Santiago Alba Rico
Tra salafismo e sesso-estremismo, artificiali attrazioni del giornalismo europeo, si tende a dimenticare che in Tunisia c’è stata una rivoluzione, il cui più evidente successo è stato lo svolgimento delle elezioni per l’Assemblea Costituente nell’ottobre del 2011 e che da quel momento i deputati dell’Assemblea, soggetto e oggetto di diversi rapporti di forza, stanno discutendo – e dilatando, rimandando, negoziando – un testo costituzionale dal quale dipenderà la normalizzazione politica del Paese attraverso la convocazione delle prossime elezioni presidenziali e politiche. I media hanno quindi completamente trascurato un evento cruciale, il fatto che l’ultima bozza di questa futura Magna Charta è stata presentata alcuni giorni fa, attivando immediatamente un dibattito che riflette gli schieramenti di partito e i conflitti ideologici, non sempre disinteressati, che continuano ad avvelenare la Tunisia post-rivoluzionaria. Resta ancora da compiere un lungo tragitto parlamentare di discussione e ratifica degli articoli, che dovrà portare all’approvazione del testo nel suo insieme da parte della maggioranza, cioè i due terzi della Camera oppure, nel caso non si raggiungesse il quorum, da una consultazione popolare.
Il testo proposto, nel quale la rivoluzione è nominata solo nel preambolo (“la rivoluzione della libertà e della dignità”), riflette dei cambiamenti rivoluzionari? Nell’opinione di tutto lo schieramento dei partiti dell’opposizione –dal giurista liberale Ben Achur fino al Fronte Popolare- questa terza bozza consacrerebbe piuttosto il “tradimento” della rivoluzione del 14 gennaio. Si tratterebbe “della Costituzione di Ennahda e per Ennahda, non di tutti e per tutti” e, di conseguenza, rappresenterebbe una “regressione sostanziale” (perfino rispetto alla Costituzione di Bourguiba del 1959!).
Credo che basti una lettura attenta delle versioni araba e francese per respingere come “ideologica” questa bocciatura del testo nella sua totalità e per considerare invece il progetto, riprendendo le parole di Alain Gresh, come “un passo in avanti”. Le letture di Gresh, di Isabelle Mandraud o di Chukri Hmed mi sembrano infatti molto più aderenti alla realtà. Quest’ultimo, ad esempio, politologo e professore, mentre mette in guardia contro la “feticizzazione” del testo, ne percepisce la tendenza a “instaurare una supremazia legislativa razionalizzata, al servizio di uno Stato di diritto e di un embrione di Stato sociale e di welfare”. Critica invece molto severamente “la polemica alimentata oggi da quelle élites che si auto-proclamano ‘progressiste’ o ‘moderniste’ “, in modo assai poco credibile, a suo giudizio, “dato che i loro rappresentanti non analizzano seriamente il testo nelle sue disposizioni complesse e non spiegano le loro critiche, profondamente antiparlamentari, in cui risuona la stessa retorica di estrema destra che essi denunciano nei loro nemici ‘islamisti’ “.
La bozza contiene alcune contraddizioni, risolte talvolta da una semplice accumulazione o sovrapposizione, ma l’impressione è che nell’insieme essa non sia sbilanciata a favore di quello che – secondo l’opposizione- sarebbe il programma occulto di Ennahda, ma che sia invece in linea col progetto dei suoi alleati “laici” nel Governo e di quella “società civile” che in questi ultimi due anni è rimasta attenta e mobilitata.
Stato di diritto? La bozza consacra i principi di “Stato civile”, “separazione ed equilibrio dei poteri”, “valori e principi dei diritti universali dell’Uomo”, “uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge”, “indipendenza della giustizia”, “cittadinanza, fratellanza, solidarietà e giustizia sociale”. Nel preambolo, inoltre, sebbene non venga proibita la “normalizzazione delle relazioni con Israele” (rivendicazione di alcuni gruppi politici), si appoggia il “trionfo degli oppressi in qualunque parte del mondo ed il diritto dei popoli all’autodeterminazione, con primaria attenzione al movimento di liberazione della Palestina ” e si condanna “ogni forma di occupazione e di razzismo”. Per quanto riguarda le libertà individuali, la Costituzione garantisce la libertà di espressione, di opinione, di diffusione, di ricerca e perfino di “creatività”, insieme a quella di “credo e culto religioso”, e proibisce espressamente ogni forma di tortura. Uno dei temi più sensibili e controversi, quello delle conquiste di genere, è inoltre trattato senza alcuna ambiguità.
