Patrizia Mancini
12 aprile 2014: una data che rimarrà impressa nella memoria dei tunisini e delle tunisine. In questo giorno la corte d’appello del tribunale militare di Tunisi ha emesso quello che ormai tutti (ad eccezione del partito di Nida Tounes, impegnato nel riciclaggio dei sostenitori di Ben Alì) hanno qualificato come il verdetto della vergogna e dell’impunità.
Si tratta del giudizio emesso nei confronti dei principali accusati per la repressione attuata a Thala, Kasserine e nella Grand Tunis contro i moti rivoluzionari del periodo in cui ci sono state più vittime e feriti nelle regioni interne del paese, fra l’8 e l’11 gennaio 2011.
Insieme a Ben Alì, erano imputati i responsabili della sicurezza nazionale e dell’ordine pubblico dell’epoca:
Rafik Belhaji, ex ministro degli Interni
Alì Seriati, ex capo della sicurezza presidenziale
Adel Tiouiri, ex direttore generale della sicurezza nazionale
Rachid Abid ex direttore delle unità d’intervento
Lofti Zouaoui, ex direttore generale di pubblica sicurezza
Jalel Boudriga, ex capo dei corpi speciali
L’ imputazione originale li accusava di complicità per omicidio volontario e tentativo d’omicidio in base all’art. 32 del Codice penale e omicidio premeditato in base agli articoli 201, 202 e 59 del codice penale. Le pene applicabili andavano dai 10 ai 37 anni.
L‘unica conferma della pena richiesta dagli avvocati dell’accusa, l’ergastolo, riguarda l’ex dittatore Ben Alì, fuggito il 14 gennaio 2011 in Arabia Saudita, paese che tuttora lo ospita e protegge.
La corte militare d’appello ha invece riclassificato l’accusa come “omicidio involontario” per tutti gli alti funzionari della sicurezza implicati nella gestione della repressione, arrivando anche alla ridicola imputazione di Jalel Boudriga per “mancata assistenza a persona in pericolo”.
Dunque, nessun colpevole per l’uccisione di 338 persone e per il ferimento di 2147 (1) e l’odiosa beffa di una probabile scarcerazione a breve di tutti gli imputati, dato che le pene applicate sono di tre anni con la condizionale e tutti i funzionari della sicurezza di Ben Alì hanno già trascorso in prigione questo periodo.
La solitudine delle famiglie delle vittime e dei feriti della rivoluzione.
12 aprile 2014. Ore 10.30: di fronte al tribunale militare d’appello a Bab Saadoun, le famiglie delle vittime, alcuni giovani feriti durante la rivoluzione e pochi sostenitori della causa hanno issato una tenda dalla sera prima e insieme ad alcuni degli avvocati che li rappresentano, Leila Haddad, Amor Safraoui e Cherifeddine Khalil, attendono il verdetto che inizialmente era stato annunciato per le 9. In realtà, ci sarà un’attesa lunga ed estenuante, con momenti di comprensibile tensione e rabbia, gestiti, in verità, con grande calma dai soldati addetti alla sicurezza che non reagiranno neppure al lancio di bicchieri di vetro contro le transenne. Fino alla sentenza che verrà pronunciata solo alle 18.30.
Grandi assenti i partiti, in particolare la sinistra tunisina per cui questa dovrebbe rappresentare una delle mobilitazioni chiave per la difesa del processo post rivoluzionario. Grandi assenti i famosi e (auto)incensati bloggers, per altro attivi su altri fronti che, seppur rispettabili, non avrebbero dovuto impedire loro di continuare a sostenere questa causa: in fondo è anche grazie a chi ha pagato in prima persona con la propria vita se la loro parola ora è liberata. Grandi assenti i giornalisti stranieri, a parte un paio di irriducibili militanti (un inglese e una francese)della stampa di sinistra. Del resto per i media occidentali la Tunisia è il modello riuscito della cosiddetta “primavera araba”, mentre proprio in questa giornata si consumerà un’ulteriore deviazione dal percorso iniziato il 17 dicembre 2010.
I feriti, le loro famiglie e quelle delle vittime in questi tre anni sono stati gradualmente abbandonati dalla maggior parte degli attivisti e da tutti i partiti, spesso accusati di voler approfittare della loro condizione per ottenere risarcimenti pecuniari, anche se è appurato che la maggior parte di loro abbia sempre rifiutato indennizzi di tale genere, scegliendo di continuare a lottare per conoscere la verità e perché venissero puniti i colpevoli. Nel tentativo sempre meno velato, sempre più arrogante e sfrontato di difendere le “forze dell’ordine”, qualcuno è arrivato ad affermare che i partecipanti alle giornate delle sommosse in fondo erano solo dei volgari “teppisti”.
