Rafika Bendermel
Mentre la presidenza della Repubblica propone un’amnistia per quanti hanno commesso crimini di ordine economico e finanziario, l’economia tunisina continua ad essere afflitta da una corruzione endemica.
“Viviamo una schizofrenia sociale quotidiana. La corruzione è molto aumentata questi ultimi anni.E’ il simbolo della debolezza dello Stato” accusa Anouar alBassi, avvocato e cofondatore del collettivo “Transparency 25, formato da un gruppo di 25 avvocati, nato nel febbraio 2011, poco dopo la fuga del dittatore Zine el-Abidine Ben Ali.
Dall’inizio della rivoluzione tunisina del 2010/2011, molti indicatori tendono a dimostrare come la corruzione sia effettivamente aumentata nel paese. Un « capitalismo della cricca »precisa in molte relazioni la Banca Mondiale. Persino l’ONG Transparency International pone il paese al 77° posto nella classifica mondiale della percezione della corruzione (2014).
Sono in causa, in particolare, alcune leggi d’eccezione promulgate sotto l’ancien régime, tuttora in vigore. Alcuni meccanismi legali che riproducono delle situazioni di monopolio, come spiega a Middle East Eye, Mohsen Akrimi, direttore dell’Agenzia per la promozione dell’Industria a Sidi Bouzid. “ Per esempio, il capitolato d’oneri delle compagnie assicurative prevede che soltanto i figli dei proprietari possano aprire una compagnia di assicurazione…La stessa cosa accade per le agenzie di viaggio o che affittano vetture”.
Inoltre, per Achraf Aouadi, presidente di Trasparency International – I Watch “ vi è un vero problema di impunità la quale regna sovrana dalla rivoluzione in poi e che non incoraggia a lottare” Nata dopo la rivoluzione, la sua organizzazione si batte per l’accesso ai dati pubblici e per la trasparenza nel finanziamento delle campagne elettorali.
“Gli uomini d’affari sono talmente influenti che neppure lo Stato può farci niente. Dispongono di reti nelle amministrazioni le quali agiscono per loro conto. Documentazioni che spariscono, convocazioni davanti al giudice che arrivano in ritardo…Inoltre, attualmente non esistono leggi a protezione di chi fa segnalazioni (lanceurs d’alerte), perciò è difficile sapere quello che veramente accade. Da una parte, un’élite economica vuole conservare i propri monopoli e non vuole lottare contro la corruzione. Dall’altra, si richiedono investitori stranieri. Non può funzionare” prosegue.
Il “progetto di legge per la riconciliazione nazionale relativamente ai crimini economici e finanziari” proposto dalla Presidenza della Repubblica tunisina il 16 luglio scorso e che dovrebbe essere discusso in Parlamento verso la metà di ottobre, rischia di aggravare la situazione. Con l’obiettivo dichiarato di rilanciare un’economia entrata in recessione a settembre, il testo propone di amnistiare gli uomini d’affari che, sotto Ben Alì, hanno partecipato alla corruzione generalizzata. Giudicata anticostituzionale da alcuni, rispondente agli obiettivi della rivoluzione e dunque al processo della giustizia di transizione per altri, il provvedimento ha suscitato reazioni controverse in seno alla pubblica opinione tunisina, nell’opposizione e persino all’interno del partito al governo, Nidaa Tounes.
“Capitalismo della cricca” e piccola corruzione
Secondo la Banca Mondiale, l’instaurazione di un sistema di privilegi nell’economia tunisina risalirebbe all’indipendenza dl paese. In verità, l’apparizione di questo sistema è ancora più antica; anteriore allo Stato moderno tunisino, essa prevaleva già sotto il Protettorato francese, cioè persino all’epoca ottomana poiché profondamente legata al tribalismo.
In particolare sotto Bourghiba, alcune regioni di cui erano originari coloro i quali decidevano le sorti del paese,come il Sahel (Monastir, Sousse), Sfax, Hammamet e la capitale, erano favorite. Ciò è avvenuto a scapito del resto del paese. L’accaparramento di una parte dell’economia da parte di cartelli di affari, formatisi in virtù dell’appartenenza di clan, ha ampiamente determinato l’evoluzione economica dei diversi territori.
