Quando la geopolitica parla, i popoli tacciono. Nessuno ascolta il popolo siriano. Nessuno lo ascolta prima di tutto perchè buona parte di esso è morta o è in esilio, oppure è così terrorizzata che non osa aprire la bocca. Ma nessuno ascolta il popolo siriano anche perchè già da tempo è accaduto ciò che la sollevazione democratica del 2011 avrebbo voluto impedire: che il suo destino fosse deciso da dittatori, forze straniere o fanatici locali. I rivoluzionari non furono “realisti”. Cercarono di scrollarsi di dosso il giogo della criminale degli Assad senza chiedere permesso nè prevedere le reazioni; senza capire che il regime li avrebbe torturati, crivellati e bombardati con barili di dinamite; che le ipocrite potenze occidentali e le teocrazie reazionarie del Golfo li avrebbero abbandonati o avrebbero favorito la militarizzazione della rivolta a favore delle fazioni più fanatiche e radicali; e che i cinici “antimperialisti” (Russia, Iran e Hezbollah) avrebbero fornito armi e uomini al dittatore, mantenendolo al potere e alimentando la salvifica geopoliticizzazione della guerra.
Quasi confermando la triste constatazione del lucido e coraggioso Yassin Al-Hajj Saleh, che aveva definito la Siria degli Assad come una “società-bomba”, quattro anni e mezzo dopo le manifestazioni di Deraa la permanenza del regime è legata a questa deflagrazione ininterrotta e amplificata che, oltre a dividere il territorio siriano, lascia il suo futuro nelle mani dei vari boia che se lo contendono. Una barzelletta che circola in Internet sintetizza amaramente la situazione offrendo un “programma dei bombardamenti odierni”: alle 8 bombardamento statunitense, alle 8:56 bombardamento russo, alle 9:30 bombardamento francese, alle 10 bombardamento inglese, alle 11 barili di dinamite del regime e, una volta a settimana, un bombardamento israeliano (il tutto, naturalmente, con pause per il caffè e il pranzo e per le conferenze stampa del ministro al-Moaleem che esalta la “sovranità siriana”). Quando la geopolitica si impone, tutto succede nei cieli, al di sopra delle case su cui cadono le bombe. E ogni morto là in basso significa, come nella mitologia greca, l’avanzamento o l’arretramento di uno di questi contrapposti giocatori compulsivi.
L’intervento di Putin in Siria rivela senz’altro il fallimento delle politiche degli USA, sempre a rimorchio in Medio Oriente, e -bisogna ammetterlo- concede un vantaggio alla Russia in questo braccio di ferro antimperialista che Vishay Prashad ha definito, in termini scacchistici, come un “gambetto russo in Siria”. Ora, perchè questa “vittoria” ci rallegri, dobbiamo ricorrere ad un miraggio e ad un fanatismo. Il miraggio ha a che fare con il “realismo” geopolitico del quale parleremo tra poco; il fanatismo con il tifo sfegatato per uno dei giocatori compulsivi in questo gioco della morte.
La differenza tra destra e sinistra è la buona fede o, se vogliamo, il giustizialismo; la destra nordamericana, per esempio, può sostenere un dittatore o un gruppo jihadista (o lo stesso Assad, come fa Donald Trump) senza farsi alcuna illusione: sono “i nostri figli di puttana”. La sinistra invece vuole appoggiare sempre la giustizia, i valori umani e il socialismo. Ecco perchè quel settore della sinistra che vede concentrato tutto il male e tutto il potere del mondo nella politica imperialista degli USA, e che riduce tutto il proprio programma al rallegrarsi dei capitomboli nordamericani senza misurarne le conseguenze, finisce per trasformare (paradossi dell’istinto giustizialista) i “nostri figli di puttana” in paladini della giustizia, dei valori umani e del socialismo, costringendosi così ad un esercizio di negazionismo eticamente ripugnante.
Gli appartenenti a questo settore, per sentirsi buoni e difendere una buona causa, fanno diventare Assad uno specchiato pacifista che si difende da un “complotto universale” e negano tranquillamente le torture e i barili di dinamite, responsabili della schiacciante maggioranza delle morti di civili in Siria (http://sn4hr.org/); e per sentirisi buoni e giusti trasformano Putin in Lenin e la sua politica interventista, interessata e criminale, in un’iniziativa contro il terrorismo e per la pace: cosa che comporta la negazione del fatto che fino ad oggi la stragrande maggioranza delle sue azioni militari, come quelle dello stesso Assad (http://redaccion.nexos.com.mx/?p=7421) non sono state dirette contro l’ISIS ma contro i ribelli a nord ed a sud di Latakia (quelli che combattono davvero contro l’ISIS) con l’obiettivo di mettere in salvo militarmente il feudo territoriale del regime in un momento di evidente ritirata, e di fornirgli la copertura per una controffensiva. La sopravvivenza dell’ISIS, che serve da jolly per tanti attori della regione, è l’unica garanzia di tenuta, l’unica fonte di legittimità, della dinastia degli Assad.
Possiamo anche rallegrarci del fatto che un giocatore compulsivo assassino riesca a fermare l’altro giocatore compulsivo assassino che ha causato così tanti danni in quella zona del mondo. Ma far diventare questa viscerale contentezza una “politica antimperialista di sinistra” equivale a fare i giocolieri con i principi, trasformando un giocatore compulsivo in un liberatore e ignorare la realtà del territorio. Bisogna dunque ricordare agli amanti dei parallelismi mitologici e dei rigurgiti della guerra fredda che nessuno dei blocchi o dei paesi coinvolti rappresenta una scelta di emancipazione nè per il popolo siriano nè per l’umanità; e che, per di più, non esistono due blocchi chiaramente definiti e contrapposti, la cui rivalità ci possa fornire un criterio per orientarci con sicurezza nel conflitto.
