“ E’ un atelier per mostrarvi il funzionamento delle negoziazioni su l’ALECA, e come potete contribuirvi come società civile!” Ha risposto Kamel Jendoubi (ministro incaricato dei rapporti con le istituzioni costituzionali e la società civile, n.d.t.) non senza imbarazzo a Abdellatif El Mokhtar, un agricoltore di Testour che ha qualificato l’ALECA “un progetto di distruzione di massa dell’economia nazionale” .In questa mattinata soleggiata, nonostante il ministro incaricato delle relazioni con la società civile tenti di ricordare ai partecipanti il quadro dell’evento, le paure sono troppo forti perché vengano smorzate. La maggioranza dei presenti ha invitato alla vigilanza, prima di vincolare il futuro della popolazione.
Alcuni hanno anche chiesto di poter accedere ai documenti preliminari redatti dagli europei. Documenti che restano confidenziali, a qualche giorno dall’inizio delle negoziazioni, il 18 aprile (al momento in cui pubblichiamo la traduzione, le trattative sono state avviate e si prevede possano durare fino a due anni)
Dopo aver rivelato gli aspetti legati all’energia, continuiamo l’esame dei documenti alla base dell’Aleca. Il capitolo che riguarda i mercati pubblici è il più breve, Si tratta solo di quattro articoli, con alcuni annessi. Ma nel caso l’accordo venisse stipulato, questo capitolo sconvolgerebbe profondamente e irreversibilmente l’economia e le politiche pubbliche nazionali. Lo Stato rimane ancora il principale agente economico del paese e il primo acquirente. I mercati pubblici rappresentano circa il 18% dell’economia nazionale e quasi il 35% del budget dello stato.
Asimmetria
Il sistema degli appalti pubblici è regolamentato da tutto un arsenale di leggi e decreti ministeriali. La chiave di volta di questo quadro legale è il decreto n. n° 2014-1039 del 13 marzo 2014. In questo testo prolisso, composto da 194 articoli, alcune disposizioni favoriscono i concorrenti tunisini nelle gare d’appalto. In effetti l’articolo 26 stipula che:
“Le offerte da parte delle imprese tunisine nell’aggiudicarsi lavori d’appalto, così come i prodotti tunisini sul mercato della fornitura di beni, sono, a pari qualità, preferiti alle offerte delle imprese straniere e ai prodotti di qualunque altra origine, nella misura in cui le offerte finanziarie delle imprese tunisine e il prezzo dei prodotti tunisini non oltrepassino di più del 10% il montante delle offerte e dei prezzi dei prodotti di origine estera.
Il concorrente è tenuto a presentare il certificato di origine tunisina rilasciato dai servizi che hanno tale funzione.
Nel caso si adottasse l’Aleca, sarebbe come se questo articolo non fosse mai esistito, dato che l’Aleca è più forte giuridicamente dei decreti tunisini. Allo stesso modo diverrebbero obsoleti tutti gli incentivi e tutte le misure prese dai pubblici poteri in favore delle piccole imprese [… ]L’accordo in effetti aprirebbe i mercati pubblici tunisini alle imprese europee accordando loro, allo stesso tempo, parità di trattamento.
Secondo i termini dell’art. 2 del capitolo sui mercati pubblici dell’Aleca, intitolato “la non-discriminazione”: […]
[…]chaque Partie, y compris ses entités contractantes, accordera immédiatement et sans condition, aux marchandises, aux services et aux fournisseurs de l’autre Partie, un traitement qui ne sera pas moins favorable que celui que la Partie, y compris ses entités contractantes, accorde : aux marchandises, aux services et aux fournisseurs nationaux ; et aux marchandises, aux services et aux fournisseurs de toute autre Partie.”
Le piccole e medie imprese tunisine (PMI) si troveranno quindi nella stessa arena di quelle europee. Ma le loro possibilità di conquistare i mercati dell’amministrazione e delle collettività locali si troveranno drasticamente ridotte.
