Patrizia Mancini
Prosegue ad oltranza lo sciopero della fame che alcune famiglie delle vittime e feriti della rivoluzione tunisina hanno iniziato da 5 giorni contro “le verdict de la honte”.
Lo scopo è quello continuare a mantenere viva l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica sul problema della giustizia, all’indomani del verdetto della vergogna che ha visto condannati a lievissime pene i principali responsabili dei massacri e delle uccisioni perpetrati dalle forze dell’ordine durante la rivoluzione tunisina.
Sembra che qualcosa si stia finalmente muovendo nella coscienza intorpidita dei tunisine e delle tunisine,storditi da una crisi economica senza precedenti che li costringe a concentrarsi sul problema drammatico di far quadrare i conti e arrivare alla fine del mese. Nonostante il tentativo di banalizzare la sentenza da parte di corifei del vecchio regime sulle reti televisive nazionali e sui giornali, i nodi vengono al pettine: si tratta della questione chiave che, accanto a quella economica e sociale, era stata messa in ombra a beneficio della più spendibile leggenda metropolitana della “dittatura islamica”. Parliamo della giustizia e, nello specifico, della giustizia di transizione che, a tre anni dalla cacciata di Ben Alì, ancora non è stata applicata in Tunisia.
Votata tardivamente nel dicembre 2013, la legge 52 ancora non è in funzione e solo in questi giorni si stanno scegliendo i nomi delle persone che formeranno la Commissione per la Verità e la Giustizia che dovrà esaminare l’enorme mole di dossier che riguarda tutte le vittime della dittatura e della repressione, dal 1955 al 14 gennaio 2011.
E sono ancora loro, i diseredati, gli umili, coloro i cui figli, mariti, fratelli erano in prima linea durante la rivoluzione, coloro i quali non hanno la fortuna di poter dimenticare…neanche per un attimo.
E così il 24 aprile un gruppo di famigliari e di giovani che sono stati feriti durante le rivolte del gennaio 2011 hanno cominciato uno sciopero della fame ad oltranza, considerato da loro stessi come l’ultimo mezzo per ottenere giustizia e verità.
La conferenza stampa
Il 28 aprile la conferenza stampa del coordinamento di sotegno allo sciopero della fame è stata aperta da Ali Mekki, presidente di “Lan Nansekom” (“noi non li dimenticheremo”) che ha coniato un nuovo slogan: sokkor w me’ w edholim le’ (Acqua e zucchero, ma no all’ingiustizia) che si ispira al grido rivoluzionario Khobz w me’ w Ben Alì le'(Pane e acqua, ma no a Ben Alì).
Il giovane ha ricordato come si sia persa l’occasione di fare del 12 aprile un grande giorno per il prosieguo della rivoluzione tunisina, con un verdetto che avrebbe reso giustizia alla memoria di chi ha sacrificato la propria vita per la cacciata del dittatore Ben Alì. Il 12 aprile, al contrario, rimarrà impresso nella storia come il giorno del tradimento della rivoluzione.
“Noi lo abbiamo sempre detto”ha poi proseguito Mekki”noi delle famiglie dei martiri sapevamo che i tribunali militari non potevano essere obiettivi, ma la società civile non è stata abbastanza pronta a reagire, ha avuto una sorta di timidezza che le ha impedito di stare al nostro fianco. Tuttavia, sembra che il 12 aprile abbia dato una scossa all’opinione pubblica che sembra risvegliarsi dal torpore ed è pronta a dare il suo appoggio alla nostra iniziativa. Lo sciopero della fame rappresenta il nostro ultimo strumento per farci ascoltare… Inizialmente erano i ragazzi che si erano proposti, ma poi i genitori delle vittime hanno insistito per avviarlo loro stessi. Abbiamo cominciato in cinque , all’aperto sotto alcuni gazebo in legno che si trovano nei giardini di Place des droits de l’homme a Tunisi. Ora siamo in 12, ma abbiamo dovuto trasferirci al coperto presso la sede del “Coordinamento Nazionale Indipendente per la giustizia di transizione” per le condizioni climatiche. Ci sono altri genitori anziani che vorrebbero unirsi a noi, ma i medici glielo hanno sconsigliato.
Noi riteniamo che in questi tre anni il Ministero degli Interni e quello della Difesa abbiano agito in modo da impedire che si facesse giustizia perché entrambi coinvolti nella repressione della rivoluzione: la polizia infatti è intervenuta fino al 14 gennaio 2011, ma dopo quella data è stato l’esercito a sparare contro i manifestanti.
Noi vogliamo che la classe politica prenda posizione e che si pronunci sul verdetto del 12 aprile, nessuno può mantenere il silenzio, sarebbe una forma di complicità”
Dopo l’intervento del presidente di “Lan Nansekom”, ha parlato Abdssalem Ramaqi, padre del martire Nawfel Ramaqi, ucciso a El Hamma il 13 gennaio 2011 che ha denunciato l’emarginazione di cui sono oramai oggetto le famiglie delle vittime, considerati alla stregua dei criminali, mentre ora gli assassini possono ridere.
Lofti Jlassi, ferito a Tunisi nel gennaio 2011 ha dichiarato: “Possiamo accettare qualunque ingiustizia, forse, ma non il verdetto del 12 aprile!”
Ma l’intervento che ha scosso di più la platea è stato quello di Najet Jomni (video), la madre del primo martire di Thala, Marwen Jomni che si unirà in questo giorno allo sciopero della fame:
“I nostri ragazzi erano usciti di casa con il sorriso perché capivano che ce l’avrebbero fatta e sono stati falciati dalle pallottole.Mio figlio è stato ucciso tre volte: l’8 gennaio 2011 dai proiettili, poi quando è stato esumato per l’autopsia e infine è stato ucciso dal verdetto del 12 aprile. La fame non ci ucciderà, contrariamente ai proiettili che hanno colpito i nostri figli. Noi siamo pronti a morire perché venga fatta giustizia nel loro nome. Noi rifiutiamo qualsiasi indennizzo pecuniario, vogliamo la verità, vogliamo sapere chi ha ucciso i nostri figli:”
Difficile per tutti, giornalisti e avvocati compresi, trattenere le lacrime .
Questa sera anche il canale televisivo nazionale “El Watania” ha ripreso le immagini della conferenza stampa e dato conto delle richieste dei partecipanti allo sciopero della fame:
1) Apertura di una inchiesta che determini le ragioni della sentenza
2) Misure per lottare contro l’impunità
3) Il passaggio ai tribunali civili dei dossier ora in mano ai tribunali militari.
Ma il nodo principale per buona parte degli attivisti e degli intellettuali vicini alle famiglie rimane la messa in vigore della legge 52, la legge della giustizia di transizione che non sembra all’ordine del giorno nell’agenda dei partiti, tutti presi dalle prossime scadenze elettorali.
Un appello affinché si renda operativa al più presto questa legge è stato messo online da un gruppo di cittadini e cittadine.
Hamadi Zribi ha tradotto le registrazioni degli interventi alla conferenza stampa
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