Olfa Lamloum
Estratto dall’ultimo rapporto pubblicato da International Alert : « Marginalisation, insecurity and uncertainty on the Tunisian–Libyan border. Ben Guerdane and Dhehiba from the perspective of their inhabitants ».
Quando si interrogano gli abitanti di Dhiba e di Ben Guerdane sulla percezione che hanno del Sud della Tunisia, regione alla quale rivendicano di appartenere,essi evocano in primo luogo la “ marginalizzazione” (tahmîch) (rispettivamente 97,7% e 88,5%). La forte percezione di esclusione va al di là delle generazioni e dei sessi, anche se è più acuta tra i giovani disoccupati (1).Tale percezione conferma il consolidarsi, dopo la caduta di Ben Alì, del tahmîch come categoria cognitiva, in grado di strutturare la maniera in cui le popolazioni riferiscono di se stesse, nell’insieme dei territori urbani e periferici ai margini del paese, come i quartieri popolari della Grand Tunis o del governatorato di Kasserine, alla frontiera con l’Algeria. (2)
Tuttavia, a Ben Guerdane e a Dhiba il sentimento di marginalizzazione si accompagna a un altro che ne è indissociabile : quello della « punizione »(3). Perché per la maggior parte degli abitanti, la « marginalizzazione » è un « destino sociale » (4) che trova il suo senso nella « punizione » inflitta dallo « Stato centrale », a tutto il territorio del Sud tunisino. Interviste formali e informali stabiliscono una lontana genealogia di questa « punizione », facendone risalire le origini al periodo coloniale. Perciò, è senza dubbio attraverso un andare all’indietro nel tempo che si può cogliere questa rappresentazione condivisa, iscrivendola nel tempo lungo della storia violenta che ha segnato i rapporti dello Stato coloniale e poi postcoloniale con il Sud.(5)
A causa della loro vicinanza geografica, Dhiba e Ben Guerdane presentano traiettorie storiche relativamente simili. Entrambe hanno conosciuto la penetrazione coloniale francese che ha causato la distruzione delle economie agro-pastorali e carovaniere delle tribù nomadi dei Touazine a Ben Guerdane (6) e dei Dhibât a Dhiba (7), la sedentarizzazione forzata di queste tribù e la confisca violenta delle loro terre, la sottomissione militare, accompagnata nel 1910 dalla tracciatura imposta delle frontiere con la Libia, sulla scia della colonizzazione italiana di quest’ultima. Le due città sono state segnate allo stesso modo dalla resistenza alla colonizzazione, in particolare da due episodi memorabili. Innanzitutto la sollevazione armata del 1881, guidata da Ali Ben Khalifa che troverà rifugio a Ben Guerdane e in Tripolitania, dopo la conquista francese delle grandi città di Sfax e Gabes. Ali Ben Khalifa si guadagnò il sostegno delle tribù della regione, in particolare dei Touazine, ma l’insurrezione che ne seguì venne violentemente repressa dall’esercito francese(8). Successivamente vi fu la rivolta armata del 1915-1916, guidata da Khalifa Ibn Asker che mobilitò le tribù di Djabel Nafoussa (in Libia) e Dhibât e che, a sua volta, venne soffocata nel sangue (9). Questi due episodi sono tuttora presenti nella memoria collettiva degli abitanti delle due città : più d’un secolo dopo, quando li si interroga sulla loro rappresentazione del Sud, una maggioranza evoca la resistenza alla colonizzazione francese ( 84,2% a Dhiba, 72,3% a Ben Guerdane).
La nascita, nella violenza, dello stato tunisino postcoloniale ha lasciato, anch’essa, delle cicatrici. Essa fu in effetti segnata dalla repressione del movimento youssefista (10) che fece seguito agli accordi di autonomia interna e provocò una scissione in seno al Néo-Destour, il partito egemonico all’interno del movimento nazionale e in tutto il paese. I partigiani di questi accordi, raggruppatisi intorno a Habib Bourghiba, si opposero violentemente a quanti invece li denunciavano i quali erano capeggiati da Salah Ben Youssef (11). all’epoca segretario generale del partito, Ben Youssef trovò nel Sud del paese forte sostegno. Braccato, si rifugiò in Libia nel 1956 (12), dopo essersi nascosto in un piccolo villaggio vicino a Ben Guerdane(13). La repressione si abbatté, in seguito, in tutti i territori degli youssefisti nel Sud (14).
Habib Bourghiba uscì vincitore dal conflitto con gli youssefisti. La nuova repubblica venne proclamata che si a insediò sulle « macerie del regime beycale e recuperò l’amministrazione del protettorato »(15).
