A quattro anni dai sollevamenti del 2011, che ne è dei giovani arabi? Questa domanda è stata il tema di un incontro organizzato da Orient XXI e dal programma WAFAW che si è svolto il 6 febbraio a Tunisi. Tale incontro ha permesso di mettere in luce in particolare la disillusione provata da grande parte dei giovani tunisini che non si ritrovano nel paesaggio politico emerso dopo la caduta di Zine el-Abidine Ben Ali.
Sotto il titolo “Dopo le rivoluzioni, i giovani sempre emarginati?”, la manifestazione ha attirato un grande pubblico e suscitato un gran numero di domande e di commenti. Si è svolta in tre parti, sia in arabo che in francese, precedute da una presentazione di Orient XXI.
Il numero di diplomati disoccupati in continuo aumento
La prima tavola rotonda intitolata “Condizioni economiche e contestazioni sociali” ha constatato la condizione di disincanto, se non di smarrimento della gioventù tunisina. Citando un recente studio sul campo, la politologa Olfa Lamloum, membro dell’equipe di Orient XXI Tunisi, ha indicato come il 90% dei giovani interpellati abbia risposto negativamente alla domanda”La vostra situazione è migliorata dopo la caduta del regime dell’ex presidente Ben Alì?”La ricercatrice ha anche insistito su”un inquietante abbassamento del morale dei giovani tunisini” Osservazione confermata da Salem Ayari, membro dell’UDC (unione dei diplomati disoccupati). « Il numero dei diplomati disoccupati non smette di crescere dal 2011 “ha così rilevato “I danni provocati da questa situazione sono enormi, a cominciare dalla continua emigrazione “clandestina e dall’aumento della delinquenza”. Per Ayari rimane intatto il problema strutturale della divergenza fra formazione universitaria e necessità del mondo del lavoro. « Vogliamo che si apra un dialogo nazionale su questo argomento che comporti anche una riflessione sul modello economico tunisino perché è quest’ultimo a definire il tipo di impieghi ai quali l’università deve preparare” ha concluso.
Il tema della disperazione della gioventù tunisina è tornato a più riprese negli interventi di Alaa Talbi di Ftdes ( Forum tunisien des droits économiques et sociaux) che ha insistito anch’egli su “il fallimento delle istituzioni educative” e ricordato come le attuali rivendicazioni socio-economiche dei giovani siano identiche a quelle che esistevano prima del 2011. « Il 70 % dei suicidi in Tunisia riguarda persone al di sotto dei 35 anni” ha spiegato. Una situazione preoccupante che va ad aggiungersi ai sentimenti di isolamento e marginalizzazione che provano i giovani dei quartieri popolari. Citando delle ricerche condotte in particolare a Hay Ettadhamoun, Tunisi, Medhi Barhoumi del’ ONG “International Alert” ha messo l’accento sul fatto che i giovani lamentino il wasm, la stigmatizzazione di cui sono ancora oggetto i loro quartieri. « Prima della rivoluzione, questi quartieri venivano descritti come zone ad alto tasso di criminalità e delinquenza. Oggi vengono viste anche come bastioni del salafismo, mentre gli abitanti si lamentano dell’insicurezza che vi domina e della mancanza di mezzi per le forze dell’ordine.”
