Monica Marks
All’inizio di ottobre 2015 è stato assegnato il Premio Nobel per la Pace a quattro organizzazioni della società civile tunisina: l’Unione Generale Tunisina del Lavoro (UGTT), l’unione Tunisina del commercio e dell’artigianato (Utica, organizzazione padronale), la Lega Tunisina dei Diritti dell’uomo (LTDH) e l’Ordine degli avvocati. Nel 2013 questo gruppo, noto con il nome di “ Quartetto, per lo più sconosciuto al di fuori dalla Tunisia, ha saputo trovare una soluzione pacifica alla più grave crisi politica che il paese abbia vissuto dall’inizio della Rivoluzione del gennaio 2011.(1) Le origini di questa crisi erano complesse, ma il risultato ottenuto dal Quartetto fu chiaro : la trattativa di un dialogo nazionale inclusivo ha salvaguardato la transizione tunisina in un momento decisivo. Piuttosto che sprofondare nel caos come in Libia o dare luogo a un colpo di stato come in Egitto, il sistema politico tunisino ha resistito nel preservare la sua Assemblea Costituente eletta, mettendosi d’accordo su un presidente del consiglio ad interim imparziale (al posto di un islamista d’Ennahdha), ratificando una Costituzione e creando una commissione indipendente incaricata di organizzare le elezioni del 2014. Grazie ai compromessi consensuali messi in opera dal quartetto e altri attori, la Tunisia rimane la prima democrazia autentica del mondo arabo.
Questo resoconto, tuttavia, trascura alcune dinamiche e problematiche che gran parte dei media ha omesso. La Tunisia si trova ad affrontare sfide di fondamentale importanza, in particolare lo spettro di una grave e imminente crisi economica, così come le minacce crescenti alla sua sicurezza nazionale, con l’aggravante degli effetti destabilizzanti della crisi libica. Che la Tunisia consolidi la sua democrazia nascente o che si ritrovi a vivere una contro-rivoluzione autoritaria, sotto il colpo di una nuova ondata di terrorismo, dipende largamente dalla volontà dei suoi dirigenti – con il sostegno dei partner internazionali – ad attuare delle riforme, sulla spinta di un dialogo inclusivo.
Il Comitato per il Premio Nobel non solo ha ricompensato il Quartetto, ma tutti i tunisini che hanno operato per preservare la loro transizione democratica, agendo per il pluralismo. L’approccio di un dialogo inclusivo che ha guidato l’azione del Quartetto ha degli antecedenti importanti nella storia della Tunisia.
BEN ALI, GARANTE DELLA LOTTA CONTRO IL TERRORISMO
Durante gli anni 2000, la maggior parte dei partiti dell’opposizione laica e islamista hanno saputo superare le divergenze ideologiche, per trovare un accordo su alcuni principi in comune, riuscendo a definire una nuova Tunisia democratica. Nel 2003, a Aix-en-Provence, alcuni di questi partiti elaborarono un documento chiamato “ l’Appel de Tunis” , tramite il quale si erano accordati sulla funzione delle elezioni, la collocazione dei valori arabo-musulmani nella società, così come sui diritti delle donne. Nel 2005 questi stessi protagonisti, appoggiati da altri partiti- annunciarono la creazione del Collettivo del 18 ottobre. Quest’ultimo si riuniva regolarmente per determinare come tali principi comuni sarebbero stati applicati, nel caso in cui si fosse giunti a una transizione democratica. Impegnandosi in un dialogo inclusivo e intenso, i partecipanti a questo collettivo hanno posto delle solide basi per la transizione tunisina. Tuttavia, la classe dirigente tunisina e i suoi partner occidentali hanno tradizionalmente sostenuto una stabilità securitaria piuttosto che un dialogo democratico.
L’ex-dittatore Zine El-Abidine Ben Ali, al potere tra il 1987 e il 2011, godeva di un sostegno importante della Francia, degli Stati-Uniti e di altri protagonisti occidentali che vedevano in lui un alleato nella guerra contro il terrorismo. Infatti Ben Ali sapeva giocare, con un certo successo, la carta della stabilità, sia con i suoi concittadini che con gli occidentali, sostenendo l’argomento secondo il quale il suo stato di polizia “moderno” e stabile costituiva un baluardo necessario di fronte al caos dell’estremismo religioso. Nello stesso tempo, la brutalità del regime di Ben Ali era la base stessa dei processi di radicalizzazione in Tunisia… Promuovendo il suo brand di autoritarismo “stabile”, Ben Ali aveva saputo ridurre “l’unità nazionale” a un semplice slogan di marketing. Egli elogiava continuamente il suo popolo per essersi “unificato” sotto la sua dittatura e, nello stesso tempo, metteva il bavaglio alle opposizioni politiche, senza distinzione (2). Applicando la politica del “divide et impera”, Ben Ali aveva come obiettivo scoraggiare il dialogo fra oppositori laici e islamisti.