Lo Stato centrale si consolidò attraverso l’adozione di una nuova suddivisione territoriale e amministrativa. Il « riformismo » (16) venne eretto a « grande narrazione politica » (17) del nuovo regime autoritario, basato sul mito della « nazione tunisina unita », costruita all’interno di una alterità « denominata territorialmente e designata dal Sud »(18). In tutti i suoi discorsi lo « zaim » (comandante supremo n.d.t.) Habib Bourghiba non smise mai di sminuire le resistenze che avevano preceduto la nascita del suo partito e continuò a formare l’immagine di un Sud distinto, economicamente sottosviluppato, politicamente « immaturo », ossia pericoloso. (19)
Si può supporre, senza rischo di sovrainterpretazione, che il fatto di evocare la « punizione » da parte della maggior parte delle persone oggetto dell’ inchiesta, faccia eco a questa lunga storia del Sud tunisino, colpito dalla scure della repressione, dall’espropriazione e dal diniego. Trasmesso di generazione in generazione come dovere di memoria e esigenza di giustizia nei confronti di una narrazione ufficiale scritta dai « vincitori », questo sentimento di « punizione » ha attraversato i decenni ed è sopravvissuto a Bourghiba e a Ben Alì. E se tuttora perdura, è perché il tahmîch, sempre in auge, viene vissuto come la prova di questa « punizione » e perché alcune figure politiche non esitano a riprodurre gli stereotipi ai quali fanno riferimento per fustigare il Sud. Certamente, cinque anni dopo la rivoluzione, la pregnanza della « punizione » come registro interpretativo centrale mette in difficoltà il mito della « Unità nazionale » e mette in evidenza la frammentazione territoriale della memoria nazionale. Questa memoria frammentata spinge non solo a disseppellire squarci oscuri della storia del paese, ma anche a riconsiderare il fatto regionale dal punto di vista delle popolazioni che l’hanno subito, cioè come attributo di legittimazione dello Stato postcoloniale e leva per l’esclusione e la subordinazione delle popolazioni marginali.
Ciò detto, il Sud non evoca soltanto l’esclusione e la punizione. Agli occhi della maggioranza delle persone oggetto dell’inchiesta, esso è anche sinonimo di vicinanza con la Libia (90,6% a Dhiba, 85,5% a Ben Guerdane), di usanze e costumi specifici ((83,7% e 83,7%) e, da ultimo, di appartenenza a tribù prestigiose (45,3% e 71,4%). La concordanza delle risposte e la loro congruenza da parte delle persone oggetto dell’inchiesta nelle due città tracciano i tratti comuni di una narrazione di sè che mobilita le risorse spaziali (importanza delle reti di scambi, di solidarietà storiche e di relazioni famigliari con la Libia) (20), quelle della memoria (resistenza armata all’occupazione) e della cultura (il legame tribale e le usanze specifiche).
L’insieme di queste risposte fa rivivere i segni di una identità condivisa (21) che convalida un rapporto problematico con lo Stato centrale, colpevole di aver punito e dimenticato i propri figli e poi di aver validato la loro invisibilità per mezzo della sua narrazione storica ufficiale e ideologica. L’identità specifica assunta dagli abitanti delle due città suggerisce la valorizzazione di uno stigma eretto a distinzione. (22). L’evocazione delle « tribù prestigiose » e dei « costumi ancestrali » sembra investire l’anteriorità come fonte di legittimità e partecipare a questo titolo a ciò che P. Bordieu ha sviluppato nella sua analisi del fatto regionale : una forma di « lotta collettiva per il sovvertimento dei rapporti di forza simbolici che mira non a cancellare i tratti stigmatizzanti, ma a rovesciare il tavolo dei valori che li costruisce come stigma » (23). Rivendicarsi come appartenenti a una tribù prestigiosa attesta così un passato glorioso che testimonia una doppia resistenza, allo stesso tempo contro la colonizzazione francese e contro la violenza dello Stato e delle sue élites. (24). Quanto ai costumi, molto spesso assimilati dai nostri intervistati al « pudore » (hichma) (25), essi sembrano incarnare ai loro occhi il cemento dell’unità del gruppo, assicurando la sua coesione e la riproduzione delle proprie gerarchie. (26)
Va da sé che costumi e gesta tribali non rivestono la stessa importanza per tutti gli abitanti. I dati quantitativi mostrano chiaramente che i giovani vi sono meno attaccati. Durante le interviste, alcuni fra loro hanno voluto prendere le distanze nei confronti di ciò che considerano come “credenze dei vecchi” oppure il marchio di un “conservatorismo” sempre più scosso dalle contingenze economiche. Altri ancora sembrano avere poca familiarità con i “segni” di riconoscimento dell’appartenenza tribale, come i nomi di famiglia o l’occupazione delle terre (27). D’altra parte è chiaro che , se il riferimento alle usanze è importante allo stesso modo a Dhiba e a Ben Guerdane, l’evocazione delle “tribù prestigiose” marca una netta differenza fra le due città. A Dhiba, dove più della metà non fa menzione di queste tribù (54,7%) per definire il Sud, circa un individuo su tre pensa che il fatto tribale abbia poca o nessuna importanza nella sua vita (contro il 12,7% a Ben Guerdane). Come si spiega questo scarto, dato che Dhiba è chiaramente meno dotata di risorse e più isolata geograficamente? La risposta più plausibile, secondo noi, rinvia alle modi di inserimento- molto diversi- delle due città nell’economia nazionale…Resta sempre il fatto che questa differenza ricorda molto proprio una conclusione di Olivier Roy, secondo la quale la solidarietà di lignaggio, lungi dall’essere il semplice fatto residuale di una società tradizionale in uno Stato moderno, “è una ricomposizione di reti di cittadinanza in uno spazio politico e territoriale modificato dall’evento Stato” (28). In questo senso il fatto tribale è innanzitutto una tradizione reinventata che serve nello stesso tempo come supporto e giustificazione delle strategie di accesso alle risorse materiali e simboliche.
