Ambiente e diritti economici e sociali – Intervista a Habib Ayeb 1° parte

Crédit: https://www.google.tn/url?sa=i&rct=j&q=&esrc=s&source=images&cd=&cad=rja&uact=8&ved=0CAYQjB0&url=http%3A%2F%2Freseaup10.u-paris10.fr%2F2eme-aper-eau-scientifique-leau-pourquoi-la-gratuite-est-une-necessite-ecologique-et-sociale-tunisie-egypte-temoignage-de-habib-ayeb-univ-p10-le-3-avril-2013-a-18h%2F&ei=I92KVZ7eOPCp7Aaiy43gCg&bvm=bv.96339352,d.bGQ&psig=AFQjCNHfUDQ4buKNr_LtWQtneIFk7BQf9A&ust=1435250338025473

Habib Ayeb, a destra, a colloquio con un agricoltore dell’oasi di Chenini, Gabes

Habib Ayeb

Geografo tunisino, Insegnante e ricercatore all’Università Parigi 8 in Francia, attivista e realizzatore di documentari come “Gabes labess” (A Gabes va tutto bene”) “ e “Fellahin (Contadini)

Questa intervista è stata realizzata fra aprile e giugno 2015

Tunisia in Red: vorremmo cominciare da una tua nota che hai scritto in aprile che riportiamo qui  integralmente. Ci è apparso un punto di vista inedito sul quale ti chiediamo un approfondimento:

A proposito del progetto di legge contro il terrorismo”

E’ già molto tempo che i rappresentanti parlamentari tunisini discutono di un progetto di legge contro il terrorismo. Viste le difficoltà e le reticenze politiche, le strategie dei politicanti di una parte e dell’altra, la discussione rischia di prolungarsi ancora per molto, senza arrivare necessariamente a un testo “comune” adeguato. Ma al di là dei compromessi possibili sulla sua versione definitiva, sarà assai difficile, se non impossibile, l’elaborazione di una legge che possa nello stesso tempo proteggere contro il terrorismo e rispettare i diritti umani.

Una legge anti-terrorista sarà per forza una legge d’eccezione con tutto quello che comporta in termini di limitazioni dei diritti.

La questione perciò è la seguente: E’ assolutamente necessaria una legge anti-terrorista?

A rischio di farmi dei nuovi “nemici”, la mia risposta è No. Penso effettivamente che un paese democratico moderno e rispettoso del senso stesso di Diritto, non deve cedere alla facilità delle leggi eccezionali.

Populismo? Può darsi, ma lo rivendico.

Detto questo, se bisogna assolutamente elaborare una legge che assicuri un livello ragionevole di protezione contro il terrorismo, bisognerebbe cercare di farne una legge di eccezione “positiva che rafforzi il Diritto, invece di limitarlo.

Per non limitarmi a una posizione “tanbirista” (in tunisino il termine tanbir è utilizzato per designare coloro i quali hanno sempre da ridire e criticare su tutto n.d.t),proverò a elencare qui di seguito alcuni articoli fondamentali

Articolo 1. Lo Stato riconosce il diritto opponibile di ciascun cittadino/a a un alloggio, un reddito minimo universale, una copertura assistenziale e medica universale, una scolarizzazione di qualità

Articolo 2: Lo Stato riconosce il diritto opponibile di ciascun cittadino/a a un accesso incondizionato, continuo e gratuito a un volume d’acqua che copra il fabbisogno di base

Articolo 3: Lo Stato riconosce il diritto opponibile di ciascun cittadino/a alla sovranità alimentare individuale e collettiva

Articolo 4: Lo Stato riconosce il diritto opponibile di ciascun cittadino/a a un ambiente sano

Articolo 5: Lo Stato si fa garante dell’insieme di questi diritti e s’impegna a indennizzare tutti/e i cittadini/e che trovino una qualunque difficoltà d’accesso a uno o alla totalità dei suoi diritti

Probabilmente ciò non sarà sufficiente a impedire radicalmente tutti gli atti “terroristi”. Ma sono convinto che ne limiterebbe enormemente il propagarsi e la capacità di reclutamento.