Soli, dunque, anche lo scorso 9 aprile( giornata che celebra la memoria dei martiri del 1938, ma che è diventata nel senso comune la giornata di tutti i martiri) quando hanno sfilato sull’Avenue Bourghiba issando lo striscione che hanno portato in giro da un tribunale all’altro :“Il popolo vuole verità e giustizia per i martiri”.
Soli, fino a questa tremenda giornata che ha segnato una pericolosa tappa d’arresto del processo rivoluzionario tunisino con la prova tangibile della mancanza di obiettività ed di trasparenza delle giurisdizioni militari nell’ambito dei processi ai responsabili della repressione.
Ore 18.45: al termine della lettura della sentenza, la delusione delle famiglie si trasforma in ira incontenibile che solo per puro miracolo risparmierà i parenti degli accusati, seduti nella parte sinistra della sala. Presto è il caos all’interno del tribunale, pianti e gesti di disperazione, una giovane donna arriverà a togliersi il velo e a strapparsi i capelli. “Li avete uccisi per la seconda volta!” è l’accusa gridata dentro e fuori dall’aula. Un avvocato esausto spiegherà, in maniera concitata e nel mezzo dei tafferugli all’esterno dell’aula, i dettagli della sentenza per chi non ha compreso l’arabo. (video)
Rappresentazione diretta del disprezzo di questa gente esasperata nei confronti dei partiti : la cacciata dell’ex ministro per gli affari sociali del partito Ettakatol, Khalil Zaouia dall’emiciclo esterno del tribunale. Era passato per esprimere alle famiglie una solidarietà tardiva e quindi non gradita.
Nelle giornate seguenti si snoccioleranno le prese di posizione dei vari partiti e dell’UGTT (la più grande e importante rappresentanza sindacale tunisina), un coro unanime che esprime sdegno e incredulità di fronte all’impunità certificata dalla corte militare d’appello nei confronti degli ex funzionari del dittatore.
Si ritorna finalmente a parlare della legge per la giustizia di transizione che pure è stata adottata il 15 dicembre 2013 dall’Assemblea Nazionale Costituente e che avrebbe dovuto avere priorità assoluta.
Soltanto Nidaa Tounes (il partito di centro-desta, liberista, capeggiato da Béji Caïd Essebsi 88 anni, ex ministro degli Interni sotto Bourghiba ed ex presidente del parlamento all’epoca di Ben Alì, discusso primo ministro del 2° governo provvisorio post-rivoluzione) tramite un membro del proprio comitato esecutivo arriverà ad ammonire chi osa criticare la giustizia militare e l’esercito che avrebbero compiuto solo il proprio dovere.
La stessa Assemblea Nazionale Costituente terrà una seduta straordinaria per riflettere e discutere sulle conseguenze del verdetto, un gruppo di deputati si auto- sospende per protestare contro la non applicazione della legge sulla giustizia di transizione.
La conferenza stampa del comitato di sostegno alle famiglie delle vittime e ai feriti della rivoluzione.
15 aprile:
La presenza di molte più persone rispetto al previsto ha reso necessario l’allestimento di una sala più grande dove sono ricomparsi, come per magia, i grandi assenti dalle ultime mobilitazioni per la giustizia e la verità sulla repressione della rivoluzione.
Nella sua introduzione l’avvocato Amor Safraoui, coordinatore del comitato di sostegno alle famiglie delle vittime, ha dichiarato che i martiri della rivoluzione sono stati uccisi una seconda volta e che questa sentenza ha rappresentato una catastrofe per il paese e un tradimento delle istanze rivoluzionarie. Ha ringraziato tutti coloro che hanno reagito prontamente al verdetto e ha annunciato prossime mobilitazioni . Ha inoltre accusato il potere legislativo per il disastroso risultato e in particolare ha sottolineato che Hamadi Jebali ( del partito islamico Ennahda, ex primo ministro del primo governo della Troika), si fosse pronunciato per lo scioglimento dei tribunali militari.
Ha richiesto l’effetto retroattivo per l’eventuale futura revisione di tutti i processi che riguardano le vittime della rivoluzione e, in conclusione, ha chiesto di emendare il codice penale militare e di fermare i giudizi in corso da parte della stessa corte d’appello.
Ha infine chiesto che venga impedito agli imputati di lasciare il territorio tunisino e di congelare l’attività dei giudici che hanno emesso la sentenza fino all’istituzione di una commissione d’inchiesta che indaghi sullo svolgimento dei processi militari e analizzi le motivazioni dell’ultima sentenza.