Una contestazione sociale ancora repressa
In un contesto di disoccupazione elevata e di disillusione nei confronti delle promesse nate dalla rivoluzione del 2011, a molti giovani non è rimasta che la contestazione di piazza. Un approccio che” continua a confrontarsi con il persistere della criminalizzazione dei movimenti sociali” ha osservato, da parte sua, Mariem Bribi del Collettivo “E’ il mio diritto”« I giovani che manifestano nelle strade vengono spesso perseguiti e a volte per motivi più o meno sorprendenti come aver intonato cori irritanti o per oltraggi a a parole “ ha precisato. Analizzando le statistiche riguardanti i procedimento giudiziari delle manifestazioni di piazza, Bribi ha indicato che l’80% delle persone coinvolte hanno un’età compresa fra i 14 e i 35 anni. E ha richiesto “ la fine della criminalizzazione delle rivendicazioni sociali e della repressione poliziesca ». Termini forti che hanno fatto pensare al periodo di Ben Alì e ispirato il commento di un militante dell’estrema sinistra presente in sala che ha detto “Alla fine, la sola differenza con il periodo della dittatura è che oggi possiamo parlare più o meno liberamente di questa repressione nei confronti dei giovani e organizzarci alla luce del giorno per chiederne conto”
Di fatto, la questione della repressione rinvia anche al complicato rapporto che esiste fra l’UGTT ( centrale sindacale tunisina, molto influente) con altre organizzazioni fra cui l’UDC. Intervenendo a questo proposito, la sociologa Hela Yousfi ha innanzitutto ricordato che “ tutti i governi ad interim dal gennaio 2011 hanno continuato a criminalizzare i movimenti sociali” in particolare quelli sostenuti dalle organizzazioni giovanili “ L’UGTT ha sempre avuto un rapporto ambivalente con l’UDC ” ha precisato. Quest’ultima organizzazione, i cui effettivi si possono mobilizzare per azioni sul terreno, ha costituito un mezzo di pressione per l’UGTT che non sempre ha fatto sue le rivendicazioni dell’UDC. Certo, la centrale sindacale ha spesso offerto loro sostegno logistico quando era necessario, ma le agende di queste due organizzazioni non sono le stesse.”L’universitaria ha considerato come sia importante, nel futuro, seguire “l’emergere di nuovi attori sociali e il loro farsi autonomi rispetto all’UGTT .
I destini multipli dei cyberdissidenti
La seconda tavola rotonda dal titolo” Che cosa sono diventati i cyberattivisti?” ha fatto riferimento a uno dei punti emblematici della rivoluzione del 2011, anche se, come ha sottolineato Larbi Couikha, universitario e membro di Orient XXI _Tunis, “ bisogna evitare di attribuire l’intera paternità della caduta del regime di Ben Alì ai cyberdissidenti “. Se questi ultimi hanno svolto un ruolo attivo nella diffusione delle informazioni e, in fine, della contestazione, il social web tunisino “ è attraversato oggi da nuovi rapporti di forza uniti, forse, a un effetto generazionale”ha constatato Thameur Mekki di Orient XXI Tunis. Per Amira Yahyaoui, premiata nel 2014 dalla Fondazione Chirac 2014 e — ormai — celeberrima dirigente di Al Bawsala, un osservatorio della vita parlamentare tunisina “ I giovani che sono stati attivi su Internet fino alla caduta di Ben Alì si sono ritrovati successivamente a confrontarsi con il dilemma e i limiti della riconversione”. E’ così che , con qualche eccezione, molti di loro si sono tenuti a distanza dai partiti politici. Altri hanno creato delle nuove ONG o si sono aggregati a quelle esistenti e hanno dovuto avere a che fare con “la dittatura della neutralità” per poter portare avanti la loro azione. Proseguendo il suo discorso, ha insistito sul fatto che la libertà d’espressione rimane minacciata in Tunisia, dato che il potere è tentato dall’imporre linee invalicabili come quella del “rispetto dello Stato”
Questa tavola rotonda ha anche affrontato il dibattito sulla differenza fra cyber-dissidenza e cyber-attivismo.‘L’antropologo Kerim Bouzuita ha affermato che, essendo gli internauti divenuti tutti dei “cyborgs”, in altre parole degli esseri umani le cui capacità sono amplificate da macchinari (telefoni cellulari, computer, tablette…), la stessa nozione di “cyberattivismo” non è più pertinente e deve lasciare il posto al semplice termine di attivismo. Da parte sua, Lilia Weslaty, del giornale online Webdo ha indicato come la sua scelta di coinvolgimento all’indomani della rivoluzione l’abbia condotta a optare alla fine,per il giornalismo in nome della messa in opera di “contro poteri”. E ha scagliato alla platea questa pietra: “Il problema non era Ben Alì. Eravamo tutti noi. Noi portiamo tutti dentro di noi il male della dittatura. Il nostro paese ha bisogno di contro poteri, qualunque sia la natura del regime”
Fra gli interventi in questa tavola rotonda, senz’altro quello di Sami ben Gharbia, del blog collettivo Nawaat e figura d’avanguardia nella contestazione a Ben Alì su Internet, era fra i più attesi. Ritenendo che la priorità rimanga “la battaglia per il consolidamento dei diritti” conquistati dalla rivoluzione del 2011 e in particolare il diritto alla libertà d’espressione o d’iniziativa, il blogger ha rivendicato il termine di “cyberattivista” e rifiutato ogni obbligo di neutralità o di oggettività Per Sami Ben Gharbia la necessità di cambiare la Tunisia deve obbligare a confrontarsi con qualunque governo in carica, rimanendo consapevoli, allo stesso tempo, di come il cyberattivismo abbia poco peso al confronto a media come la televisione.