Habib Ayeb: Di solito i miei “statuti” sono molto condivisi, mentre questo non ha avuto molto successo, il che dimostra che la questione del terrorismo è un tabù, che non abbiamo il diritto di parlarne,che ormai c’è l’unione sacra intorno a tutto quello che si decide a livello dello stato e tutti devono dire amen. Tuttavia, ciò rappresenterebbe una marcia indietro enorme per questa rivoluzione che, nonostante i suoi difetti e problemi, non merita di essere schiacciata da una legge antiterrorismo. Uno stato degno di questo nome non ha bisogno di leggi speciali per difendersi dal terrorismo, leggi che limiterebbero le libertà. Purtroppo, invece è lo stesso Presidente Beji Caid Essebsi che va in televisione a dichiarare la guerra contro il terrorismo e a dire che le libertà si fermano là dove comincia il terrorismo! Non solo si torna alle politiche securitarie di Ben Alì, ma anche alle stesse politiche economiche. Dirò una cosa che può suonare come una bestemmia: ai tempi di Ben Alì è vero che vi era un’assoluta stabilità e un tasso di crescita intorno al 5%. Ma a quale prezzo?Io non ne voglio sapere di questa Tunisia che ogni anno celebra la rivoluzione il 14 gennaio, ma che continua a riprodurre lo stesso modello sociale ed economico. Credo altresì che in questa situazione occorra ampliare e rafforzare i diritti e, fra questi, il diritto a un ambiente sano. Quindi nella stesura della legge antiterrorismo io ne manterrei la denominazione, stravolgendone il contenuto così come dichiaro in quello statuto. Immaginatevi la pubblicità a livello mondiale :“Il paese del 14 gennaio 2011, la Tunisia, il primo paese al mondo che emana una legge contro il terrorismo che rafforza i diritti di tutti e di tutte”, i terroristi stessi diventerebbero pazzi. Ma la maggioranza delle persone non vede la necessità e l’importanza politica di rafforzare i diritti sociali e quando, ad esempio, mi sentono parlare del diritto universale all’acqua, sono convinti che si tratti di populismo, oppure quando dico che nessun bambino deve essere obbligato a camminare per un’ora, spesso a piedi nudi, per raggiungere la scuola, mi sento rispondere che non è urgente.

Tunisia in Red: La questione ambientale in Tunisia è sicuramente fondamentale, ma a livello mediatico si opera una evidente manipolazione, trasformando il discorso in una “moda ambientalista post-rivoluzionaria”, come l’hai definita recentemente.

Habib Ayeb: Sì, perché il discorso che prevale non affronta il problema globalmente come un diritto di tutti a un ambiente sano, ma ne stravolge il senso. Mi spiego: quando si parla continuamente del problema dell’immondizia, non si chiarisce che in un paese del Sud del mondo che conosce alti livelli di povertà e gravi problemi di sviluppo, avere una strada sgombra da rifiuti è un privilegio per pochi, nel momento in cui il resto del paese vive immerso nell’immondizia. Io stesso sono cresciuto nell’immondizia, è solo più tardi che ho imparato che è meglio vivere in un ambiente pulito. Un ambiente salubre non è un privilegio, è un diritto. Tu non puoi sognare e immaginare di godere di buona salute per te, i tuoi figli ecc. se intorno a te vi è un mondo inquinato, se l’acqua che esce dal tuo rubinetto è inquinata, ma bere dell’acqua pulita o minerale è un privilegio dei ricchi. Perché non da tutti i rubinetti di tutti viene fuori dell’acqua pulita? E perché non tutti hanno diritto a un rubinetto? A Tunisi ci sono due laghi, il Grand Lac dei ricchi e il Lac dei marginalizzati. Ogni volta che vengo in Tunisia vado a fare un giro a Saida Manoubia che si trova sul lago dei poveracci, il Sijoumi.