Due rapidi esempi. Uno: l’Arabia Saudita appoggiò il colpo di stato in Egitto e la conseguente dittatura di Sisi, il quale sostiene Assad, che è combattuto dai Fratelli Musulmani, i quali fino all’inizio della guerra in Yemen venivano considerati dall’Arabia Saudita come i suoi principali nemici. Due: la Russia, che appoggia l’Iran, nemico di Israele, riceve da Israele droni e formazione tecnica e coordina le proprie azioni in Siria con Netanyahu, che ha votato contro la condanna dell’annessione russa della Crimea, provocando l’indignazione statunitense. Mai la geopolitica è stata più confusa, mai c’è stato più sesso occasionale, con meno criteri ideologici, tra potenze e superpotenze coinvolte nel gioco. Che gli USA si indeboliscano e prendano botte da alleati e rivali (non ci sono più amici e nemici, il che rende difficile il negoziato politico, ma al tempo stesso impedisce l’avvento di una “guerra totale”), che gli USA si indeboliscano, dicevo, è una cosa buona in se stessa solo se ne viene un vantaggio per le popolazioni e se l’alternativa non è ancora peggiore. E purtroppo non è questo il caso.
Se vince la Russia, “noi” non vinciamo; e ancor meno vince il popolo siriano. Di fatto, l’intervento militare russo diretto, che si aggiunge a quello -finora- indiretto e ai molti altri interventi multinazionali sul terreno, aggrava le sofferenze dei siriani e aumenterà il numero di profughi e rifugiati, ma può anche complicare la stessa posizione di Putin, momentaneamente “trionfante”. Il “fantasma dell’Afghanistan” ricompare con forza dell’immaginazione dell’eterogenea compagine anti-regime, dove il chiaro allineamento di Putin con Assad non solo lo fa diventare un nemico ma, per ciò stesso, lo priva di capacità di pressione in qualunque negoziato. E per di più, il vespaio di milizie e di forze in gioco è di tale misura, e gli interessi così diversi e reazionari (pensiamo all’Arabia Saudita e alla Turchia o, naturalmente, ai loro alleati USA e UE), che non si può escludere uno scontro più serio, anche se nessuna delle parti lo desidera: quando si negozia a suon di bombe, le bombe finiscono per emanciparsi dalle intenzioni di chi le lancia e per imporre la propria rotta.
E’ vero che in Siria, in ogni caso, si impone una soluzione realistica. Ma cosa significa “realismo” lì dove, inevitabilmente contro la volontà dei cittadini, si è imposta la legge di ferro della geopolitica mediorientale nella sua più acuta e asfissiante espressione: dittatura, intervento straniero e jihadismo fanatico?
Realismo, a mio parere, significa accettare almeno i seguenti cinque punti, molto difficili da conciliare tra loro:
-
Accettare che la rivoluzione ha fallito, che la democrazia è uscita sconfitta da diverse controrivoluzioni convergenti e che quello che ora importa è salvare vite umane.
-
Accettare che senza Russia e Iran, in buona parte responsabili di ciò che sta succedendo, non c’è soluzione politica; e che Russia e Iran -come hanno già accettato, con ipocrita e feroce “realismo” sia gli USA che l’UE- significano la sopravvivenza, almeno temporanea, di Bachir Assad e del suo regime dittatoriale.
-
Accettare che anche senza Arabia Saudita, Turchia e le milizie religiose “moderate” in gioco, ugualmente responsabili di ciò che sta accadendo, non può esistere una soluzione; e che quelle forze non permetteranno che Assad resti al governo. Per non parlare della difficoltà di coinvolgere in un processo con Assad quelle maggioranza di siriani innocenti, colpevoli solo di aspirare a un po’ di libertà e di dignità, e che per questo hanno visto morire i propri figli, genitori e amici sotto i barili di dinamite o nelle carceri del regime.
-
Accettare che sia questa “soluzione impossibile” – e non il contrario- la condizione necessaria per sconfiggere lo Stato Islamico, che trae dalle bombe molto selettive degli uni e degli altri nutrimento e giustificazione, quando non le ignora semplicemente.
-
Accettare, in termini generali, che non siamo in una guerra fredda, ma piuttosto in uno scenario simile a quello della Prima Guerra Mondiale: una carneficina di scontri antimperialisti -ossigeno per settarismi e fanatismi identitari con ridefinizione delle frontiere- dalla quale nè i popoli della regione nè l’umanità in generale hanno nulla da guadagnare.
Finchè non sarà chiaro che di realismo in realismo, come nelle caselle del gioco dell’oca, finiremo per precipitare nei sotterranei della prigione; finchè non sarà chiaro che non c’è nulla di più realista di un po’ di democrazia e di giustizia sociale, il realismo continuerà ad imporre dolore, guerra e saccheggio in Siria come ovunque. Si direbbe che nessuna delle complici e rivali forze gemelle in campo -nè gli USA, nè la Russia, nè l’Arabia Saudita, nè l’Iran, nè i nostri “cattivi” nè i nostri “buoni”- sia pronta ad accettare questo semplice principio, che le interroga tutte allo stesso modo.
l’articolo in spagnolo è apparso il 10 ottobre 2015 sul sito Cuardopoder.es : http://www.cuartopoder.es/tribuna/2015/10/10/rusia-en-siria-y-la-nueva-promiscuidad-geopolitica/7630
Follow Us