In un rapporto pubblicato nel 2014 e intitolato « La révolution inachevée de la Tunisie » la Banca Mondiale stila un profilo senza pietà dell’economia tunisina. Mancanza di competitività, monopoli, privilegi e interi settori, come quello dei trasporti, delle telecomunicazioni, dell’immobiliare e delle assicurazioni, in mano a poche imprese che in questo modo detengono il 21% dell’economia, ma forniscono soltanto l’1% dei posti di lavoro.
Queste situazioni d’eccezione spiegano in parte l’incapacità dell’economia a creare più opportunità di impiego. Attualmente il 60% dei laureati sono disoccupati o si rivolgono alle attività parallele che sono, anch’esse, in forte crescita.
Non sottoposte a concorrenza, queste imprese non hanno l’obbligo di essere performants e perciò producono beni e servizi di qualità inferiore. Un dettaglio che ha la sua importanza poiché, malgrado la scarsa qualità, questi servizi in media risultano più cari del 30% di quanto dovrebbero essere.
In questo modo, sempre secondo lo stesso rapporto della Banca Mondiale, se i biglietti aerei della compagnia Tunisair sono più cari rispetto ai prezzi di mercato, la spesa supplementare del 30%, pagata dai passeggeri, rappresenta l’importo della corruzione.
“Sin dall’indipendenza questa compagnia è sempre stata diretta dalle mogli del Presidente (in totale 2) che nominavano chi volevano ai posti di comando. Il clientelismo era molto diffuso”dichiara sotto anonimato un dirigente d’azienda tunisino.
Questa situazione di monopolio è emersa all’inizio degli anni ’70, quando lo Stato decise di iniziare un’ondata di privatizzazioni con lo scopo di sviluppare il paese. Ora il libero scambio non ha permesso di rendere i prodotti locali più competitivi. Allora vennero adottate molte leggi con lo scopo di diversificare il mercato, ma i nuovi settori di attività ben presto vennero presi in mano dalle famiglie che già erano ben piazzate negli altri. E’ in questo periodo che hanno cominciato a manifestarsi i privilegi legati alla possibilità di investire e monopolizzare un settore di attività.
“Non sono arrivate nuove generazioni di uomini d’affari che dessero il cambio” aggiunge l’anonimo dirigente d’impresa. “Dopo molti tentativi mancati per rinnovare questa generazione di uomini d’affari, alla fine Ben Alì ha dovuto accordarsi con i vecchi facendo un patto, cioè il mantenimento di prezzi abbordabili e lo sviluppo del paese in cambio della conservazione dei loro monopoli nei diversi settori d’attività. Lo Stato non aveva i mezzi per investire, ma loro sì, da ciò derivano i privilegi.”
Ma mentre i privilegi sono rimasti, lo sviluppo non c’è stato.
“ E’ così che questa gente si è arricchita. Prima di Ben Alì non avevano niente” conferma Anouar al-Bassi” Non sono uomini d’affari, ma solo dei mafiosi, i veri uomini d’affari avrebbero dovuto ribellarsi a queste pratiche”
Da quel momento numerose imprese che desideravano lanciarsi sul mercato sono state sottomesse a queste regole, al di fuori di qualunque possibilità di libera concorrenza. Per farvi fronte, alcuni imprenditori hanno applicato una “strategia di fuga”, spesso trovando un partner straniero per evitare che le famiglie in posizione di monopolio si appropriassero del loro capitale o delle loro attività. Altri hanno preferito non espandersi troppo per evitare di suscitare avidità.
“A cosa serve lanciarsi in un business se ti arriva qualcuno da dietro e ti prende tutto? Non si può neanche sporgere denuncia e ottenere giustizia”racconta a MEE un giovane imprenditore di Sidi Bouzid, anche lui desideroso di mantenere l’anonimato.
Se le leggi non consentono in maniera diretta le situazioni di monopolio e di privilegi, è nell’applicazione dei testi che si intravedono le lacune. Le restrizioni amministrative spesso si basano su interessi territoriali.