Da parte sua, Skander Ben Hamda, più noto come “Bullet Skan”, suo pseudonimo di cyberattivista (termine che rivendica a tutt’oggi) ha riassunto, a suo modo, il sentimento provato da tutta la società tunisina dopo la fuga del vecchio presidente. “Prima della caduta della dittatura, le cose erano facili. Eravamo uniti perché volevamo questa caduta. In seguito, sono apparse le divisioni. Ormai ciascuno di noi segue la propria via, ha un punto di vista diverso. Ci siamo separati, ma ora dei fatti inquietanti cominciano a farci unire nuovamente, come le minacce alla libertà d’espressione.
Quanto a Sofiane Belhaj, altra grande figura del web tunisino – il suo nome di battaglia: Hamadi Kaloutcha – ha patrocinato l’uso del termine “cyberdissidente”, ricordando velocemente come certi cosiddetti cyberattivisti difendevano il regime di Ben Alì e che uno di loro, Firas Guefrech, è diventato nel frattempo persino un consigliere del presidente Béji Caïd Essebsi. Ma “Kaloutcha” è andato oltre, denunciando il fatto che “il denaro riversatosi in Tunisia in provenienza dalle fondazioni e dalle cancellerie straniere ha fatto andare perduto lo spirito della dissidenza”Ha citato casi di falsi cyber-dissidenti apparsi come d’incanto dopo la caduta di B che sono riusciti a intercettare a loro profitto gli aiuti proposti da generosi donatori. “Alcuni di quelli che si battevano contro il regime hanno abbandonato il paese, disgustati dal fatto che alcuni usurpatori hanno preso il sopravvento con le loro ONG, create per l’occasione “
Questa tavola rotonda, come previsto, ha fatto sorgere numerose interrogazioni e interventi da parte del pubblico. Fra questi, un paio meritano di essere segnalati. Per Anouar Moalla, esperta di comunicazione, “il nemico comune dei cyberattivisti, in altre parole l’ancien régime, è ancora presente e in via di riciclarsi, per questo è necessario continuare la lotta e non cedere al canto delle sirene della neutralità” Quanto a Omeyya Naoufel Seddik, del “Centre for Humanitarian Dialogue” questi ha invitato a interrogarsi sul divario esistente fra “la soddisfazione che può procurare l’attivismo sul web e la realtà del suo impatto più o meno debole sul campo”
Un fallimento collettivo
Una delle constatazioni fatte a qualche mese dalla caduta di Ben Alì è stata che gran parte dei giovani, quelli stessi che erano scesi in strada, si disinteressava della politica. Presentata da i due politologi Khan Mohsen-Finan (Orient XXI-Tunis) e Laurent Bonnefoy (Wafaw)(1), la terza e ultima seduta ha riguardato questa tematica ed è stata quella che ha maggiormente provocato reazioni e interventi da parte del pubblico. Bisogna ammettere che il soggetto era importante. Come spiegarsi, in un paese in cui due terzi della popolazione sono considerati giovani, questa mancanza della presenza giovanile nella vita politica?
