La missione dei membri della Commissione composta da parlamentari europei e tunisini è terminata il 23 settembre scorso. Al loro rientro a Strasburgo, dopo una permanenza di cinque giorni a Tunisi, i parlamentari europei dovranno valutare le conseguenze della risoluzione del Parlamento europeo del 14 settembre 2016. Composta da 70 articoli, tale risoluzione commenta, valuta e orienta i differenti aspetti della politica interna e dell’economia nazionale : “riforme politiche e istituzioni”, “sviluppo economico e sociale”, “difesa e sicurezza” o ancora “mobilità, ricerca, cultura ed educazione”.
“L’Europa benefattrice”…e altre sciocchezze!
La maggior parte dei media dominanti si è accontentata di riprendere il testo della risoluzione. Alcuni si sono sforzati di riassumerla, altri l’hanno condita con le tradizionali dichiarazioni, esaltando “la cooperazione”. Fra tutti i 70 punti del documento europeo alcuni media hanno evidenziato soltanto “l’invito a trasformare il debito tunisino in progetti d’investimento” e “il sostegno europeo per il recupero dei beni sottratti dal vecchio regime”. Senza temere di utilizzare delle approssimazioni storiche, altri sono arrivati persino a parlare di “un piano Marshall in favore della Tunisia”.
Nessuno ha commentato l’abile spostamento delle questioni relative alle migrazioni dalla sezione “difesa e sicurezza” alla parte relativa a “ricerca, educazione e cultura”. Eppure a Strasburgo, in Lussemburgo a Bruxelles o a Varsavia – sede dell’agenzia Frontex – la gestione delle frontiere europee è una questione principalmente securitaria, se non addirittura militare
.(leggi: http://nawaat.org/portail/2016/07/13/la-militarisation-de-la-mediterranee-sous-couvert-de-lutte-contre-limmigration/ e https://inkyfada.com/2015/08/crise-refugies-migrant-mena-europe-hcr-tunisie-libye-maroc-algerie-yemen-egypte-syrie-irak/).
Una lettura più accorta dimostra che, lungi da diffondere carità e simpatia, la cooperazione è un braccio di ferro in cui l’interesse economico europeo viene prima dello “sviluppo” e della “stabilità” dei tunisini.
Sotto il segno del libero scambio
Con questa risoluzione il Parlamento europeo aspira a un Accordo di libero scambio “ambizioso” il cui fine è il miglioramento del clima per gli investimenti in Tunisia e l’accesso dei tunisini al mercato europeo. A Bruxelles, a Strasbourgo e a Tunisi, l’Aleca viene presentato come una formula rivoluzionaria che “deve contribuire a diffondere in Tunisia le normative europee nell’ambito dell’ambiente, della protezione dei consumatori e dei diritti dei lavoratori”
Avendo già analizzato qualche capitolo del documento di base dell’Aleca, abbiamo sottolineato l’impressionante asimmetria fra i due “partners”. Contrariamente all’idea corrente che fa passare Aleca come un accordo commerciale potenzialmente migliorabile in corso di trattativa, esso prevede fin dall’inizio alcuni capitoli che impegnano l’economia nazionale in cambiamenti irreversibili. L’apertura dei mercati pubblici rischia effettivamente di schiacciare le piccole e medie imprese tunisine. Quanto al capitolo relativo alla commercializzazione dell’energia, la Commissione Europea esclude da subito qualunque possibilità di trasferimento di tecnologia, vietando inoltre le joint ventures fra tunisini e italiani.
In principio fu l’energia
Questo capitolo sull’energia è stato fortemente sollecitato dal Parlamento europeo che, nella sua risoluzione del 25 febbraio 2016, “incita la Commissione a integrare nell’accordo un ambizioso capitolo sull’energia e le materie prime che permetta di accrescere la ricerca e la cooperazione nei settori dell’elettricità, del gas, delle energie eoliche e solari così come altre fonti di energie rinnovabili”. Tali obiettivi permetteranno di ridurre la dipendenza europea dai gasdotti russi e di meglio rispettare le proprie regolamentazioni ambientali.
Ma già l’Europa sembra rassicurarsi sui suoi interessi energetici in Tunisia e sul corso dell’integrazione dei mercati euro-mediterranei dell’elettricità. Al punto 47 della risoluzione del 14 settembre 2016, il Parlamento Europeo si è felicitato per l’approvvigionamento assicurato dal progetto ELMED : una interconnessione fra Tunisia e Italia con una capacità di 1000 MW.
Inoltre, ancora prima di raggiungere l’accordo su gli investitori europei e non europei dispongono ormai di un quadro giuridico adeguato rappresentato nello specifico dalla loi de l’investissement (adottata il 17 settembre 2016) e dalla legge sulla produzione di elettricità a partire dalle energie rinnovabili (adottata il 18 settembre 2016 e completata dal decreto di regolazione) Le diverse convenzioni bilaterali che legano la Tunisia a 15 paesi europei proteggono questi investitori e garantiscono loro un trattamento esemplare. In caso di contenzioso, essi potrebbero trascinare lo Stato tunisino nei meandri penosi e onerosi dell’arbitraggio internazionale.
Traduzione dal francese a cura di Patrizia Mancini
L’articolo originale è apparso il 25 settembre 2016 su Nawaat.org
I precedenti articoli di Hafawa Rebhi tradotti in italiano sugli accordi ALECA:
ALECA : il colpo di grazia alle imprese tunisine
L’accordo Aleca sull’energia: punti di contrasto con la Costituzione e le leggi tunisine
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