Per Walid Ali Mekki, presidente dell’associazione nazionale per la difesa dei martiri e dei feriti della rivoluzione “Lan Mansakom” (Noi non vi dimenticheremo)”la sentenza del 12 aprile non è stata uno choc, dato che da tre anni, dal primo processo presso la corte militare del Kef, è a conoscenza di pressioni continue da parte del Ministero degli Interni sui giudici militari per prosciogliere tutti gli imputati. Parla anche di di giudici e giornalisti minacciati. Mekki conclude invitando tutti alla marcia che si terrà il giorno dopo per protestare contro il verdetto e coinvolgere i rappresentanti dell’Assemblea Nazionale Costituente perché affrontino il problema.
Gli avvocati Leila Haddad e Cherifeddine Khelil, in prima fila da sempre accanto alle famiglie, infine presentano tutta la documentazione presentata dall’accusa a carico degli imputati e della quale, nel processo di appello del 12 aprile la corte non sembra aver affatto aver tenuto conto. Tra le prove raccolte, ci sono anche le registrazioni di telefonate che dimostrerebbero l’esistenza di una cellula di crisi capeggiata da Alì Seriati per organizzare la repressione dei manifestanti. La documentazione è stata messa messa a disposizione dei giornalisti.
Tuttavia l’attacco che i due giovani e appassionati avvocati ( cui va , senza alcun dubbio, tutto il rispetto per la dedizione dimostrata nel portare avanti la causa dei parenti delle vittime) hanno portato esclusivamente contro Ennahda come responsabile del fallimento della giustizia e di trattative segrete con i giudici, rischia di minimizzare le responsabilità dirette dei governi provvisori precedenti nella repressione delle contestazioni che si sono succedute DOPO la fuga di Ben Alì e la colpevole negligenza delle opposizioni riguardo l’applicazione della giustizia di transizione e per la pulizia degli apparati giudiziari e securitari.
La marcia verso l’Assemblea Nazionale Costituente
16 aprile : la manifestazione parte a mezzogiorno dal Tribunale militare, procede rumorosa sull’Avenue 21 mars per arrivare davanti alla sede dell’Assemblea Nazionale Costituente con un grande sventolio di sudari bianchi, a ricordo della sepoltura delle vittime. In prima fila alcuni dei feriti in carrozzella spinti dai loro compagni che non li hanno mai abbandonati in questi tre anni. Ancora una volta mancano i partiti e la maggioranza di quegli stessi giovani che il 13 aprile, qualche decina in verità, hanno protestato contro la sentenza, davanti alla sede della Presidenza della Repubblica Il Fronte Popolare rimane all’avenue Bourghiba per il suo sit-in del mercoledì che reclama da molti mesi la verità sull’assassinio di Choukri Belaid e Mohamed Brahmi. Ci chiediamo: cosa ha impedito ai suoi militanti di compiere un gesto di solidarietà unendo la loro memoria a quella delle famiglie delle vittime?
Video della manifestazione del 16 aprile 2014 (arrivo di fronte all’ANC)
Erano invece presenti membri della Lega per la protezione della rivoluzione (islamisti pronti a sfruttare a loro vantaggio situazioni di tensione). Il vuoto lasciato dalla sinistra tunisina nei luoghi e nei momenti che dovrebbero tradizionalmente appartenerle è divenuto ormai molto pericoloso.
Fra ieri e oggi sono dunque scoppiate le contraddizioni all’interno dell’Assemblea nazionale Costituente.
E la lotta paga, almeno in Tunisia: ieri, 17 aprile, i deputati della Commissione per la legislazione generale hanno trovato un accordo su un progetto di legge che stabilisce la creazione di giurisdizioni specializzate per le questioni relative ai processi relativi alle vittime e ai feriti della rivoluzione.
Il testo del progetto stabilisce che tali processi non saranno più di competenza dei tribunali militari.
Nel frattempo l’offensiva mediatica controrivoluzionaria è partita all’attacco con interviste e articoli tesi a dimostrare l’anticostituzionalità della creazione delle giurisdizioni specializzate e la ripresa della leggenda metropolitana del coinvolgimento di tiratori scelti venuti dall’estero per sparare sui giovani tunisini.
Per questo nei prossimi giorni sarà decisiva una mobilitazione costante dell’opinione pubblica e dei politici che avranno onestà e coraggio per mantenere alta l’attenzione sulla questione.
Occorrerà tornare a fianco delle famiglie e dei feriti per riprendere la lotta insieme a loro e anche per ricacciare indietro i mostri del passato che si riaffacciano sfacciatamente su una ribalta che non è la loro.
Ne va della sorte dell’intero processo di transizione.
(1) la cifra fu pubblicata nel rapporto finale della commissione nazionale d’inchiesta presieduta da Taoufik Bouderbala che terminò i lavori nel maggio 2012
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