Giada Frana
Nel cuore della Medina di Tunisi, svincolandosi tra le varie stradine e bancarelle tipiche del suq, ci si imbatte in una suggestiva “zāwiya”, un edificio storico in cui i sufi, i mistici dell’Islam, si riunivano, utilizzato anche in funzione di “madrasa”, scuola, o di luogo d’accoglienza per i viaggiatori di passaggio. I primi esempi di zāwiya risalgono al secolo XII: rappresentavano importanti centri della vita sociale.
La zāwiya di Tunisi, utilizzata per diversi anni come semplice abitazione, ora è pronta a diventare di nuovo un punto di riferimento della vita sociale del quartiere, grazie all’intraprendenza e alla voglia di fare di un gruppo di giovani italiani e tunisini. Da maggio l’edificio ospita infatti lo spazio artistico – culturale “Twiza.
Twiza è una parola berbera: indica uno stile di vita basato sulla condivisione e sulla partecipazione collettiva. Un nome che calza a pennello per questo luogo, che in pochi mesi, tra diffidenze iniziali e curiosità, è riuscito a diventare quasi un tutt’uno con gli abitanti del quartiere. “Attraverso varie attività artistiche e culturali – mi spiega Simona, da cui è partita l’idea – vogliamo riuscire a coinvolgere quanta più gente possibile in questo progetto, in modo da far diventare Twiza uno spazio vivace per incontrarsi e condividere idee”.
Simona, 37 anni, della provincia di Enna, ha studiato all’Orientale di Napoli e Belle Arti a Londra. Dopo aver viaggiato tra Egitto, Siria, Marocco, Palestina ed Algeria, è approdata a Tunisi per la prima volta nel 2002, per poi ritornarci nel 2011, nei primi mesi post – rivoluzione. Dopo un periodo di pendolarismo tra Londra e Tunisi, da ottobre è stabile in quest’ultima città: “E’ da un po’ di tempo che volevo creare un progetto culturale simile – racconta Simona -, così appena ho avuto l’occasione ne ho parlato con qualche amico e ci siamo messi all’opera. Il luogo l’abbiamo trovato per caso: stavamo cercando da qualche mese uno spazio adeguato e, parlando con un parrucchiere del quartiere, ci ha indicato questa casa. Dalle sue parole sembrava fosse un edificio storico, ma quasi in rovina. Invece quando siamo arrivati, ce ne siamo subito innamorati”.
Da lì, il via all’autofinanziamento tramite crowd funding sul web: grazie alla cifra raccolta, i ragazzi hanno pagato l’affitto per l’edificio e si sono dati da fare per trasformarlo in un luogo ancora più accogliente.
Quando varco la soglia della porta delle zāwiya, rimango subito affascinata dalle decorazioni della cupola del tetto, e dall’inventiva dei ragazzi nel trasformare lo spazio. Al piano terra si trova uno spazio cottura e due stanze; sbircio all’interno e in quella più piccola è appesa una lavagnetta per le lezioni di lingua. Salendo le scale, in un tripudio di colori si arriva al piano superiore, dove tavolini – con materiali di recupero – materassi e cuscini alla araba sono pronti ad accogliere i visitatori.
“Pensiamo che l’arte sia un modo di vivere – dice Amadris, 29 anni -, qualcosa da condividere con le persone che abitano il quartiere, non qualcosa che deve stare rinchiusa nei musei. Il nostro stesso nome indica un modo di essere diverso rispetto al sistema”.
Amadris, un master di letteratura inglese alle spalle, è entrato a far parte di Twiza grazie ad un amico, anche lui nel collettivo: “Ha cominciato a parlarmi del progetto e mi è piaciuto. Si viene qui e si fa quello che si può, io suono la chitarra e mi è venuta l’idea di fare dei corsi di tunisino, arabo e chitarra”.
Safae, 22 anni, studentessa di legge, ha invece tenuto un workshop di danza del ventre: “Ho incontrato Ghaith, mi ha detto che avrei potuto dare una mano: mi è piaciuto ed eccomi qui. Questo è un posto dove si può essere se stessi, dove c’è amore, solidarietà e ci si può divertire
I ragazzi che compongono Twiza sono un mosaico di personalità diverse, ma tutti accomunati dall’idea di mettersi in gioco in prima persona e di fare qualcosa dal basso per promuovere la cultura: oltre a Simona, Amadris e Safae, c’è Ghaith, 24 anni, attore e clown, uno tra i membri più attivi, che ha tenuto laboratori di teatro per i bambini; Aurora, siciliana, studentessa di arabo, conosciuta da Simona alla Bourguiba School (la scuola di arabo frequentata per lo più da italiani, ndr); Rosa, inglese, ex coinquilina di Simona, ora tornata in Inghilterra; Mattia, studente di Scienze politiche, anche lui compagno di corso alla Bourguiba; Aymen, studente di Belle Arti; Tarek, insegnante ed artista; Francesca, fotografa italiana e Rafik, che non lontano da Avenue Bourguiba ha avviato il progetto autogestito “Blech hass”, dove i musicisti tunisini possono registrare le loro creazioni gratuitamente.
Nonostante le diffidenze iniziali – con anziani che storcevano il naso per la loro presenza – Twiza in poco tempo è riuscita a diventare un punto di riferimento per il quartiere, al punto che a volte alcune mamme lasciano lì i loro figli, sapendoli in buone mani, ed è capitato anche che alcuni bambini abbiano accompagnato qui un ragazzino di 17 anni di Sidi Bouzid, che stava dormendo per strada, chiedendo qualcosa da mangiare per lui.
Mentre intervisto i ragazzi, è un via vai di persone: alcuni bambini bussano alla porta e chiedono quando ripartiranno i prossimi workshop; e poco dopo entra un uomo, il vicino di casa, che si mette a chiacchierare del più e del meno con loro, proprio nello spirito di solidarietà e di partecipazione collettiva che lo stesso nome – Twiza – contiene.
l’articolo originale è uscito il 4 settembre 2014 sul blog CTRL magazine :http://www.ctrlmagazine.it/2014/cose-che-accadono-nella-medina-di-tunisi/
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