Intervista alla politologa Olfa Lamloum e allo storico Khaled Melliti, autore di una appassionante opera su Cartagine (sede della presidenza della Repubblica n.d.t.) per la casa editrice Perrin.
a cura di Pierre Puchot per Mediapart
Dietro la figura di Bourghiba, la cui statua troneggia dallo scorso 1 giugno sul grande viale di Tunisi che già porta il suo nome, gli attuali dirigenti nascondono la memoria della rivoluzione e il bilancio degli anni della dittatura di Ben Alì.
La Tunisia del 2016 è il paese del diniego della memoria, dalla narrazione nazionale selettiva che esclude gran parte della sua popolazione. Dallo scorso 1 giugno la statua dell’ex presidente Habib Bourghiba (1957-1987) troneggia nuovamente sul grande viale nel cuore di Tunisi che già porta il suo nome. Fautore del Codice dello statuto personale che ha rappresentato un notevole avanzamento per la condizione femminile, Bourghiba è anche il presidente della repressione contro i movimenti di opposizione e della rivolta del pane all’inizio degli anni ’80. Mancando di legittimità e di sostegno popolare, le èlites attualmente al potere si trincerano nondimeno dietro la sua figura evocando una grande narrazione nazionale che trascura di esaminare il periodo della dittatura sotto Ben Alì, così come misconosce il contributo dei martiri della rivoluzione. In questo modo questa stessa élite tunisina- che volge il proprio sguardo più verso l’estero che verso la propria popolazione, relegata ai margini – crea le condizioni per continue crisi politiche. L’appello alla formazione di un governo di unità nazionale formulato il 2 giugno dal presidente Béji Caïd Essebsi s’iscrive nella prospettiva di un potere senza visione, né bussola.
Qual’è il senso di questa reinstallazione della statua di Bourghiba sul viale che già era a lui dedicato nel centro di Tunisi?
Olfa Lamloum. Rimettere questa statua nel centro della città faceva già parte delle promesse elettorali dell’attuale presidente. All’indomani del 7 novembre 1987 – data in cui avvenne quello che è chiamato il “colpo di stato medico di Ben Alì contro il vecchio presidente Bourghiba- questa statua venne spostata a la Goulette (alla periferia di Tunisi ndlr), durante una messa in scena del nuovo regime che voleva sbarazzarsi della figura onnipresente di Bourghiba. Oggi viene rispolverata.
Khaled Melliti. La reinstallazione di questa statua s’iscrive in un lungo percorso di riappropriazione del personaggio di Bourghiba. L’élite occidentalizzata di Tunisi ha operato, già all’indomani della rivoluzione, tunisina, per il ritorno di questa statua.
O. L. Dal mio punto di vista, ciò rimanda direttamente all’incapacità delle élites al potere di produrre una narrazione nazionale motivante e suscettibile di raccogliere l’adesione dei giovani. E si va ad aggiungere a una ricerca di legittimità che dimostra una doppia negazione: la negazione della natura autoritaria di Bourghiba e del suo ruolo centrale nella istituzione di un regime autoritario in Tunisia, da un lato e la negazione della memoria dall’altro, poiché Bourghiba, indipendentemente dal ruolo che ha avuto nella fondazione della repubblica post-coloniale, non fa unanimità. Vi è una memoria plurale in questo paese e delle differenti narrazioni riguardo la storia contemporanea del paese.
La figura di Bourghiba viene brandita come un totem da una parte dei tunisini e in particolare da quelli vicini al partito Nidaa Tounes del presidente Beji Caid Essebsi: essi associano l’antico presidente a quanto di meglio è avvenuto in Tunisia, segnatamente al codice dello statuto personale che in qualche misura protegge le donne. Nello stesso tempo passa sotto silenzio la repressione degli oppositori, in particolare quella del movimento Perspectives, la rivolta del pane ecc. Come si è arrivati a una tale selettività della memoria collettiva?
O. L. Occorre un po’ relativizzare. Il governo non ha chiesto il parere della popolazione tunisina quando ha deciso di mettere la statua in questo luogo centrale e di passaggio nel cuore di Tunisi, in un viale che resta uno dei simboli della caduta di Ben Alì. Tale figura è consensuale fra le élites al potere perché non hanno nessun’altra figura in comune da presentare e neppure nessun’ altra narrazione nazionale da proporre alla popolazione. La reinstallazione della statua è abbastanza controversa oggi in Tunisia, lo vediamo dalle discussioni che provoca. Poche persone si sono recate alla cerimonia di inaugurazione. Al contrario, è venuta fuori una messa in scena che ricorda quelle del regime di Ben Alì- Questo consenso sulla figura di Bourghiba che si cerca di creare oggi è ancora in costruzione.
