Intervista all’avvocato Halim Meddeb a cura di Olfa Belhassine
Halim Meddeb è un avvocato molto impegnato nel contrastare gli attacchi ai diritti dell’uomo. Lavora anche come consigliere giuridico a Tunisi per l’ufficio dell’Organizzazione mondiale contro la tortura (OMCT), una delle organizzazioni internazionali che, assieme al Consiglio d’Europa, il PNU e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti dell’uomo, sta attuando insieme alle autorità tunisine una stima al fine di creare un meccanismo indipendente di lotta contro la tortura.
Halim Meddeb è categorico: malgrado una pesante eredità del vecchio regime in materia di tortura, un contesto securitario dominato dal terrorismo e segnato da violazioni dei diritti umani, l’Istanza Nazionale per la prevenzione della tortura sembra oggi aver imboccato la via giusta. I suoi membri saranno eletti dal parlamento alla fine di marzo (1)
Justiceinfo.net : La tortura era praticata come politica di Stato ai tempi della dittatura. Lei pensa che le cose siano cambiate dopo la rivoluzione del 14 gennaio 2011?
Halim Meddeb : Sì, ci sono stati dei cambiamenti, il contesto non è più lo stesso. Viviamo un periodo di transizione democratica nel corso della quale una nuova Costituzione è stata adottata. E anche se il testo fondamentale non è ancora applicato, è diventato possibile, per le vittime di tortura, sporgere denuncia contro i loro aguzzini. Negli ultimi anni sono state depositate oltre 400 denuncie in tribunale. Ma il bilancio di questi cinque anni di transizione è molto mitigato: oscilla continuamente fra conquiste favorevoli ai diritti umani e passi indietro. Fra gli avanzamenti, citeremo l’adozione, subito dopo la rivoluzione, del decreto legge per l’amnistia generale dei prigionieri politici, l’adesione del paese al Protocollo facoltativo della convenzione dell’ONU contro la tortura, l’adesione della Tunisia allo Statuto di Roma della Corte Internazionale e la firma della Convenzione Internazionale per la protezione di tutte le persone in pericolo di sparizione forzata. Il paese beneficia di altre conquiste, fra cui la libertà di espressione e la vivacità che contraddistingue la società civile. Ora, nei momenti di crisi, l’argomentazione securitaria riprende vigore e si registrano aggressioni nei confronti di giornalisti e campagne di diffamazione di militanti dei diritti umani. A seguito degli attacchi al museo del Bardo, avvenuti il 18 marzo dello scorso anno, è stata votata una legge liberticida, contro il parere di diverse organizzazioni della società civile: si tratta della legge relativa alla lotta contro il terrorismo e il riciclaggio di denaro. Tuttavia, noi continuiamo ad avere speranza: il giorno in cui si applicherà la Costituzione del 27 gennaio 2014 che vieta la tortura tramite l’articolo 23 e rende imprescrittibile tale crimine, lo Stato di diritto sarà garantito in Tunisia.
JI Quali sono i luoghi in cui si continua a torturare in Tunisia?
HM : Nei luoghi di privazione di libertà, soprattutto durante lo stato di fermo. Dopo la rivoluzione, abbiamo registrato una recrudescenza di questo tipo di violazioni al momento degli arresti. Fu allora che morirono delle persone presunte colpevoli, come Kais Berrehouma e Walid Denguir (2) .Le persone che di solito cadevano nelle mani delle squadre anti-narcotici e di lotta contro il terrorismo ricevevano un duro trattamento, durante la fase delle indagini. Da parte del Ministero degli Interni è stato detto che gli agenti responsabili di queste violenze erano delle nuove reclute, che erano state formate frettolosamente, in poco tempo. I maltrattamenti proseguono nelle carceri, in particolare a causa della sovrappopolazione dello spazio carcerario tunisino. Nell’ambito di una strategia globale di riforma della politica penale, occorrerebbe pensare a pene alternative invece di riempire le prigioni per il 25% di giovani il cui unico torto è di aver fumato uno spinello. Io non penso che al giorno d’oggi vi siano istruzioni per torturare la gente, ma con il persistere dell’impunità e in assenza di riforme strutturali del settore della sicurezza, proseguono le vecchie abitudini.
JI : Appunto, pochissime denunce per tortura sono giunte a sentenza. L’impunità resta una regola in questo campo?
