Patrizia Mancini
Al nono giorno dall’arresto di Azyz Amami e del suo amico Sabri Ben Mlouka continua a crescere la mobilitazione per ottenere la liberazione dei due giovani, accusati pretestuosamente di consumo di cannabis, e si allarga a molte regioni della Tunisia, prima fra tutte Sidi Bou Zid, di cui è originario Azyz. A Biserta ieri era previsto un incontro nella locale sede della casa della Cultura che però i responsabili non hanno voluto aprire.
Un segnale incoraggiante è venuto dall’assemblea che si è tenuta il 21 maggio presso la sala del cinema Rio, al centro di Tunisi, dove il filo di un discorso che sembrava diluitosi nelle divergenze fra i rappresentanti della “società civile”, è stato ripreso con determinazione.
Gli interventi che si sono succeduti per circa un’ora e mezzo di fronte alla sala colma riflettevano una rinnovata energia e una straordinaria volontà di riprendere la lotta contro lo Stato di polizia, sopravvissuto alla cacciata di Ben Alì: avvocati, artisti, famigliari dei giovani recentemente (e paradossalmente) imputati per “rivoluzione”, ma soprattutto alcuni feriti che portano inscritta sul proprio corpo la memoria della rivoluzione che la giustizia e la polizia tentano di cancellare, tramite una accurata riscrittura della storia secondo la quale “drogati e delinquenti comuni hanno assalito le sedi della polizia fra il dicembre 2010 e il gennaio 2011”. Una riscrittura tesa a lasciare in eredità alle generazioni future la verità delle risorte élites benaliste.
Alcune testimonianze
L’anziana madre di Fathi Jallel racconta della condanna di suo figlio a 10 anni di prigione per aver bruciato un posto di polizia a Tunisi che…in realtà è rimasto intatto.
Tarek Mabrouki, ferito durante gli scontri con le forze dell’ordine a a Thala l’8 gennaio 2011, testimonia del suo fermo avvenuto lo scorso 16 maggio da parte della polizia che, senza nessun motivo e dopo che il ragazzo aveva loro mostrato la tessera sanitaria che gli dava diritto alle cure come ferito della rivoluzione, lo ha trattenuto in cella a Bouchoucha per una’intera giornata. Come ai vecchi tempi, gli hanno anche rubato 50 dinari.
Gli avvocati Charfi Elkelil, Ayoub Ghedamsi e Oussema Helal riportano il focus sulla questione irrisolta, a quasi quattro anni dalla rivoluzione: se il potere poliziesco ha vacillato durante il primo periodo rivoluzionario, ora il Ministero degli Interni è tornato in forza a esercitare le medesime funzioni che aveva durante le dittature, quella di Bourghiba e quella di Ben Alì, tramite la repressione e la diffusione del terrore fra la popolazione. Esiste una circolare interna al Ministero che contiene precise istruzioni per l’arresto di tutti i “banditi” che hanno assalito i commissariati fra il 2010 e il 2011. E di conseguenza, in questi giorni, continua inesorabilmente ad allungarsi la lista dei giovani accusati ingiustamente di crimini commessi durante il periodo rivoluzionario (ieri sera contava quasi cento nominativi). A breve ne sarà disponibile una versione in francese e inglese, in modo da informare i media stranieri.
Charfi Elkelil, avvocato delle famiglie delle vittime e dei feriti, strappa un applauso quando incita i militanti ad abbandonare i tavolini del caffé l’Univers (ritrovo abituale della sinistra tunisina e più in generale degli “alternativi”), a smetterla di discutere per ore sulle virgole da apporre ai documenti politici e a ritrovarsi, invece, in questa che deve essere la lotta comune, contro lo Stato di polizia e la complicità di parte dell’apparato giudiziario. E appoggia la richiesta dell’attivista Ghassen Amami: fermare i finanziamenti ai sindacati di polizia da parte di alcune organizzazioni europee destinati ironicamente a formare “una polizia repubblicana”.
Si allarga il fronte delle mobilitazioni
Mobilitazioni anche in Francia e in Canada, mentre fra alcuni attivisti e militanti italiani in Tunisia si discute di come appoggiare la mobilitazione, anche dopo il processo contro Azyz e Sabri.
Un importante appoggio alla campagna di mobilitazione arriva anche dalla Spagna e dalla Catalogna: lo scrittore Santiago Alba Rico, collaboratore del nostro sito, ha coinvolto molti intellettuali e deputati del parlamento di Madrid e di quello catalano che hanno aderito all’appello ” Liberez tous les jeunes de la révolution tunisienne” Ne ha parlato in assemblea Nacho, un giovane dell’organizzazione Garua.
Al termine del meeting, vi è stata la proiezione del documentario “Weld Ammar” che parla del cyber-attivismo in Tunisia.
Le mobilitazioni continuano oggi a Tunisi con alcuni eventi artistici.
L’appuntamento più importante sarà davanti al tribunale di Babnet alle 9 del 23 maggio per dare solidarietà a Azyz e Sabri, per esigere la loro scarcerazione immediata.
La campagna poliziesca orchestrata ai danni di Azyz, il goffo tentativo di screditarlo agli occhi dei tunisini e del mondo intero con l’accusa di consumo di cannabis, non sembra fortunatamente aver funzionato. Non è servita a far tacere le moltissime voci che si sono levate per reclamare la sua liberazione e per liberare la Tunisia dalla colonizzazione interna che rappresentano le pratiche del Ministero degli Interni.
La lotta dovrà continuare, indipendentemente dal verdetto del prossimo 23 maggio per scagionare tutti i giovani rivoluzionari, per abbattere il sistema di Ben Alì che si sta vendicando della gioventù tunisina, contro ogni possibile ritorno dell’RCD(il partito dell’ex dittatore) perché, per usare le parole dell’intellettuale Choukri Hmed:“notre révolution n’est pas une rumeur!”.
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