Attraverso la sua plasticità e l’appropriazione differenziata da parte degli abitanti di Dhiba e Ben Guerdane, la rappresentazione del Sud, come viene fuori dall’inchiesta, mostra l’importanza della spaccatura regionale in Tunisia.
Banalizzata o strumentalizzata, evitata o sbandierata nello spazio politico istituzionale, questa spaccatura, a cinque anni dalla caduta di Ben Alì, nutre più che mai un aspro sentimento di ingiustizia, espresso da una grande parte delle popolazioni di frontiera. Il nuovo contesto politico non sembra aver fatto altro che legittimare ulteriormente la contestazione di questa ingiustizia da parte di una maggioranza degli abitanti del Sud.
Note:
1. Ciò viene provato incrociando i dati relativi all’età e alla categoria sociale.
2. Facciamo qui riferimento ad altre inchieste realizzate da International Alert in due quartieri popolari della Grand Tunis, Ettadhamen e Douar Hicher, così come nel governatorato di Kasserine. Vedi O. Lamloum, Mohamed Alì Ben Zina(eds.): Les jeunes de Douar Hicher et d’Ettadhamen: Une enquête sociologique, Tunis: International Alert and Arabesques, 2015; Olfa Lamloum “Politics on the margins in Tunisia: Vulnerable Young People in Douar Hicher e Ettadhamen, London: International Alert, 2016; H. Meddeb, H. Meddeb: Young people and smuggling in the Kasserine region of Tunisia: Stories of dispossession and the dynamics of exclusions, London International Alert, 2016
3. Il tema della “punizione “ è quasi assente nei discorsi degli abitanti di Kasserine. Le thème de la « punition » est quasi absent des discours des habitants de Kasserine. Nei canti ripresi durante i mesi di gennaio, febbraio e marzo 2016 dal movimento dei disoccupati, è piuttosto il tema dell’oblio a essere posto in evidenza.
4. Per riprendere l’espressione utilizzata da Bordieu. Vedi BOURDIEU Pierre, « L’identité et la représentation. Eléments pour une réflexion critique sur l’idée de région ». Paris : Actes de la recherche en sciences sociales. Vol.35, novembre 1980, pp.63-72.
5. Diverse interviste hanno evocato questa violenza
6. Voglio qui ringraziare lo storico Jilani Ellafi, uno dei migliori conoscitori della storia di ben Guerdane, che mi ha fatto imparare molto sulla sua città.
7. Questa stessa è composta da tre linee di discendenza: al-Thwamir, al-Brijât et al-Jabra. Voir BOUZRARA Mohamed, Les confins tuniso-libyens à travers l’histoire. La tribu des dhibâts et ses voisins (in arabo), Sousse édition Saidane, 2014.
8. Per sapere di più su questo episodio, vedi Pour en savoir plus sur cet épisode, voir BOUZRARA Mohamed, Les confins tuniso-libyens à travers l’histoire. La tribu des dhibâts et ses voisins (in arabo), Sousse édition Saidane, 2014, AL SGAYAR Alaya, MNASSAR adnân. Al muqawama al musalaha fi tunis. 1881-1939. Tunis: Manchourât al ma’had al ‘ala litârikh al haraka al wataniyya, 1997 ; ABDELMOULA Mahmoud, Jihad et colonialisme, la Tunisie et la Tripolitaine 1914-1918. Tunis : ed. Tiers Monde, 1987.