Occultare la memoria della rivoluzione
Com’è possibile che Bourghiba, anche in opere apparse recentemente in Francia, conservi questa verginità, se possiamo chiamarla così, nonostante gli atti di repressione di cui la sua presidenza si è dimostrata colpevole?
K. M. Occorre risalire al periodo dell’indipendenza. Allora, nel 1956, vi erano due figure emblematiche : Habib Bourguiba e Salah Ben Youssef, che incarnava il nazionalismo arabo, l’integrazione della Tunisia nello spazio arabo-musulmano. La Francia scelse di appoggiare Bourghiba, l’ha sempre sostenuto anche dopo la sua morte. Nello stesso tempo l’agiografia di Bourghiba viene perpetuata dai turiferari dell’epoca destouriana (con riferimento al partito di Bourghiba, il Neo-Destour, poi divenuto Partito Socialista destouriano,ndlr) E’ necessario inoltre reinserire ciò nel contesto socio-politico tunisino, in cui vediamo due blocchi, Ennahda (partito musulmano conservatore ) e Nidaa Tounes i quali, anche se alleati nel governo, ci offrono lo spettacolo di una piccola competizione politica. Questa competizione è ancora sostenibile perché portata avanti da due dirigenti come Rached Ghannouchi e Béji Caïd Essebsi. In questo contesto l’agiografia dell’ex presidente viene coltivata da un élite pro-Bourghiba occidentalizzata per tentare di far fronte all’emergere di Ennahda sulla scena politica tunisina dopo il 2011. Con la creazione di questo personaggio mitizzato di un Bourghiba aperto, che ha condotto la Tunisia al progresso, siamo chiaramente di fronte alla costruzione di una leggenda dorata al servizio di un fine politico.
O. L. Questa figura di Bourghiba incarna la continuità dello Stato post-coloniale che è quanto si cerca di mettere in evidenza. Una continuità con tutto quanto ciò comporta in termini di modalità di governo, di narrazione storica. Si tenta di promuovere l’eredità di Bourghiba come il grande unico racconto della storia tunisina, il racconto del vincitore mentre lo Stato tunisino, al contrario è nato nella violenza contro i youssefisti che non erano certamente marginali. Questa continuità è anche quella delle élites al potere che ci governano dal 1956 e che continuano a giocare un ruolo importante.
Di quali élites stiamo parlando? Delle grandi famiglie del Sahel?
K. M. Si tratta di una élite originaria del litorale orientale della Tunisia, dove del resto le grandi famiglie si sono sempre preoccupate di riallacciarsi alle élites dirigenti, fin dall’epoca del Bey.. Se ci si pone in questa prospettiva di continuità con l’epoca coloniale, ciò significa che la figura di Bourghiba serve a fare tabula rasa del periodo di Ben Alì, ma anche di quello della rivoluzione. Malgrado tutte le rivelazioni, fra cui quelle di Mediapart sulla giornata del 14 gennaio 2011 – giornata storica in cui Ben Alì ha lasciato il paese- lo Stato tunisino non ha ancora dato la versione ufficiale di questa partenza, come per meglio mantenere la confusione e cancellare il ricordo della rivoluzione.
O. L. Il fatto che l’avenue Bourguiba, che è stato uno dei simboli della rivoluzione del 14 gennaio 2011, con le manifestazioni davanti al Ministero degli Interni, il famoso « Dégage », ecc., non ospiti oggi che le figure di Ibn Khaldoun e di Bourguiba, conferma quanto lei dice. E’ una maniera di dimenticare, di fare “zapping”, di uscire dalla narrazione ufficiale di altri attori che pure hanno svolto un ruolo chiave nella storia tunisina: i giovani, i feriti, i martiri della rivoluzione e tutto quel pezzo della nostra storia che si è svolto fra il dicembre 2010 (inizio delle manifestazioni contro Ben Alì) e il gennaio 2014 (data dell’adozione della nuova Costituzione).
Khaled Melliti, anche lei ha la stessa sensazione di “zapping”, di cancellazione della memoria rivoluzionaria?
