Il progetto di legge relativo alla repressione delle aggressioni contro le forze armate continua a suscitare reazioni indignate. Di fronte alle proteste, giornalisti, società civile, partiti politici e persino una frangia dei sindacati delle forze dell’ordine rigettano tale progetto e chiedono al Parlamento il ritiro puro e semplice della legge. La Commissione parlamentare incaricata della legislazione generale rassicura l’opinione pubblica attraverso la sua vice-presidentessa, Latifa Habachi, la quale ha annunciato ai media che il progetto di legge sarà esaminato e rettificato alla luce delle critiche e delle riserve della società civile.
Le origini di tale progetto risalgono al governo presieduto da Alì Laarayed (il cosiddetto governo della Troika, in cui due partiti affiancavano il partito maggioritario di ispirazione islamica Ennahdha n.d.t). Una prima versione vide la luce nel 2013, ma rimase bloccato in attesa della transizione politica. Per difendere la legittimità del progetto Sahbi Jouini, Segretario Generale dell’Unione nazionale dei sindacati delle Forze dell’ordine, dichiarò sul canale televisivo Neesma che diverse personalità pubbliche avevano contribuito alla sua stesura. Volendo evitare le critiche, Latifa Habachi precisa:
“la versione proposta dal governo Laarayed è stata completamente modificata nel nuovo progetto. Del resto, la denominazione del vecchio testo era “protezione delle forze armate” e non conteneva il termine repressione”
Da parte sua, Ahmed Rahmouni, presidente dell’Observatoire Tunisien de l’Indépendance de la Magistrature, ci spiega come proporre emendamenti a tale legge ne ammetterebbe la legittimità , aprendo la serie infinita delle leggi distinte per ciascun settore:
“Questo progetto di legge spalanca le porte a ulteriori richieste di norme riguardanti altri funzionari dello stato che sono esposti a minacce o altri pericoli. Ciò non è ammissibile, soprattutto perché già esistono le prescrizioni penali e la legge anti- terrorismo a protezione degli individui e delle istituzioni. E’ facile immaginare come il ricatto esercitato attraverso le famiglie e le persone vicine alle forze dell’ordine (che questo progetto propongono di difendere) sia estremamente pericoloso per la pace sociale e la sicurezza nazionale”
Nel commentarlo, Naziha Rjiba, presidentessa dell’associazione “Vigilance”, considera questo progetto di “repressione” un primo abbozzo per preparare il ritorno dello Stato di polizia.
In ogni democrazia vi sono leggi antiterrorismo che servono nello stesso tempo a proteggere i cittadini e le forze armate. La Tunisia non è ancora una democrazia solida. Non abbiamo ancora dispositivi di controllo efficaci come la polizia della polizia per imporre le leggi e i diritti umani.
E’ evidente come questo progetto di legge scandalizzi coloro i quali si preoccupano della libertà di espressione e del rispetto dei diritti umani. Molti articoli sono, per usare un eufemismo, liberticidi e e mettono in pericolo la libertà di stampa e di opinione. In effetti, il secondo capitolo di questo progetto di legge riguardante la segretezza della sicurezza nazionale è in totale contraddizione con la Costituzione tunisina. Secondo l’articolo 4 , qualunque informazione legata alla sicurezza nazionale è classificata come segreto di Stato. La vaghezza di questa definizione potrebbe includere le informazioni legate alla corruzione, alla tortura e ad altri crimini che rischierebbero di rimanere impuniti perché coperti da questa legge.
L’articolo 5 prevede dieci anni di prigione per la distruzione, il furto, l’appropriazione, la divulgazione o l’alterazione, con diverse modalità, di documenti classificati come segreti.
L’articolo 7 si spinge ancora più in là, vietando, senza previa autorizzazione, le registrazioni audio-visive in tutti gli edifici legati alla sicurezza nazionale. Questa misura ,che è già in vigore per quanto riguarda l’esercito, diviene poco rassicurante quando si tratta di un commissariato di polizia, delle prigioni e carceri tunisini e persino delle dogane. Perché in questi edifici gli abusi e le violazioni dei diritti umani non verranno mai rivelati alla giustizia da chi li compie!
Nel terzo capitolo, l’articolo 12 pone una problema enorme. Secondo questo articolo “è punito a 2 anni di prigione e a una ammenda di 10mila dinari (circa 5000 euro n.d.t) chiunque denigri le forze armate in modo da nuocere alla sicurezza nazionale”.
Effettivamente il termine “denigrare” ci ricorda le leggi in base alle quali recentemente si sono svolti in Tunisia alcuni processi nei tribunali militari Se dovesse passare questo progetto, ben presto centinaia di Yassine Ayari ( *)saranno imprigionati per il semplice fatto di aver criticato le forze armate.
I difensori di questa legge avanzano argomenti legati ai pericoli che corrono le forze armate e le loro famiglie. Secondo Sahbi Jouini, negli ultimi mesi, 500 minacce di morte sono state indirizzate direttamente agli agenti della sicurezza.
Oggi nessuno può negare la necessità di proteggere le forze armate. Le minacce quotidiane riguardano anche le nostre famiglie e le nostre abitazioni. Anche se alcuni articoli come il 3, 4, 5 o il 12 sono da emendare, il resto del testo deve passare, afferma
Da parte sua Bochra Bel Haj Hmida, deputata (Nidaa Tounes, partito di maggioranza al governo n.d.t) e membro della Commissione per la legislazione generale all’Assemblea dei rappresentanti del Popolo (denominazione del parlamento tunisino n.d.t), ci spiega che:
“Questo progetto di legge cerca di avere un effetto dissuasivo allo scopo di mettere paura alla popolazione. Dopo le molteplici aggressioni terroriste nei confronti delle forze armate, alcuni pensano che la soluzione consista nel mettere in atto una legislazione ancora più severa di quella in vigore. Personalmente, penso che la soluzione debba essere la modernizzazione degli apparati di sicurezza e l’instaurazione di un nuovo rapporto basato sulla fiducia fra polizia e cittadino.”
Di fronte al rifiuto della stragrande maggioranza dei partiti politici e dell’Assemblea dei rappresentanti del popolo, diviene improbabile che la legge venga validata. Ma la battaglia non è ancora finita.
Questa nuova legge non sarà un nuovo espediente per alzare ulteriormente il livello di tolleranza nei confronti delle “esigenze” della lotta contro il terrorismo? Sarebbe una vera delusione se ci si contentasse di una parvenza di compromesso con il pretesto di evitare il peggio, come è successo con la redazione della nuova Costituzione.
(*) Yassine Ayari, blogger della rivoluzione, in seguito ha assunto posizioni controverse. A causa di alcune critiche alle forze armate postate sul suo profilo Facebook, è stato condannato a tre anni di prigione.
L’articolo originale è apparso il 23 aprile 2015 sul sito nawaat.org http://nawaat.org/portail/2015/04/23/loi-de-repression-des-agressions-contre-les-forces-armees-le-gouvernement-essid-dans-les-pas-de-la-troika/
Traduzione dal francese a cura di Patrizia Mancini
Follow Us