9. Vedi Alaya, Mnassar, 1997, op. cit.
10. Segretario generale del Néo Destour, Salah Ben Youssef j giocò un ruolo di primo piano quando Bourghiba fu inviato in esilio. Nel 1954 denunciò gli accordi di autonimia interna e rivendicò come impresindibile da ogni negoziato il ritiro delle truppe francesi dal territorio tunisino. Venne escluso dal partito nel 1955, ma continuò la sua camoagna. Condannato a morte, evase nel 1958. Fu assassinato su ordine di Bourghba nel 1961, in Germania.
11. Lamloum, Khiari, 2000.
12. Salah Ben Youssef fuggì a Tripoli, poi a Il Cairo. Nel 1961 s’installò in Germania. à Tripoli puis au Caire.
13. Salah Ben Youssef passò una notte a Chahbania, a 40 km de Ben Guerdane, cpresso Abdallah Ben Amara Laamari, uno dei nonni dell’attuale deputato di d’Ennahdha Ahmed Laamari. Intervista, aprile 2016.
14. Su questa sequenza storica vedere la testimonianza del militante youssefista Houcine Triki o anche quella di Saad Ben Marzouk sul processo del 3 ottobre 1959.
15. LAMLOUM Olfa, KHIARI Sadri. «Le Zaim et l’artisan ou de Bourghiba à Ben Alì in Annuaire de l’Afrique du Nord, Centre national de la recherche scientifique ; Institut de recherches et d’études sur le monde arabe et musulman (IREMAM) (éds.), Paris : Editions du CNRS, 2000, pp. 377-395.
16. Per un’ottima sintesi di questa storia del “riformismo autoritario” del regime di Bourghiba vedi : CHOUIKHA Larbi, GOBE Eric. Histoire de la Tunisie depuis l’indépendance. Paris : La Découverte, 2015 ; Camau, Geisser, 2003. CHOUIKHA Larbi, GOBE Eric. Histoire de la Tunisie depuis l’indépendance. Paris : La Découverte, 2015 ; CHOUIKHA Larbi, GOBE Eric. Histoire de la Tunisie depuis l’indépendance. Paris : La Découverte, 2015.
17. Secondo l’espressione di Béatrice Hibou. Vedi HIBOU Béatrice. « Le réformisme, grand récit politique de la Tunisie contemporaine », Revue d’histoire moderne et contemporaine 2009/5 (n° 56-4bis), pp. 14-39.
18. BRAS Jean Philippe. L’autre Tunisie de Bourguiba : les ombres du sud. In CAMAU Michel et GEISSER Vicent dir. Habib Bourguiba. La trace et l’héritage. Aix-en-Provence : Karthala, 2004, p. 298.
19. Il discorso di H. Bourguiba pronunciato a Ben Guerdane il 3 dicembre 1958 e citato da Le Bras è edificante a questo proposito. Il Comandante Supremo vi evoca la mancanza di « maturità politica » riguardo il sostegno portato dalla popolazione locale alla “sovversione youssefista”
20. Riguardo questo tipo di solidarietà delle lotte anticoloniali vedi ABDELMOULA Mahmoud, 1987, op.cit.
21. Siamo ben coscienti del carattere polisemico e un poco ambiguo della nozione di identità. La utilizziamo qui come “l’interrogazione del punto di vista dell’individuo (o del gruppo) sulla propria definizione (“Chi sono io ”).Vedi J-C. Kaufmann, L’invention de soi. Une théorie de l’identité, Paris, Armand Colin/SEJER, 2004
22. Bourdieu, 1980, op.cit.
23. Ibid.
24. Colloquio con alcuni giovani disoccupati, Ben Guerdane, novembre 2015.
25. Questo “pudore” si traduce in alcuni codici che organizzano la vita sociale e regolano in particolare i rapporti di genere e generazionali.
26. Facciamo riferimento in particolare ai lavori di Clifford Geertz sul legame tribale. Geertz ritiene che « questi legami partecipino alla costruzione culturale attraverso la quale una società interpreta la propria esperienza e s’immagina come comunità di interconoscenza” CLIFFORD Geertz. “The integrative Revolution. Primordial Sentiments and Civils Politics in New States” in C. Geertz (dir.) Old Societies and New states. The quest of Modernity in Asia and Africa. New York: Free Press, 1964, pp.105-157.
27. Alcuni giovani non sono in grado di determinare l’origine tribale a partire dai di famiglia e non conoscono l’origine tribale della ripartizione delle proprietà terriere.
28. ROY Olivier. « Groupes de solidarité, territoires, réseaux et État dans le Moyen-Orient et l’Asie centrale», in DAOUD Houcham (Ed.), Tribus et pouvoirs en terre d’islam, Paris : Armand Colin, 2004, pp. 39-80.
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