La Magna Charta, oltre a riconoscere l’uguaglianza tra tutti i cittadini e la parità di opportunità tra generi, obbliga lo Stato a mantenere le “conquiste” raggiunte e a proteggere la donna “da ogni forma di violenza”. Quelli che, dalle fila dell’opposizione, continuano a intravedere delle presunte minacce al Codice dello Statuto Personale di Bourguiba, “il più progressista del mondo arabo”, dovrebbero capire che quel Codice diventerà sì anticostituzionale, ma non perché sia troppo avanzato, bensì, al contrario, perché è troppo poco ugualitario: al suo interno, un residuo di Chaaria discriminava la donna nella ripartizione dell’eredità, cosa che – se verrà approvata la bozza attuale – non sarà più possibile.
Stato sociale e del welfare? Repubblicano, democratico, parlamentare –ortodossamente liberale- la bozza della Costituzione tunisina legittima un regime politico che, accanto ad una moltiplicazione di poteri, stabilisce il decentramento della gestione pubblica attraverso istanze regionali decise dalla volontà popolare. Riconosce inoltre il diritto a “condizioni di vita degne”, alla salute, all’alloggio, all’educazione, all’acqua ed anche a un “ambiente salubre”. Consacra poi –grazie alle vittoriose pressioni del sindacato UGTT- il diritto allo sciopero, mentre non riconosce “la libertà d’impresa”. Riconosce un ambiguo “diritto alla vita” che, come ricorda Chukri Hmed, potrebbe essere utilizzato tanto per abolire la pena di morte quanto per mettere in questione il diritto all’aborto (cosa che, tuttavia, contrasterebbe con gli articoli che salvaguardano le conquiste di genere).
Si potrebbe obiettare che queste possono rimanere parole vuote se a esse non faranno seguito leggi, istituzioni e sovranità economica, come dimostra il caso della Spagna; ma non si può dire che siano “parole vuote reazionarie o islamiste”. Del resto, se si tratta solo di chiacchiere, e se le chiacchiere non fungono anche da campo di battaglia nel quale si possono mettere dei confini e dove s’impara anche a combattere, perché tanta insistenza nel condannarle? Perché perdere tempo a denunciarne le ombre?
E’ pur vero che, accanto alle luci, il progetto costituzionale contiene anche delle ombre che dovrebbero essere delucidate durante le prossime sessioni plenarie dell’Assemblea. A mio parere, le ombre sono soprattutto quattro.
La prima riguarda la sovrapposizione delle fonti del diritto alla quale facevo riferimento all’inizio. Perché se è vero che non c’è il minimo riferimento alla Chaaria (altra vittoria laica), insieme allo Stato civile e ai diritti umani universali si menzionano – più al fianco che in contrapposizione – i valori dell’Islam, la religione musulmana come culto maggioritario, la cultura tunisina e le sue specificità.
La seconda ombra si riferisce alla libertà di espressione garantita nell’art. 30, il quale “proibisce di sottoporre tale libertà a un controllo preventivo”, ma che virtualmente la limita preannunciando una legge che dovrà “proteggere i diritti dei terzi, la loro reputazione, la loro sicurezza e la loro salute”. In un “messaggio urgente” diretto lo scorso 5 giugno al Presidente e ai deputati dell’Assemblea, la Coalizione civile per la difesa della Libertà di Espressione artistica metteva in guardia contro il potenziale liberticida di tale formulazione.
La terza ombra si trova nell’articolo 141, nel quale sono elencati i principi che non potranno mai essere sottoposti a “revisione costituzionale”. Tra questi, insieme ai diritti umani, alle libertà sancite nel testo, al regime repubblicano e al carattere civile dello Stato (cosa peraltro molto tranquillizzante e nello stesso tempo di rottura, nel senso rivendicato dalla Rivoluzione della Dignità), vi si legge anche l’arabo come lingua ufficiale e l’Islam come religione dello Stato.