HM : in effetti vi è un’assenza di volontà politica per lottare contro l’impunità , assenza di volontà di contrastare le sue cause. Tuttavia quando un giudice decide di emettere giudizio in questioni legate alla tortura deve affrontare della resistenza da parte della polizia giudiziaria che lo blocca nelle sue indagini. Per spirito corporativo i sindacati delle forze di sicurezza, nati dopo il 14 gennaio, esercitano, a loro volta, molta pressione per annullare le sanzioni pronunciate contro i loro colleghi: sit-in davanti ai tribunali, dichiarazioni inopportune. Questo fatto spinge il giudice, preso da paura, a fare marcia indietro e a liberare gli agenti accusati di tortura. I magistrati tunisini mancano terribilmente di protezione.
JI : Una pesante tendenza dell’opinione pubblica tunisina in questo momento vorrebbe impedire ai terroristi l’accesso a un trattamento umanitario, giustificando così la tortura esercitata su questa categoria di accusati. Lei cosa ne pensa?
HM :Bisogna dire che molte televisioni hanno avuto un ruolo a questo proposito, lasciando passare certi discorsi e invitando nelle loro trasmissioni delle persone poco convinte dei diritti umani. Ora, diverse esperienze hanno dimostrato come la violenza generi una radicalizzazione ancora maggiore dei terroristi. Una radicalizzazione che,assieme all’ingiustizia sociale subita- i terroristi tunisini provengono per lo più da quartieri poveri e svantaggiati- si estenderà ai loro parenti, alle loro mogli e i loro figli.
JI : Come trattare, secondo lei, questo dossier nel quadro della giustizia di transizione il cui percorso si sta rivelando molto lento?
HM :E’ vero che uno dei problemi che si trova ad affrontare la giustizia di transizione in Tunisia è rappresentato dal deficit di consenso su questo percorso. E se l’Instance vérité et dignité ha perso molto tempo e trovato numerosi ostacoli ad avviare il suo lavoro, essa potrebbe oggi, dopo quasi due anni di attività, pubblicare un rapporto preliminare sulla tortura basato sui casi appurati raccolti dalle sue strutture. E impegnarsi in parallelo in una azione di accompagnamento psicologico delle vittime. In assenza di un sistema di valutazione, nello specifico in seno all’apparato di sicurezza e penitenziario, che garantisca la non ripetizione di gravi violazioni dei diritti umani, l’IDV potrebbe rendere pubblica una lista dei torturatori con lo scopo di allontanare questi funzionari, legati al Ministero degli Interni, dai luoghi in cui si troverebbero a contatto con persone private delle libertà. Una cosa paradossale della Tunisia: la maggior parte dei torturatori è stata promossa all’indomani della rivoluzione!
JI : Lei pensa che l’istituzione prossima (1) , con molto ritardo, dell’Istanza nazionale per la prevenzione della tortura sia la soluzione per mettere fine a questo fenomeno?
HM : Il ritardo non è dovuto a una mancanza di volontà politica, e in particolare a livello parlamentare dove si deve selezionare la lista dei candidati a questa istanza. Fra l’assenteismo dei deputati e le difficoltà a trovare persone ricoprenti certe funzioni come gli specialisti infantili e i giudici in pensione, i ritardi hanno veramente oltrepassato il limite. Badereddine Abdelkafi, presidente della commissione elettorale, responsabile della cernita dei candidati, lui stesso in passato vittima di tortura sotto Ben Alì, ha impiegato innumerevoli sforzi per incitare i deputati a riunirsi per stabilire finalmente , da pochi giorni, una lista di 48 dossier, cioè tre candidature per ciascun posto in questo nuovo meccanismo. Alla fine di marzo i sedici membri dell’Istanza saranno scelti in seduta plenaria.. Certo, l’istanza rappresenterà uno strumento importante per combattere la tortura . Se essa potrà servire come strumento di mediazione e di regolazione in questo ambito, non potrà però sradicare totalmente il fenomeno. D’altra parte, non dovrà accadere che l’istituzione della INPT blocchi l’accesso della società civile allo spazio carcerario. Occorrerà che le prigioni tunisine si aprano al mondo esterno: alle associazioni umanitarie e caritative, alle scuole e università e agli artisti.
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Nel momento in cui pubblichiamo questa traduzione l’Istanza è stata formalmente costituita.
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Del caso di Walid, piccolo spacciatore del quartiere popolare di Bab Jdid a Tunisi, abbiamo parlato qui: http://www.tunisiainred.org/tir/?p=3619
L’articolo originale è apparso sul sito Justice.net il 21 marzo 2016 : http://www.justiceinfo.net/fr/r%C3%A9conciliation/26440-tunisie-la-torture-en-toute-impunit%C3%A9.html
Traduzione e adattamento dal francese a cura di Patrizia Mancini
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