Il concetto di unità in Tunisia è stato spesso – e continua a esserlo – confuso e talvolta intenzionalmente legato a quello di uniformità. In seguito ai due attacchi terroristici che hanno colpito nel 2015 la Tunisia (Bardo et Sussa), il Parlamento il 24 luglio scorso, ha adottato (3), a stragrande maggioranza, un progetto di legge anti-terorrismo che ha una forte connotazione liberticida. Durante il voto di ciò che è diventata la versione tunisina del famoso Patriot Act americano, non un solo parlamentare si è opposto, e solo 10 eletti si sono astenuti. Questi ultimi si sono trovati di fronte a virulente campagne di denuncia e alla pubblica denigrazione da parte della stampa nostalgica del vecchio regime. Alcuni dei leader legati al partito al potere, NidaaTounes, hanno addirittura chiesto l’incriminazione dei 10 parlamentari per non patriottismo e sospetti legami con i terroristi.
In seguito , le critiche a un progetto di legge di” riconciliazione”che comporterebbe l’amnistia (4)di uomini d’affari corrotti che agivano all’epoca di Ben Ali, sono stati allo stesso modo stigmatizzate. Il progetto di legge proposto dalla presidenza tunisina si vanta del sostegno forte di Nidaa Tounès e dei suoi alleati nel mondo del business e della stampa. Invece di manifestare la sua opposizione a questo progetto di legge, Ennahdha- arrivata in seconda posizione nelle elezioni nel 2014- ha adottato una strategia auto-preservatrice e consensuale, proclamando, in particolare, che l’unità del paese veniva prima delle divisioni politiche, in questo periodo di fragile transizione. Un simile atteggiamento era stato alla base dei suoi compromessi nel 2013, su consiglio del Quartetto, quando Ennahdha era alla testa di un coalizione tripartitica nell’Assemblea Costituente.
In modo inquietante vengono sempre più invocati i concetti autoritari di “ consenso” e di “unità”, nel momento in cui occorre far tacere le voci dissidenti che vengono accusate di destabilizzare il paese. In questo nuovo contesto alcune organizzazioni importanti della società civile, la stessa che aveva saputo fare pressione, con successo, sul governo della Troika diretta dal partito islamista tra il 2012 e il 2013, hanno sempre più difficoltà a farsi ascoltare. Due dei quattro beneficiari del Premio Nobel – l’UGTT et la Lega dei diritti dell’uomo- avevano espresso il loro rifiuto al progetto di legge anti- terrorismo del luglio 2015, senza successo.
QUALE GIUSTIZIA DI TRANSIZIONE?
Allo stesso modo, un’opposizione al progetto di legge sulla riconciliazione potrebbe rivelarsi solo un buco nel acqua, a causa di un’assenza di sostegno forte dei media e in seno al Parlamento che, in maggioranza, approva questo progetto di legge. Il voto è stato rinviato all’anno prossimo. Nel frattempo, il suo futuro dipende largamente dall’UGTT, principale propulsore del dialogo nazionale nel 2013, e la forza di opposizione più significativa del paese. Nonostante la più grande manifestazione contro questo progetto di legge sia cominciata proprio davanti la sede nazionale dell’UGTT a Tunisi, i dirigenti del sindacato non hanno ancora preso una posizione definitiva contro di esso. Se sarà approvato, il processo di giustizia di transizione ne risentirà, il che complicherà ulteriormente la lotta contro l’impunità e renderà più difficile l’attuazione di riforme di struttura importanti(5).
La paura e la minaccia terrorista hanno complicato gli sforzi di tanti protagonisti che avrebbero aspirato a preservare le conquiste democratiche del processo rivoluzionario. Molte riforme legislative e istituzionali cruciali sono state rimandate e alcune sembrano persino essere state rinviate sine die, a causa della focalizzazione sulle questione terroristica. E’ il caso della necessaria revisione del codice penale, delle leggi d’investimento o della riforma delle forze di polizia e della giustizia, entrambe percepite dalla maggioranza della popolazione come largamente corrotte e inefficaci.
Lavorare su queste riforme potrebbe aiutare il paese a rafforzare la transizione democratica e, senza dubbio, aiuterebbe anche a combattere il terrorismo in maniera più efficace. La realizzazione di una corte costituzionale, la riscrittura di una parte delle leggi adottate sotto Ben Ali, per renderle conformi alla nuova costituzione, sono elementi assolutamente necessari per il raggiungimento degli obiettivi sopra indicati. La lotta contro la tortura e contro l’impunità generalizzata all’interno delle forze della polizia, la lotta contro la corruzione dei funzionari in particolar modo quelli addetti al controllo delle frontiere) rappresentano passi fondamentali per stabilire la fiducia tra i cittadini e il potere e per consolidare la sicurezza.