seijoumi

Da casa mia che si trova al centro della città ci vogliono 37 minuti a piedi per arrivarci, quindi non stiamo parlando di Sejenen o di Metlaoui, (cittadine delle regioni dell’interno n.d.t) siamo nella città, ma in quella zona dove ci sono delle famiglie che sovente distruggono il sistema idraulico della loro casa perché i i figli non si facciano la doccia sprecando così l’acqua e riducono in questo modo l’importo della bolletta. Quella parte della città dove quando piove le fogne straripano e dato che in mezzo al quartiere ci passa l’autostrada, l’acqua non defluisce e loro rimangono letteralmente nella merda, mentre al Grand Lac tu trovi delle famiglie che vivono come se fossero a New York e non ti sembra nemmeno di essere in Tunisia. Quando invece si cammina al bordo di Sijoumi, fra l’inquinamento, l’autostrada e la povertà spaventosa, ti viene voglia di uscirne immediatamente, di vedere qualcosa d’altro. E se a La Marsa o a Sidi Bou Said (cittadine della periferia chic n.d.t.) succede che un giorno non passino a raccogliere l’immondizia, si grida allo scandalo nazionale. Durante il governo dei “tecnocrati”,  il ministro dell’ambiente e del territorio Hedi Laarbi che passava buona parte del suo tempo alla televisione, insieme alla sua collega la ministra del turismo Amel Karboul, ebbe la brillante idea di lanciare una campagna per l’ambiente e cosa fece? Fece pulire gli alberghi dell’isola di Gerba e i quartieri chic di Tunisi! Nel mio piccolo io avevo replicato polemicamente con la proposta di andare a fare pulizia a Saida Manoubia. Ho invitato pubblicamente tutti, ministri, candidati alle elezioni, turisti, stranieri. Sarei venuto dalla Francia proprio per questo. Ma non è venuto nessuno, nessuno si è iscritto, del resto il ministro neanche sapeva dove si trovasse quel quartiere.

Il discorso ambientalista dunque non può prescindere dalla giustizia sociale e ambientale, è l’accesso per tutti all’acqua e alla pulizia, a un rubinetto per il quale non si debba continuamente chiedersi se fa uscire acqua inquinata o no. E’ legato intimamente a un altro diritto fondamentale che è quello alla salute. Mi ricordo che all’indomani della rivoluzione, durante l’estate 2012, c’erano state delle interruzioni nelle forniture dell’acqua e alcuni gruppi di persone organizzarono delle carovane di aiuto per la gente di Gafsa che non aveva l’acqua, erano in buona fede, non politicizzate sicuramente, ma in questa maniera veniva alimentata una mentalità della carità che non mette in discussione le responsabilità dello Stato. Sento dire da gente che abita a la Marsa che loro hanno scelto di vivere lì perché odiano la sporcizia e il rumore e che pagano caro per viverci, come se invece a tutti gli altri piacesse vivere nell’immondizia…torniamo al discorso del privilegio e all’assenza di un discorso sui diritti.

Tunisia in Red: Gabes, Gafsa, l’estrazione dei fosfati che produce inquinamento . A tuo avviso, c’è un’alternativa?