Per Fayçal Hafiane, consigliere del presidente Béji Caïd Essebsi,«la gioventù si è mobilizzata molto durante la campagna elettorale, ma ha avuto la tendenza in seguito a disertare di sua iniziativa gli apparati politici” A suo parere, le ragioni di tale disaffezione sono da ricercarsi “In una volontà di ottenere dei posti immediatamente, con impazienza” Un’altra ragione evocata, il persistere di una certa diffidenza nei confronti dei giovani sia da parte dei media che in seno all’opinione pubblica, più incline a privilegiare “la saggezza dei più anziani”. Un parere abbastanza condiviso da Osama Al-Saghir, deputato del partito Ennahdha secondo il quale: «l’assenza dei giovani in politica è un fallimento collettivo”, in particolare per quanto concerne l’elaborazione dei programmi elettorali. Il deputato ha invitato i giovani a organizzarsi per fare proposte che pesino sulle scelte politiche, in particolare nella prospettiva delle prossime elezioni municipali, un appuntamento elettorale molto atteso la cui data resta ancora indefinita (forse nel 2016) .
Altra figura della cyber- dissidenza, autodefinitosi “militante indipendente”, Azyz Amami ha voluto rovesciare i termini della questione Secondo lui: “«i giovani non credono nella favola politica attuale e non sono loro a trovarsi ai margini, ma i partiti poiché non hanno più presa sulla realtà”. Crede che la rivoluzione del 2011 non sia terminata e che “debba essere considerata un progetto da portare avanti fino alla scomparsa di tutte le vestigia del passato regime” (compreso il Ministero degli Interni), e ciò grazie a quello stesso “ transpartisanisme” che ha permesso di abbattere la dittatura di Ben Alì.
Intervenendo in questa stessa tavola rotonda, la politologa egiziana Chaymaa Hassabo, membro dell’équipe di’Orient XXI, ha fornito degli elementi di paragone con la situazione dei giovani nel suo paese. Gli elementi che ha presentato hanno fatto eco a diversi interventi della giornata, come “la criminalizzazione di tutte le rivendicazioni espresse dai giovani che scendono per strada”o ancora “la costruzione da parte delle autorità di falsi rappresentanti dei giovani” . La ricercatrice ha soprattutto ritenuto necessario interrogarsi sulla vulgata secondo la quale tutta la gioventù sarebbe “favorevole alla rivoluzione”. Quanto al perché le giovani egiziane non siano attive in politica, Chaymaa Hassabo ha voluto rispondere a mo’ di conclusione che semplicemente “ una buona parte di loro o si trova in prigione o negli obitori”
Infine, è l’economista Aziz Krichen che ha chiuso gli interventi su questo tema. L’ex consigliere del presidente Moncef Marzouki ha subito ricordato la realtà delle statistiche: “ Due terzi degli elettori non si sono sentiti coinvolti dal processo elettorale” ha precisato, aggiungendo che “l’85% di chi ha fra i 18 e i 35 anni non ha votato nel 2011” e che questa proporzione è sicuramente aumentata nel 2014 . Ciò è da addebitare al fatto che questi giovani non si sono ritrovati in quello che è emerso politicamente in termini di strutture partigiane (partiti ecc.)all’indomani del gennaio 2011. Si è augurato che le principali formazioni politiche tunisine si impegnino” in una tregua sul fronte del dibattito identitario” perché, a suo parere, la discussione verte ormai sulle questioni socio-economiche, come lo stato disastroso dell’agricoltura, dell’ambiente, il cattivo stato delle imprese e, naturalmente, la disoccupazione dei giovani
-
When Authoritarianism Fails In The Arab World, programma di ricerca multidisciplinare diretto da François Burgat, la cui equipe de ricercatori (tutti arabofoni) è stata formata da “’Institut français du Proche-Orient (Ifpo)”. Wafaw è finanziato fino al 2017 dal Consiglio Europeo per la Ricerca.
Traduzione dal francese a cura di Patrizia Mancini
l’articolo originale è uscito l’11 febbraio 2015 su Orient XXI :http://orientxxi.info/magazine/la-jeunesse-tunisienne-entre,0809
Follow Us