Giada Frana
Non è facile essere un artista in Tunisia: poche gallerie d’arte presenti, spazi culturali che chiudono uno dopo l’altro per mancanza di fondi e disinteresse da parte dello stato, clichés che accompagnano l’arte contemporanea per cui gli artisti del post rivoluzione devono necessariamente essere giovani per essere tali, assenza di riviste d’arte: la “primavera araba” nel settore artistico-culturale deve ancora pienamente realizzarsi.
In mancanza di spazi adeguati, gli artisti tunisini riescono ugualmente a catturare l’attenzione del pubblico attraverso i social network, grazie ai quali l’arte può arrivare ovunque e coinvolgere anche persone che non metterebbero mai piede in musei o spazi espositivi. Una cosa è certa: dopo la cosiddetta “Rivoluzione della dignità”, lo sguardo degli artisti tunisini è passato dalla vita privata alla società circostante e le loro opere sono spesso diventate un mezzo di denuncia sociale e un modo alternativo ai mass media per far conoscere all’estero l’attualità tunisina.
Un esempio è dato dai lavori di Mouna Jemal Siala, artista pluridisciplinare, che negli ultimi anni si è dedicata soprattutto alla fotografia.
“Personalmente credo che non si possa scindere il vissuto dell’artista dalla propria arte – racconta a Tunisia Express -: la vita privata dell’artista si riflette nelle sue opere, è mostrata in modo artistico. Dopo la rivoluzione i cambiamenti politici hanno influenzato il modo di porsi e di creare, anche se non è stata una reazione immediata. Ci si sente maggiormente dei cittadini e in quanto artisti, l’essere cittadini si legge attraverso le nostre creazioni. Prima non ci passava per la mente di esprimere la propria opinione su questioni di attualità, ognuno di noi si autocensurava. Ora siamo più liberi, anche se rimane la paura degli estremisti, che interpretano a proprio piacimento. Nel 2012 non avevano nemmeno visto le opere di una mostra ed hanno accusato gli artisti di blasfemia. Ma non bisogna avere paura”.
Mouna, una laurea in arti plastiche specializzazione incisione all’Istituto tecnologico d’arte, architettura e urbanistica a Tunisi, un dottorato in Arte e Scienze dell’arte all’Università Paris I Panthèon-Sorbonne, dal 1998 insegna arti plastiche all’Istituto superiore di Belle Arti a Tunisi. Ha cominciato ad esporre le proprie opere nel 1993, partecipando a Biennali e diversi eventi, tra gli altri, in Francia, Germania, Spagna, Belgio, Algeria, Svizzera, Marocco, New York e Dakar ed ottenendo riconoscimenti nazionali ed internazionali.
“Amo disegnare sin da piccola: mia madre ha conservato i disegni di quando avevo 18 mesi e già si poteva notare una vena artistica, che lei ha senz’altro contribuito a far crescere in me. Così, dopo il diploma di scuola superiore, non ho esitato e ho scelto le Belle Arti”. Mouna si specializza nella tecnica dell’incisione, per passare alla fotografia dopo la tesi: “Ero preoccupata dal passare del tempo: sia la tecnica dell’incisione che della fotografia permette di lasciare una traccia della propria opera”.
I primi tempi Mouna si dedica molto agli autoritratti; con la nascita dei suoi tre gemelli fa capolino il tema dell’infanzia, il 2010 è l’anno dei cambiamenti:
“Il mio sguardo si è rivolto verso la società, per poi tornare di nuovo all’autoritratto: attraverso gli interrogativi posti alla mia identità, rivolgo delle domande anche alla società circostante”.
Dalla rivoluzione la politica e le questioni di attualità prendono piede nelle sue opere, in cui l’artista si mette sempre in gioco, utilizzando il binomio corpo-fotografia. Come in “le sort”, “la sorte”, in cui, vestita con una maglia nera, si vede il suo viso, nella serie di fotografie che la ritraggono, diventare man mano completamente nero: un grido contro l’estremismo religioso e il voler imporre un certo modo di vestirsi, soprattutto per le donne.
Il libro “Non à la division – la photographie citoyenne”, “No alla divisione – la fotografia partecipativa” è invece un’opera contro l’aria di divisione che per un certo periodo si è respirata in Tunisia: “Il libro contiene 217 foto, come il numero dei rappresentanti all’ANC, l’Assemblea Nazionale Costituente, a significare che tutti i tunisini vi sono rappresentati – continua Mouna -. Era un periodo in cui ci si attaccava a tutto pur di dividere il popolo: laici-islamisti, nord-sud, quartieri popolari contro quartieri chic, discriminazioni razziali e via dicendo. Il tutto è cominciato dai social network: mi sono scattata una foto in cui avevo il viso tagliato in due da una linea nera, con la scritta “no alla divisione” e l’ho condivisa su facebook. Questa divisione era percepita da tutti e così le persone sono diventate mie complici, si sono messe in gioco e dal virtuale, è nata un’esposizione e nel giro di due anni ho raccolto le fotografie in un libro: questa linea è diventata l’elemento in comune dei partecipanti”.
Un’opera che, dopo l’attentato al museo del Bardo, rimane senza dubbio attuale, come hanno dimostrato le numerose manifestazioni di piazza il cui leit motiv era proprio il restare uniti di fronte alla minaccia terroristica. Sempre attraverso facebook, Mouna ha voluto ribattere agli ultimi fatti di cronaca in Tunisia: in un liceo a Jendouba, dei giovani hanno esposto un ritratto di Hitler e così ha sottolineato il suo no all’apologia del nazismo attraverso un selfie ironico, un paio di baffetti finti e la dicitura “Sono Charlie Chaplin e non Hitler”, diventando Charlie Chaplin de “Il grande dittatore”.
“Non bisogna generalizzare: non accadono solo queste cose in Tunisia, la Tunisia è ben altro”.
Tra i progetti in cantiere, il video “Le fils”, “Il figlio”, (di cui ci ha concesso in anteprima qualche immagine) contro il terrorismo che vede come protagonista suo figlio e una mostra al B’chira Art Center a giugno. Per quanto riguarda il video “Il figlio”: “Ogni volta che un soldato muore o uno dei nostri giovani va in Siria a combattere, penso alle loro madri e al dolore che possono provare. I puntini sul corpo di mio figlio possono essere letti sia come segni di fucilate, che come i quadratini neri della kefiah palestinese e quindi simbolo di resistenza”.
E sul futuro dell’arte nel suo Paese conclude: “A volte mi sento incompresa e mi chiedo per quale pubblico sto lavorando. Spesso utilizzo facebook come una specie di galleria d’arte virtuale, per promuovere i miei lavori e poter interagire con immediatezza con le persone.
Spero che il nostro settore possa migliorare, ma bisogna che i politici ci mettano del loro, che comincino a sensibilizzare sin dall’infanzia sull’importanza dell’arte e della cultura. Per me l’arte è una necessità e l’artista è una parte indispensabile della società, un visionario che veicola e la cultura dell’epoca, cercando di far riflettere e allo stesso tempo emozionare i cittadini”.
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