K. M. Sì, tanto più che oggi, nel 2016, le rivoluzioni arabe sono viste come una sorta di manipolazione straniera da una parte delle popolazioni dei paesi interessati. Passata l’esaltazione dei primi anni, percepisco una certa disillusione. Il ritorno della statua di Bourghiba è un modo per riprendere il corso, considerato dalle élites come “normale”, della storia politica e della civiltà, arrestatosi con la dipartita di Bourghiba dal potere.
Questo ritorno di Bourghiba rimette in scena la narrazione “unica” della Tunisia, centrata sull’identità saheliana, cioé sulle élites del nord-est e sulla negazione di tutte le altre popolazioni. Tale crisi della memoria non contribuisce a prolungare una crisi identitaria che si pensava risolta con la caduta della dittatura di Ben Alì e con i fari accesi sulle regioni del centro e del sud?
O. L. Uno dei nostri studi recenti, i cui risultati verranno pubblicati prossimamente, verte sulle popolazioni di Ben Guerdane (dove ha avuto luogo l’attacco dello Stato Islamico nel marzo scorso) e di Dhiba, nel sud del paese, alla frontiera con la Libia. 700 persone hanno risposto alla nostra ricerca quantitativa e qualitativa centrata su questioni identitarie. Lo scopo era di comprendere come questa gente rappresentasse se stessa tramite le risposte che davano alla seguente domanda: “Chi sono io?” Abbiamo già fatto un’inchiesta del genere nella regione di Kasserine (sud-ovest) e nei quartieri popolari di Ettdamen e Douar Icher (Grand Tunis) . Ciò che viene fuori da queste inchieste è una narrazione di sé che si richiama essenzialmente alla marginalizzazione, “tahnich” in arabo. A questa marginalizzazione si aggiunge il tema della punizione, queste persone si sentono punite dal potere centrale. Tutto questo ci rimanda a una storia, quella del non riconoscimento della implicazione delle popolazioni meridionali nelle lotte anti-coloniali del 1881, della rivolta del 1915-1918 a Dhiba, del movimento youssefista ecc. Secondo loro, lo Stato centrale li ha puniti per aver sostenuto questi movimenti. Essi sono state cancellati dalla storia della lotta anti-coloniale dalla figura di Bourghiba. Ci troviamo perciò di fronte a una vera frammentazione territoriale della memoria in Tunisia, e ancora oggi a pezzi interi, molto oscuri, della storia del paese che non sono stati trattati. E si continua a volerli cancellare, a volerli dimenticare, per riprendere la narrazione di una pretesa unità nazionale che di fatto è stata costruita sotto Bourghiba. Un ricercatore francese, Jean-Philippe Bras, dimostra molto bene come, negli anni ’50 e ’60 i discorsi di Bourghiba sul sud, considerato immaturo, sottosviluppato, siano serviti a forgiare un’unità nazionale tunisina mitizzata, escludendo le popolazioni marginalizzate e dei territori considerati come impossibili da mobilitare , non coinvolti da questa immagine di una Tunisia “moderna”come voluta dalla narrazione bourghibista.
Khaled Melliti, lei è l’autore di un’opera di riferimento su Cartagine. Come intende l’identità reale, multipla della Tunisia, nascosta dietro questa narrazione bourghibista?
K. M. La scena mediatica è stata costruita dal litorale est tunisino e da giornalisti abituati a incensare la figura di Bourghiba. E’ una maniera di riattivare questo concetto di “tunisianité” che è esso stesso un modo di negare la supremazia dell’identità araba della Tunisia. Si fa del folklore con l’identità berbera, fenicia, vandala, bizantina, turca spagnola e via dicendo, per meglio cancellare la sua parte araba. Ma mettere sullo stesso piano il retaggio arabo della Tunisia con quello vandalo rientra nel campo della sproporzione che spiega l’eccesso della propaganda ideologica di Bourghiba. Esiste una chiara volontà da parte di questa élite di allontanarsi dall’insieme arabo-musulmano. Ora la Tunisia è stata più arabizzata del Marocco e dell’Algeria, ciò appare evidente per quanto riguarda la componente berbera, meno importante in Tunisia. Dunque la questione identitaria in Tunisia ruota attorno al suo appartenere o meno allo spazio arabo-musulmano. All’epoca di Ben Alì c’è stato un tentativo di riportare la Tunisia nel bacino mediterraneo, attribuendo in particolare alla figura di Annibale degli obiettivi che non erano i suoi. Annibale non ha mai voluto unificare il Mediterraneo. Perciò in Tunisia vi è una strumentalizzazione della storia molto forte da parte della politica, persino andando a ritroso nel tempo. Con la figura di Bourghiba oggi ritroviamo la stessa dinamica.
