Héla Yousfi
Il 20 marzo 2015 uscirà il libro della ricercatrice e universitaria Héla Yousfi “UGTT: une passion tunisienne”, un’inchiesta sui sindacalisti durante la rivoluzione
*UGTT: Union générale tunisienne du travail è la principale centrale sindacale tunisina e conta 750.000 iscritti. Fondata nel 1946 da Farhat Hached, è presente soprattutto nel settore pubblico, ha 24 rappresentanze regionali, 19 organizzazioni di settore e 21 sindacati di base.
UDC: Union des diplomés chômeurs è l’associazione che riunisce diplomati e laureati disoccupati. Fu creata nel 2006 per sostenere il diritto al lavoro e lottare contro la corruzione del “sistema Ben Alì”. Conta 24 sedi regionali e 10.000 aderenti.
Durante l’episodio rivoluzionario, i membri dell’ l’Union des diplômés chômeurs contribuirono alla coordinazione delle diverse mobilitazioni, a fianco dei sindacalisti. Dopo la caduta di Ben Alì, l’UDC diresse molte azioni per rivendicare il diritto al lavoro e allo sviluppo regionale, constantemente sostenuti dall’UGTT a livello logistico e politico. Tale collaborazione fra sindacalisti e disoccupati risale all’epoca della dittatura, quando i militanti dell’UDC lavoravano ancora in clandestinità, ma avveniva senza l’avvallo della”burocrazia sindacale” che, secondo alcuni interlocutori, ricorreva alla forza per neutralizzare i movimenti di protesta. La rivolta del 17 dicembre 2010 ha riportato alla ribalta il problema della disoccupazione e le mobilitazioni dei disoccupati si sono moltiplicate sul territorio tunisino. Eppure il contesto politico post-14 gennaio 2011 e i successivi tentativi di neutralizzare il processo rivoluzionario hanno generato la costante criminalizzazione dei movimenti sociali nei discorsi politici e mediatici e hanno fatto dei disoccupati il principale bersaglio della repressione politica.
Se l’UDC è considerato come una importante organizzazione nazionale in termini di numero di adesioni, problemi finanziari e precarietà dei senza lavoro hanno suscitato l’appetito di diverse formazioni politiche. In questo modo l’UDC si è ritrovata adessere preda di dispute politiche. Dispute che, durante l’esplosione dei movimenti di protesta del dopo 14 gennaio 2011, non sono rimaste senza conseguenze nei rapporti fra UGTT e UDC.
Se si è largamente d’accordo sul fatto che l’UGTT abbia dato supporto a tutti i movimenti rivendicativi, sia quelli portati avanti nel proprio ambito che quelli al di fuori di esso, la competizione politica sembra aver stabilito una gerarchia delle lotte, favorendo quelle degli strati sociali legati all’UGTT e privilegiando le tematiche politiche a discapito di quelle socio-economiche.
Oltre allo scontro fra rivendicazioni corporativistiche da un lato e problematiche legate alla disoccupazione dall’altro, alcuni interlocutori dell’UDC denunciano come l’UGTT abbia spesso utilizzato la causa dei disoccupati per fare pressione sui vari governi al fine di realizzare i propri obiettivi, cioè conservare il proprio potere politico e rispondere alla rivendicazioni salariali dei suoi affiliati.
In effetti la battaglia politica scoppiata all’indomani delle elezioni dell’Assemblea nazionale costituente del 23 ottobre 2011 ha privilegiato l’importanza delle scadenze elettorali e relegato in secondo piano la questione sociale, accentuando i malintesi fra UGTT e UDC.
I membri dell’UDC più critici nei confronti del sindacato sentono di essere stati utilizzati come “carne da cannone” nella competizione fra i vari protagonisti politici.
Ci sarebbe così un “rapporto di classe” che si riflette nella relazione fra UGTT – che rappresenta le classi medie organizzate – e i disoccupati. Pur riconoscendo all’UGTT la legittimità della rappresentanza della questione economica e sociale, l’UDC critica l’esclusione dei disoccupati dalle istanze decisionali che trattano il problema della disoccupazione. Malgrado queste critiche, è utile sottolineare come i membri dell’UDC, pur difendendo l’autonomia della loro organizzazione, continuino a puntare sull’UGTT come unica forza in grado di pesare sulle scelte economiche e sociali del paese e con cui occorre costruire delle soluzioni comuni.