A Gafsa, per esempio, un direttore d’impresa aveva deciso di fondare una scuola privata per ingegneri che riunisse i migliori studenti della regione del centro-ovest che manca terribilmente di sviluppo!” spiega a MEE “Quando ho deciso di lanciare questo progetto, mi hanno detto _ Se lanci la tua scuola nel Sahel (una delle regioni da cui provengono le figure importanti nelle decisioni politiche dall’indipendenza in poi) ti faciliteremo le procedure, ma se lo fai a Gafsa ti metteremo i bastoni tra le ruote” Minacce che avrebbe ricevuto da parte di membri dell’amministrazione in seno al Ministero dell’insegnamento superiore e questo dopo la rivoluzione.
Inoltre, questa corruzione su vasta scala sembra averne generato una più piccola, quotidiana.
Alcuni praticano in effetti la corruzione senza neppure esserne coscienti, Una ricerca pubblicata recentemente da l’Association tunisienne des contrôleurs publics (ATCP) indica che “Il tunisino non rifiuta categoricamente la corruzione di piccolo cabotaggio (che in Tunisia nel 2013 ha raggiunto un giro di 450 milioni di dinari, pari a circa 203 milioni di euro). Il grado di accettazione di certe pratiche da parte dei tunisini è assai inquietante”
Benché il 91% delle persone interrogate esigano che la corruzione venga denunciata, l’84% delle persone vittime di atti di corruzione non hanno mai sporto denuncia e il 58% delle persone interpellate ritengono di sentirsi impotenti, secondo lo studio dell’ATCP. Quasi il 30% ha dichiarato aver fatto ricorso a certi “accomodamenti” per facilitare le loro pratiche amministrative.
L’indebolimento del processo della giustizia di transizione
Il progetto di legge per la riconciliazione economica presentato dalla Presidenza della Repubblica interviene certamente in un contesto economico fragile. L’instabilità politica e, in seguito, il terrorismo hanno messo in fuga gli investitori stranieri. Per esempio, gli attacchi del Bardo (a marzo) e quello di Soussa (a giugno) sarebbero costati 1,8 miliardi di euro, secondo l’Institut Arabe des Chefs d’Entreprise (Istituto Arabo dei capi d’azienda), assestando un colpo mortale al pilastro economico del paese, il turismo.
Tuttavia, per le ONG, il rilancio dell’economia del paese passa innanzitutto attraverso il suo risanamento e la fine delle pratiche illegali. A prova di ciò, un rapporto di Global Financial Integrity indica come, tra il 2002 e il 2008, quasi il 50% dell’economia tunisina sia stata inficiata dalla corruzione e da pratiche mafiose (corruzione,pizzo, falsificazione dei prezzi e attività criminose), con un costo che rappresenta il 2% del PIL, ovvero 1,2 milioni di dollari all’anno.
Secondo l’Institut Arabe des Chefs d’Entreprise, la somma che verrebbe recuperata con la restituzione del denaro acquisito in maniera illecita da parte degli uomini d’affari sarebbe compresa tra i 200 e i 600 milioni di dinari (tra i 91 e i 271 milioni di euro) - somma che rimane molto lontana dal valore del maltolto e persino del costo annuale della corruzione – per questo molti pensano che la lotta contro la corruzione debba essere una priorità, parere che non appare condiviso dal presidente della Repubblica Caid Essebsi e dal clan degli uomini d’affari.
Per mezzo del suo progetto di legge, la presidenza invita in effetti le persone che hanno commesso sottrazioni di fondi e di beni pubblici a dichiarare sull’onore il valore delle somme rubate. In seguito gli stessi dovranno impegnarsi a restituire i denari con una ritenuta supplementare del 5% all’anno per un periodo determinato. In cambio non verranno sottoposti ad alcun procedimento, né inchiesta che verifichino la veridicità delle loro rivelazioni, garantendo loro l’anonimato. Peraltro, dato che gli incontri si svolgeranno a porte chiuse, le eventuali vittime non potranno assistere alle udienze e non potranno fare appello contro le decisioni.
Infine, la commissione incaricata della procedura sarà un organo amministrativo dipendente dal governo, senza controllo né trasparenza per le nomine o le decisioni.