Solo nel settore industriale l’Agenzia per la promozione dell’industria e dell’innovazione (APII) ha contato nel marzo 2014 5676 imprese, di cui solo il 9% impiegano più di 200 salariati. Dall’altra parte del Mediterraneo il settore dell’economia mercantile, non finanziario, ha contato nel 2012 oltre 22 milioni di piccole e medie imprese. In Germania società come la Volkswagen hanno un fatturato di molto superiore al budget dello stato tunisino.
Al di là di questa stupefacente asimmetria fra le imprese nazionali e le imprese dei 28 paesi europei, è anche la loro capacità di dinamizzare le economie nazionali che conferisce ai mercati pubblici la loro importanza strategica, se non vitale.
Uno strumento per lo sviluppo
Certo, l’obiettivo di un appalto pubblico è ottenere il miglior rapporto qualità-prezzo, ma gli appalti sono uno strumento potente che permette ai governi di modellare le proprie politiche pubbliche. Gli Stati possono servirsene per sostenere le industrie nazionali, dare impulso alla creazione di posti di lavoro o sviluppare alcune regioni meno favorite in termini di investimenti.
Nle 2003 i pubblici appalti hanno rappresentato il motore propulsore dell’iniziativa “e-Sri Lanka, un programma di sviluppo simile al progetto Tunisie Digitale. Le autorità Srilankesi hanno messo in opera una procedura per i contratti trasparente e concorrenziale che ha stimolato lo sviluppo delle PMI informatiche del paese. Il governo ha di fatto accordato dei punti supplementari e dei bonus alle imprese TIC srilankesi. Lo Sri Lanka ha anche incoraggiato la creazione di joint-ventures, il che ha favorito il transfert tecnologico e l’aggiornamento degli editori di software, delle imprese di integrazione dei sistemi e delle società di sicurezza informatica. Grazie ai progresso in questo settore, lo Sri Lanka, un paese a basso reddito con 20 milioni di abitanti, ha visto migliorare la propria economia e guarire le ferite lasciate da 30 anni di guerra civile.
Un accordo ne nasconde un altro
I mercati pubblici sono già un campo di battaglia fra paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo in seno all’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), che la Tunisia ha integrato nel 1995.
Le divergenze, se non addirittura le opposizioni, risalgono al ciclo di negoziazioni commerciali in seno all’OMC lancitato a Doha (Qatar) nel novembre 2001. I paesi in via di sviluppo allora avevano rifiutato di liberalizzare i loro mercati pubblici. I paesi sviluppati, difendendo gli interessi delle loro multinazionali e delle loro PMI, avevano spinto invano i paesi meno sviluppati a sottoscrivere l’Accordo sui Mercati Pubblici (AMP), adottato nel 1994. Tale accordo che raccomanda la liberalizzazione quasi totale dei mercati pubblici è stato firmato da 17 entità economiche, che rappresentavano per lo più paesi sviluppati.
Rifiutato dalla Tunisia nell’ambito dellOMC, l’AMP rientra dalla finestra dell’ALECA.
Nel quadro dell’Aleca, l’Unione Europea esige che la Tunisia “applichi le regole prescritte dagli articoli I, II.5 a II.8, III, IV.3 a IV.7, VI à XV, XVI.1 a XVI.3, XVII e XVIII dell’accordo dell’OMC sui mercati pubblici (AMP) fino a tutti i mercati previsti da questo Capitolo (capitolo dei mercati pubblici dell’ALECA, n.d.r.).
Dietro questo linguaggio criptato, si nasconde la quasi totalità delle disposizioni dell’AMP
Nel novembre 2015, Slim Chaker, ministro delle Finanze, aveva detto in un’intervista che “Le PMI sono il cuore pulsante della nostra economia che combatte quotidianamente per la sopravivvenza”
Se si arriverà a sottoscriverlo, il capitolo dell’Aleca relativo ai mercati pubblici darà il colpo di grazia alle PMI tunisine.
L’articolo originale in francese è apparso il 15 aprile su nawaat.org
Traduzione dal francese a cura di Patrizia Mancini
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