Tale relazione ambivalente tra l’UGTT e l’UDC dimostra che se l’UGTT, primo artefice del “Dialogo nazionale”, è riuscito in qualche modo ad attenuare le tensioni politiche grazie a un consenso costruito faticosamente, è chiaro come ciò si sia ridotto a una condivisione di potere fra la vecchia élite di governo e quella nuova, uscita dalle urne, allargando il fossato fra due visioni opposte di democrazia: quella che cristallizza la questione democratica attorno alla rappresentatività dei partiti e alla competizione elettorale e quella che crede che non si possa realizzare la democrazia finché le rivendicazioni sociali non saranno poste come priorità, al centro delle alternative politiche proposte.. L’UGTT, che ha accettato in occasione del “Dialogo Nazionale” di costituire un fronte unitario con i rappresentanti del padronato in modo da poter trovare un equilibrio negoziato fra le differenti forze politiche e sociali, ha rischiato di vedere la propria capacità d’azione sociale indebolirsi. Oltre a ciò, il sindacato si è mostrato disponibile ad accettare una nuova ondata di liberalizzazioni economiche proposte dai finanziatori in cambio di irrisori aumenti salariali per i propri membri.
In questo modo l’UGTT si trova di fronte a sfide ancora più difficili che in passato.
Innanzitutto, risulta sempre più difficile l’unione movimenti sociali che rappresentano le fasce più marginalizzate (come disoccupati e giovani) e l’UGTT, che è garante degli interessi delle fasce medie organizzate: un’unione che aveva costituito la forza dell’Ugtt, dandogli capacità di mobiltazione.
Alle divergenze storiche che opponevano ai tempi della dittatura la base sindacale (che rivendicava l’autonomia nei confronti del regime di Ben Alì) alla Direzione centrale, più o meno sottomessa al potere, si va sostituendo una spaccatura di natura diversa che attraversa tutte le strutture dell’UGTT e si materializza sulla questione della collocazione delle questioni sociali che comprendono allo stesso modo la privatizzazione dei servizi pubblici, la questione dell’annullamento del debito, così come i problemi legati alla disoccupazione.
Aumenta all’interno del sindacato la distanza fra chi sostiene un’azione limitata- negoziata a piccoli passi, che strappi concessioni alle élites economiche e politiche senza per questo rimettere in questione l’ordine economico e sociale – e chi, con l’acuirsi della crisi economica e avendo fiducia nella forza dei movimenti sociali, crede sempre meno che si possa negoziare con le élites attualmente al potere e chiede all’UGTT una posizione più ferma.
Combattuto nuovamente fra la volontà di svolgere un ruolo di primo piano nella sfera politica e l’esigenza di prendere parte alle lotte sociali, fra riflessi di conservazione e, allo stesso tempo, la necessità di rispondere alle nuove sfide rappresentate dalle trasformazioni del campo politico e sociale, l’UGTT rischia di assistere alla scomparsa d’equilibrio fra le due componenti, sindacale e politica, che erano la sua forza e al dissolversi della sua capacità d’azione. E’ vero che si ignora la via che verrà intrapresa dal governo ed è vero che è inutile specularci su, ma una cosa è sicura: e cioè che il monopolio del Partito- Stato è finito. Nuove forze economiche e nuovi tipi di movimenti sociali si stanno formando, proprio al di fuori del Partito-Stato, mettendo in moto nuove dinamiche sociali.
L’UGTT, erede di una grande tradizione di lotta e detentore di un patrimonio di memoria che gli da legittimità storica, si trova oggi a un bivio: potrà gestire i propri cambiamenti oppure continuare a difendere il suo ruolo nella nuova congiuntura politica e economica soltanto se sarà in grado di rinnovarsi e di rimettere la giustizia sociale al centro del progetto di emancipazione politica che difende.
Traduzione dal francese a cura di Patrizia Mancini
in francese :http://www.tunisiainred.org/tir/?p=5090
in arabo:http://arabi.assafir.com/article.asp?aid=2774
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