Habib Ayeb: Quando c’è stato il dibattito alla fine della proiezione del mio documentario “Gabes Labess” nel 2014 a Tunisi, mi è stata posta la stessa domanda e io continuavo a girarci intorno, perché non è una risposta che si riesce facilmente a dare. Ma un oncologo che lavorava in un ospedale è intervenuto, raccontando che quando gli arriva un paziente, non ha dubbi e interviene facendo quello che è necessario per salvargli la vita, se deve tagliare, taglia, se deve operare, opera, sa che dopo ci saranno dei “danni collaterali” come quelli indotti dalla chemio e sa non potrà restituirgli la parte amputata, ma magari riesce a dargli altri dieci anni di vita. Mi ha aiutato a rispondere: è brutale, evidentemente, se si pensa che a Gabes ci sono 6000 famiglie che vivono grazie al lavoro offerto dal complesso chimico e che non vogliono lasciare il proprio lavoro. Ma conosco anche dei palestinesi che lavorano nelle colonie israeliane, senza essere per questo dei collaborazionisti. In entrambi i casi si è obbligati a farlo per poter vivere, sono argomenti che si possono capire. Ma nello stesso tempo sappiamo che nella regione di Gabes, (ma potremmo citare altri luoghi dove l’inquinamento ha distrutto l’ambiente come Gafsa, Sfax, Ben Arous) il mare è inquinato, morto, finito, non si vede niente e non è una storia vecchia, conosco persone, testimoni che vi pescavano. L’oasi, l’unica oasi litoranea al mondo sta morendo, ha perso metà della sua superficie fra il 1990 e oggi le palme cadono una dopo l’altra. Sapete, l’oasi è un piccolo miracolo sulla terra, un ecosistema che è sopravvissuto ai processi demografici, ai diversi sistemi di coltivazione intensiva, sulla stessa parcella di terreno si poteva trovare da una parte il palmeto, poi un aranceto, là delle carote, c’erano canali d’irrigazione e poi le persone si trovavano persino un angoletto per abitarci.

gabes labess affiche

Ciò è’ durato secoli, e la gente arrivava a mettere al modo fino a 8 figli, e per secoli non è andato perduto un metro quadro di palmeto, invece in trent’anni ne è andata distrutta la metà. L’oasi di Gabes che esisteva da decine di secoli, da qui a sessant’anni scomparirà, morirà a causa delle politiche sbagliate. Io capisco che esista un grande problema per parlare della chiusura degli impianti questo se manteniamo una visione a breve termine e ammettiamo che la gente ha bisogno di lavorare, che il paese deve esportare perché ha necessità di valuta estera, ma tutti questi politici che si svegliano la mattina chiedendosi quale radio li intervisterà, che si attaccano a vicenda su questioni di poco conto, non pensano al futuro del paese? Se non vogliono pensarci, almeno riflettano sulle condizioni ambientali che stanno lasciando ai loro figli.

In ogni caso costerà caro a chi dovrà prendere la decisione perché bisogna fermare tutto, chiudere il complesso chimico di Gabes.

Tornando alla metafora del cancro, se si riesce ad attaccare questa metastasi che sta distruggendo intere regioni in Tunisia, senza andare a cercare altre soluzioni inutili, bisogna anche prepararsi ad affrontarne le conseguenze e in primo luogo la disoccupazione. Il problema è che per poter fermare il complesso chimico di Gabes è imperativa una visione politica ambientale globale. Penso che il cantiere per ripulire il Golfo di Gabes e risanare l’oasi potrebbe durare cent’anni, perciò ci sarebbe il modo di impiegare decine di migliaia di persone per riparare i danni che sono stati fatti dal 1972 a oggi, quindi non è vero che ci sarebbe della disoccupazione. Per investire in questo progetto, tuttavia, occorre molto denaro che si potrebbe chiedere alla Banca Mondiale o al Qatar, invece che chiederli, ad esempio, per costruire un ‘autostrada. In ogni caso non è concepibile che sia un trattamento isolato, in realtà l’urgenza è quella di creare un modello economico e ambientale alternativo, certamente con le politiche sociali, ambientali, agricole urbane attuali non sarà possibile, dato che i nostri ministri ci parlano continuamente di investimenti e dicono che bisogna creare industrie su industrie.

Tunisia in Red: Esiste un dibattito o un movimento diffuso sulle questioni ambientali in Tunisia?

Habib Ayeb: E’ una domanda alla quale avrei voglia di rispondere no, ma sarei ingiusto perché ci sono persone che ci stanno provando, delle ONG e della gente comune come a Gabes dove ci si batte contro l’inquinamento del Golfo. Tuttavia rimane una tematica prevalentemente assente dal dibattito pubblico.

Intervista a cura della Redazione di Tunisia in Red

Traduzione e adattamento dal francese a cura di Patrizia Mancini