Di conseguenza, nel proporre l’amnistia condizionata degli uomini d’affari autori di atti di corruzione così come dei funzionari che sono stati complici, la legge per la riconciliazione economica si mette in concorrenza con il processo della giustizia di transizione.
In effetti sono poche le denunce depositate a questo proposito presso l’Instance Verité et Dignité (IDV), creata all’indomani della rivoluzione per portare a buon fine il processo della giustizia di transizione la quale comprende, nello specifico, la riparazione dei crimini economici e sociali commessi sotto i regimi precedenti dal 1956 al 2013. Per il momento su 16.000 denunce registrate dall’IDV, soltanto 250 casi hanno a che fare con la corruzione finanziaria – e in questo numero vi sono sia le vittime che quegli uomini d’affari che desiderano avere l’arbitraggio dell’Istanza per regolare i conti con la giustizia. Mentre alcuni parlano di “omertà (in italiano nel testo originale n.d.t) generalizzata e profondamente radicata per le denuncia dei crimini di corruzione, altri spiegano che questo silenzio è dovuto all’effetto dissuasivo, per chi dovrebbe presentare la denuncia, del progetto di legge per la riconciliazione economica, di cui si mormorava da diversi mesi.
“ Le voci sul progetto di legge della presidenza che sono state messe in circolo sin dal mese di marzo hanno bloccato le iniziative degli imprenditori “ afferma a MEE Seif Soudani, responsabile della comunicazione presso l’IDV.” Attualmente ve ne sono una decina che hanno chiesto l’arbitraggio in vista di mettersi in regola con la giustizia”
“La questione della riparazione e dei risarcimenti non è neanche evocata dal testo della legge. Insomma, una legge fatta su misura per l’élite dell’ancien régime” riassume Seif Soudani.
La Commissione nazionale per l’accertamento dei fatti sulle questioni di malversazione e corruzione precisa, in un rapporto pubblicato nel novembre 2011, che 6000/7000 funzionari sono coinvolti in pratiche illecite, quadri amministrativi che sono ancora al loro posto.
I finanziatori (Unione Europea, Banca Mondiale e ONU) hanno espresso delle riserve nei confronti dell’iniziativa presidenziale.”Non è quello che avevano richiesto” precisa il nostro interlocutore dell’IDV. Cioè un risanamento dell’ambiente degli affari per permettere gli investimenti stranieri, nello specifico, in occasione della ricapitalizzazione delle banche in giugno.
“ Alla fine si ricapitalizza per prestare sempre agli stessi personaggi fino a 800 milioni di dinari pagati dal contribuente tunisino. Quelli che sono favorevoli a questo progetto di legge sono quelli che hanno utilizzato i soldi per finanziare la campagna elettorale” afferma. “ Come volete che si lotti contro la corruzione quando non si sa nulla?E’ un premio alla corruzione che ricompensa in qualche modo i predatori che poi faranno rientrare il denaro rubato” protesta Anouar al-Bassi” Il problema non è la restituzione dei denari, ma sapere come stanno le cose, i meccanismi in funzione all’interno dell’amministrazione. Come hanno fatto ad arricchirsi così velocemente in un paese che ha un’economia così povera?”
Numerose domande ancora senza risposta, come quelle a proposito del recupero dei beni acquisiti in maniera illecita dal clan di Ben Alì, a quattro anni dalla rivolta che pure aveva destato così tanta speranza di giustizia sociale nella popolazione tunisina.
Il ristabilimento del prestigio dello Stato è stato il cavallo di battaglia, di successo, della campagna elettorale di Beji Caid Essebsi. Nonostante ciò, lo Stato sembra al momento assolutamente incapace di imporsi contro la corruzione rampante.
Almeno uno dei meriti del progetto di legge della presidenza è stato quello di rimettere all’ordine del giorno il dibattito sulla trasparenza nell’ambiente degli affari.
Chi ha rubato e quanto?La domanda, sulla bocca di tutti, è ancora in sospeso.
L’articolo è apparso il 6 ottobre 2015 sul sito http://www.middleeasteye.net/fr
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