto a fronte del fatto che i due uomini in trattativa con Dammak fossero tornati in libertà.
Durante l’inchiesta, alcuni individui che si sarebbero dichiarati appartenenti alla Ligue pour la Protection de la Révolution (legata a Ennahdha) avrebbero fatto capire ai giornalisti che dovevano fermare le loro indagini. Molte anomalie sono inoltre state riscontrate nella verbalizzazione delle denunce contro Dammak da parte di Belahassan e Alì presso la sede della polizia giudiziaria di El Gorjeni a Tunisi, dove i due personaggi si erano presentati come “in missione” per conto di una sezione speciale del Ministero degli Interni. Essi inoltre – è la scoperta più sorprendente – sarebbero membri del partito islamico Ennahdha: Belahassan Nakache, mini-sindaco della municipalità di Medina Jedida (governatorato di Ben Arous) e Alì Ferchichi, a capo di una società di servizi. Nel materiale video giunto in possesso del sito Nawaat, si parlerebbe di una “operazione condotta da un apparato parallelo” fuori dalla legalità, verosimilmente per mettere Dammak fuori gioco o perché ne esca come capro espiatorio di azioni criminali commesse da altri. Quest’operazione sarebbe stata dunque condotta sotto l’egida di Ennahdha o di un suo apparato parallelo che starebbe cercando finanziamenti per procurarsi delle armi.
Quale lo scopo di Ennahdha, qualora fosse accertata l’ipotesi di Nawaat? È ancora accettabile, in un paese che dovrebbe avviarsi alla democrazia, l’esistenza di apparati securitari che si sottraggono al controllo dello Stato? È probabile che si tratti degli stessi apparati in vigore sotto la dittatura che si ripropongono al nuovo padrone. L’inchiesta di Nawaat, firmata da Bettaieb, Hajlaoui e Khadhraoui, termina con una richiesta: «Il partito Ennahdha, il Ministero degli Interni e il Ministero di Giustizia devono agire in tutta trasparenza e dare chiarimenti all’opinione pubblica riguardo questa vicenda gravissima. Il tempo dei laboratori segreti e degli apparati clandestini è finito in una Tunisia che aspira a un sistema di governo trasparente e ad uno Stato di diritto».
L’inchiesta può essere letta nella sua completezza, in versione francese, al seguente link.
http://www.dinamopress.it/news/tunisiatraffico-darmi-ed-ennahdha
http://www.africanews.it/tunisia-organizzazioni-segrete-minano-la-democrazia/
Follow Us