La quarta ombra, infine, è forse la meno percepita. Il Preambolo parla di “democrazia partecipativa” e l’art. 3, che definisce il popolo come “soggetto di sovranità e fonte di tutti i poteri”, menziona il referendum come uno degli strumenti di esercizio del potere stesso. Eppure, di questo strumento non si trova più traccia in tutto il testo, tranne che nell’art. 81, dove viene relegato a facoltà “eccezionale” del Presidente della Repubblica, il quale potrà sottoporre a consultazione popolare progetti di legge approvati dall’Assemblea. La bozza di Costituzione non specifica alcun procedimento di convocazione dei referendum per iniziativa popolare.
Nelle ultime settimane, mentre veniva pubblicata e cominciava ad essere discussa la bozza di Costituzione, in questo Paese si sono verificate delle gravi violazioni di diritti umani. Mentre Amina resta in prigione e le sue compagne di Femen sono state condannate a quattro mesi di carcere, il giovane rapper conosciuto come Waled 15 si vedeva comminare, il 14 giugno scorso, una severissima condanna a due anni di carcere per aver composto e diffuso una canzone intitolata “Bolisia Kleb” (“I poliziotti sono dei cani”) con la quale, nello spirito libertario della rivoluzione, denunciava la dura ed incessante repressione poliziesca. Anche i media spagnoli, che hanno trattato con clamore il caso di Amina, hanno mantenuto un complice silenzio di fronte a Waled 15. Si potrà dire che questi casi –e molti altri non meno gravi denunciati dall’Osservatorio per la Difesa della Libertà di Stampa- non hanno nulla a che vedere con l’ “islamismo” di Ennahda. E’ vero. Anche Ben Ali, dittatore laico, avrebbe incarcerato Amina e Waled 15. Ma è esattamente questo il problema: che il governo di Ennahda – e i suoi alleati laici-, nato da una rivoluzione contro una dittatura, continua a esercitarne le stesse pratiche e applicare le stesse leggi. A Tunisi, dopo due anni e mezzo, né l’apparato giudiziario né quello securitario sono stati bonificati. Come dice l’analista marxista Gilbert Naccache, in questo Paese è la polizia che continua a comandare e la giustizia non è indipendente non perché obbedisce a Ennahda o alle trame occulte del vecchio regime –dissolte o promiscuamente presenti in tutti i partiti – ma perché i giudici continuano a obbedire alla polizia, come succedeva sotto Ben Alì, il cui codice penale, peraltro, continua a essere applicato.
Per tornare alla bozza di Magna Charta, in definitiva possiamo anche dire che questa Costituzione, come quasi tutte, potrà rivelarsi solo carta straccia, ma non possiamo dire che sia carta straccia “islamista”. Penso che la sinistra, nel momento in cui ne denuncia le ombre, dovrebbe anche utilizzare questo “campo di battaglia” per illuminare la “anticostituzionalità” delle pratiche liberticide del governo e reclamare l’eliminazione di tutti gli ostacoli (incistati nell’apparato statale) che impediscono oppure ostacolano la libertà d’espressione e di creatività, insieme alla sovranità economica ed alla giustizia sociale. In Tunisia c’è stata una rivoluzione non socialista ma democratica, in senso lato (politico e sociale) e pertanto non si può pretendere che ne esca una Costituzione socialista (ammesso che qualcuno sappia cosa questo significhi. Come afferma la ricercatrice e islamologa Khadija Katja, il successo di un progetto di Costituzione realmente democratica, civile e repubblicana, pioniere nel mondo musulmano, può avere un’influenza decisiva e la sua carica simbolica non deve essere sottovalutata. Mentre si compie un ultimo sforzo per migliorarlo (perché non è cattivo), l’embrione della Magna Charta ci deve servire per condannare un governo che è in parte autore della stessa e che, ancor prima della sua approvazione, la sta già violando in maniera sistematica.
Traduzione dallo spagnolo di Giovanna Barile
versione originale dell’articolo: qui
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