Patrizia Mancini
Tunisi:nella notte del 3 settembre 2012 nel quartiere di Ain Zaghouan tre poliziotti sorprendono una giovane e il suo fidanzato che si trovano in un luogo appartato all’interno di un’auto. Due di loro violentano a turno la giovane, mentre il terzo costringe l’uomo a consegnarli tutti i denari in suo possesso. Il 26 settembre 2012 la coppia compare davanti al giudice con l’accusa di “attentato al pudore”. Ma Myriam (un nome fittizio che lei stessa si è scelta), forse anche beneficamente influenzata dall’onda lunga della rivoluzione che ha liberato la parola dei tunisini e delle tunisine, imprimerà una deviazione storica alle umilianti consuetudini che fino a quel giorno avevano distinto le risposte delle donne violentate in Tunisia: vergogna, paura e soprattutto silenzio per timore di rappresaglie o di scandalo all’interno dell’ambiente famigliare. Invece Myriam si è fatta visitare in una clinica dalla quale otterrà un certificato medico attestante la violenza sessuale, denuncerà alla giustizia i tre poliziotti, contrastando in questo modo il tentativo dei suoi accusatori di trasformarla da vittima di violenza in volgare “adescatrice”. Per la prima volta la parola di una donna in contrapposizione a quella della polizia acquista valore di verità e questo grazie allo straordinario coraggio di Myriam e alla mobilitazione (anche internazionale) che ha appoggiato le sua denuncia. Il presidente della Repubblica Marzouki le presenterà le scuse da parte dello Stato nell’ottobre 2012. Infine, insieme al suo fidanzato verrà prosciolta dall’accusa di attentato al pudore, mentre Walid Ben Mouldi Feriani et Mohamed Chawki Ben Ammar, i due poliziotti che l’hanno stuprata, il 31 marzo 2014 verranno condannati a sette anni di prigione e Mohamed Sassi Barhoumi che ha derubato il suo fidanzato dovrà scontarne due e pagare un’ammenda di 20.000 dinari ( l’equivalente circa 10.000 euro).
Nonostante la relativa e momentanea vittoria, la giovane ventottenne ora vive prevalentemente in Francia, dove sta terminando i suoi studi universitari. A tutt’oggi sono in pochi, all’interno del suo entourage famigliare, a conoscere le sue disavventure.
29 settembre 2014: nuova seduta del processo per l’appello presentato dalla difesa dei violentatori. Nonostante il comitato di appoggio a Myriam abbia chiamato alla mobilitazione, ci troviamo in pochissimi di fronte al tribunale, alcuni giornalisti, gli avvocati della ragazza, qualche attivista delle Femme Dèmocrats e Besma Khalfaoui, la vedova di Choukri Belaid, il leader del Fronte Popolare ucciso nel febbraio 2013. E, sorpresa, Mohamed Sassi Barhoumi (il terzo poliziotto) a piede libero che sorseggia tranquillamente un caffé appoggiato a un automobile. Nessuno sa come mai è fuori dal carcere, probabilmente a seguito di una domanda di libertà condizionata. Incontro personalmente Myriam per la prima volta e sono colpita dalla dalla fragilità e timidezza che emana da tutta la sua persona, dalla freschezza del suo bel sorriso.
Il processo è stato rinviato al 6 novembre (dopo le elezioni legislative!), ma Myriam ha ricevuto una non meglio specificata convocazione da parte del commissariato. Uno dei suoi avvocati, Ridha Raddaoui spiega che Myriam non si presenterà perché nella convocazione sussiste un vizio di procedura in quanto non è indicato il motivo, né l’eventuale riferimento a un articolo della legge. Myriam stessa ritiene si tratti di un pretesto per intimidirla , così come, all’interno del tribunale, gli sguardi di alcuni colleghi degli imputati continuamente rivolti verso di lei con aria di sfida e provocazione. Raddaoui ancora una volta sottolinea l’enorme coraggio di Myriam, lui che conosce bene un’altra realtà più diffusa, quella di chi tace lo stupro subito nel posto di polizia perché ha il terrore che la sua famiglia la emargini per sempre o che il suo fidanzato la lasci , la realtà di chi quotidianamente subisce avances e oscenità di ogni tipo quando viene fermata a un posto di blocco, oppure l’orrenda condizione di chi viene accusata di adulterio, violentata al momento dell’arresto (perché l’adulterio è ancora un delitto in Tunisia, anche se a fare le spese di questa legge iniqua sono prevalentemente le donne) nel commissariato di polizia e il cui calvario continua quotidianamente in cella con abusi sessuali di ogni tipo. Donne che non hanno la forza di denunciare i loro stupratori perché si sentono o vengono costrette a sentirsi colpevoli, oppure perché devono nascondere agli occhi della loro comunità, del loro quartiere il “misfatto” commesso e per questo subiscono il ricatto e le violenze da parte dei poliziotti e dai carcerieri. Va da sé che lo stesso trattamento viene riservato alle prostitute.
Nella Tunisia post-rivoluzionaria l’impunità della polizia continua a ripresentarsi sotto diverse forme (ne ho parlato varie volte e purtroppo sono certa che tornerò a parlarne), ma la violenza sessuale nei confronti delle donne è decisamente quella più odiosa e raccapricciante perché rappresenta un amalgama perverso di brutalità, negazione dell’umanità dell’altro e delirio di onnipotenza, perché commessa da chi dovrebbe difendere la legge e che invece si pone al di sopra di essa. Per questo la battaglia di Myriam è fondamentale, così come fondamentale è sostenerla perché ha cominciato a scalfire i meccanismi del potere poliziesco e una mentalità patriarcale soffocante che tende a colpevolizzare la vittima, anziché il suo violentatore.
Non lasciamola sola.
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