LA NECESSARIA ESPRESSIONE DEL DISSENSO
Ora – e ciò rimane, senza dubbio, uno degli argomenti passati sotto silenzio nelle reazioni all’assegnazione del Premio Nobel al Quartetto – riforme di questa portata non possono avere successo senza l’espressione del disaccordo, senza trattative e senza una certa polarizzazione politica La dimensione polarizzante dell’azione del Quartetto nel 2013 non può essere dimenticata, come fanno numerosi protagonisti e osservatori, a vantaggio di una sola logica consensuale. I cittadini impegnati, le organizzazioni della società civile e i leader politici devono accettare, e anche incoraggiare, l’espressione pacifica del dissenso. Un dialogo iscritto nel pluralismo e nel rispetto rappresenta la pietra angolare di tutte le democrazie e certamente è stata parte integrante del percorso del dialogo nazionale che i premiati con il Nobel per la Pace hanno avviato. Tuttavia, la loro esperienza è stata utilizzata da molti dirigenti come un mezzo per imporre la logica del consenso, spingendo verso la marginalizzazione della principale forza politica nel 2013, Ennahdha.
Il partito di Ennahdha, da parte sua, ha adottato una logica di auto- preservazione. Poco disposta a mettere a rischio il suo posto recentemente conquistato nella realtà politica tunisina, la sua leadership ha aderito completamente a questa dinamica consensuale. Ennahdha era certamente cosciente del fatto che l’opposizione al potere islamista aveva strutturato l’impasse politico nel 2013 e il successivo stallo delle trattative in seno al Dialogo nazionale. Senza dubbio, questo partito conservava nella sua memoria la marginalizzazione forzata degli islamisti attuata sia in Tunisia che altrove.(6) Da quel momento il partito ha smesso di svolgere il suo ruolo d’oppositore naturale, nonostante apparisse come il contro potere potenziale di Nidaa Tounès in Parlamento. Con Ennahdha pronto a tutto per normalizzarsi e per tutelarsi sulla scena politica, con la frammentazione delle altre forze potenziali d’opposizione, la politica tunisina è dominata da una modalità di consenso sempre più esclusivo.
Senza dissenso né polarizzazione tra le forze politiche elette, sarà ben difficile stabilire le basi dell’alternanza politica e il consolidamento della democrazia.
L’unità e il consenso sono importanti, tuttavia non possono essere strumentalizzati per imporre l’uniformità politica. L’esperienza del Quartetto, quindi, deve essere interpretata per quello che è stata: lo stabilirsi di un dialogo polarizzato, ma pacifico. E’ necessario, nello stesso tempo, tenere in mente che questa esperienza è servita a legittimare, in quella fase, l’allontanamento degli islamisti dalle istituzioni (nonostante fossero stati eletti e avessero la maggioranza in seno all’Assemblea Nazionale Costituente) per l’azione di un organismo non eletto come il Quartetto, a favore di attori politici che si volevano indipendenti. In Tunisia i media e la società civile, ma anche i partners internazionali (Francia e Unione Europea in primo luogo) non devono dimenticare che il dialogo critico e costruttivo con il governo e i rivali politici è servito nel 2013 a far avanzare la pace, lo sviluppo e la stabilità. Ma è ancora più importante, in ogni caso, che non utilizzino l’alibi dell’esperienza del Quartetto per considerare che questo metodo sia adatto in ogni situazione, né che l’emergere del consenso sia un imperativo. Ciò che ha funzionato nel 2013 e nel 2014 forse non funzionerà nel 2015 e 2016 e potrebbe, con un partito Ennahdha rientrato nei ranghi del consenso, favorire lo svilupparsi di movimenti, forse violenti, al di fuori dal quadro istituzionale.
1Monica Marks, « Tunisia’s transition continues », Foreign Policy (foreignpolicy.com), 16 décembre 2013.
2Larbi Sadiki, « The Search for Citizenship in Ben Ali’s Tunisia : Democracy versus Unity », in Political Studies volume 50, No 3, 497-413 (2002) et Béatrice Hibou, La force d’obéissance. Économie politique de la répression en Tunisie (2006).
3Marie-Pierre Olphand, « Loi antiterroriste en Tunisie : un texte problématique pour HRW », RFI, 28 juillet 2015.
4David Tolbert, « Tunisia’s “Reconciliation Bill” Threatens Gains of the Revolution », Huffington Post (huffingtonpost.com), 17 août 2015.
5 Per saperne di più sugli attuali dibattiti sulla la giustizia di transizione in Tunisia, vedi Ikram Ben Said, « Tunisia’s Nobel Peace Prize Does Not Mean All is Well », Atlantic Council, 16 octobre 2015 et Rim El-Gantri, « In the shadows of the Nobel Prize- Impunity still a threat to Tunisia’s transition », Open Democracy, 16 octobre 2015.
6Monica Marks, « How Egypt’s coup really affected Tunisia’s Islamists », Washington Post blog, 16 mars 2015.
l’articolo originale è apparso sul sito http://orientxxi.info/ il 27 ottobre 2015
http://orientxxi.info/magazine/tunisie-des-limites-du-consensus-en-politique,1065
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