O. L. Le ineguaglianze regionali, di cui si è tanto parlato senza fare nulla, senza mobilitare delle politiche pubbliche per risolverle, non sono riducibili solo a dei rapporti sociali, ma dipendono anche da rapporti simbolici e storici di dominazione, come ha ben spiegato Khaled Melliti. La narrazione bourghibista è stata una spinta per la legittimazione dello Stato post-coloniale e della subordinazione dei “margini”...Questa ossessione dell’élite tunisina a volersi distinguere a ogni costo dal mondo arabo-musulmano è del resto un po’ strampalata. In Francia la distinzione sociale passa attraverso una rivendicazione delle origini nazionali, ci si rivendica « français de souche » (francese d’origine n.d.t.), esiste questa espressione e si stigmatizza chi viene da fuori. In Tunisia avviene il contrario: si è diversi, superiori sul piano sociale quando si viene dall’estero, in particolare dall’Europa, quando si hanno gli occhi azzurri, quando si è bianchi, quando si somiglia al nostro colonizzatore.
K. M. E’ proprio così, ed è un vecchio alunno del liceo francese di La Marsa che ve lo dice! Ho potuto vedere questa strategia all’opera durante tutto il mio percorso scolare.
Per andare un po’ più lontano, possiamo legare direttamente la crisi d’ identità tunisina al marasma politico attuale e all’incapacità di una élite e dei partiti politici, confinati in un “fra noi” sclerotizzante, a rinnovarsi, a far spazio ai giovani e alle regioni, a rinnovare il loro approccio politico della gestione del paese?
O.L. Il discorso del presidente della Repubblica Béji Caïd Essebsi et il suo appello all’unione nazionale, il 3 giugno scorso, si iscrivono nei tempi lunghi, bisogna analizzarli rispetto a quanto stiamo vivendo dal dicembre 2010. Dalla partenza di Ben Alì viviamo un ciclo politico che si caratterizza per due elementi principali : una crisi delle élites al potere, la loro incapacità a governare e a ottenere l’assenso dei tunisini. L’élite non è in grado di proporre un’altra maniera di governare, di inquadrare, di controllare. Si riattualizzano le stesse modalità di governo di Ben Alì: tentativi di controllo autoritari, securitari, in particolare nei quartieri popolari della cintura urbana di Tunisi. O ancora delle modalità di “lasciar fare”, come nel caso del sud, perché il potere non ha una politica economica inclusiva nei confronti delle popolazioni marginalizzate. L’altro elemento è il livello importante delle mobilitazioni sociali che sono riprese massicciamente dal gennaio 2016, in particolare a partire dalla città di Kasserine. Mobilitazioni che vanno a iscriversi in territori simili a quelle delle manifestazioni del gennaio 2011. Stiamo attraversando un periodo che un sociologo francese, Michel Dobry, chiamava la congiuntura fluida, in cui nulla si è stabilizzato. Lo si può vedere in particolare nelle continue crisi del partito al potere, Nidaa Tounes, e nell’incapacità delle élites a produrre un partito egemonico capace di dirigere il paese.
K. M. Alla fine tutto ruota attorno alla questione della legittimità, assente nei governi che si sono succeduti finora il che spiega il costituirsi di agglomerati governativi come quello che vediamo all’opera attualmente, composto da partiti politici che si situano l’uno all’estremità dell’altro, aggregatisi per tentare di federare al massimo. Abbiamo avuto la troika (formata dal partito di ispirazione islamica Ennahda e dai due partiti di centro-sinistra, Ettakatol e il CPR, primo governo all’indomani delle elezioni dell’ottobre 2011 – ndlr), e oggi l’aggancio fra Nidaa Tounes e Ennahda.
O. L. Si ha l’impressione che il potere tunisino sia perfettamente cosciente del suo problema di legittimità, per questo motivo si agitano le figure di Bourghiba, Annibale ecc. e vi è questo desiderio di associarsi a Ennahda per appoggiarsi alla loro base popolare e alla centrale sindacale. Ma tutto questo è precario e il ciclo avviatosi iniziato nel dicembre 2010 è lungi dall’essersi chiuso.
L’intervista, a cura di Pierre Puchot, è apparsa il 10 giugno 2016 sul sito di Mediapart:
Traduzione e adattamento dal francese a cura di Patrizia Mancini
Follow Us