Francesco Piobbichi
Quando parlo di frontiere oggi non posso che utilizzare il concetto di “frontiera mobile”, ovvero di una forma particolare di azione degli stati nazionali e dei confini continentali che si è determinata dentro il processo della globalizzazione come lo abbiamo conosciuto fino ad ora. Un processo non lineare, all’interno del quale la vicenda complessiva dei rapporti di forza economici, militari e sociali fra gli stati ed aree d’influenza economica determina una realtà molto diversa dalla cartina geografica che abbiamo in mente. Ragionare di frontiere e di immigrazione quindi vuol dire saper leggere il mondo grande e terribile dentro il quale viviamo con uno sguardo lungo. Senza assumere questa prospettiva, il perché di certe scelte, di certe accelerazioni o frenate che si registrano nelle politiche migratorie non è comprensibile. Senza assumere questa prospettiva, non potremmo comprendere perché crescono così velocemente i muri che recintano la miseria. Il recente accordo firmato tra il Governo Italiano e quello libico, come le recenti norme varate sul diritto di asilo, rappresentano, dal mio punto di vista, la sintesi perfetta della fase che stiamo attraversando. Una fase che evidenzia la crisi strutturale del pensiero liberale, un pensiero incapace di misurarsi con la sfida della giustizia sociale che ha aperto la globalizzazione, e che si traduce in una nuova forma di autoritarismo, caratterizzato dalla flessibilizzazione dei diritti e processi neocoloniali. Più aumenterà la crisi e le contraddizioni che questa apre, più questo processo si acutizzerà.
Dopo due guerre mondiali che avevano sconvolto il pianeta, i governi vincitori avevano costruito una carta che affermava diritti universali che, almeno formalmente, valevano per tutti gli esseri umani. Furono le persecuzioni contro gli ebrei a creare le fondamenta per il diritto alla protezione internazionale e l’idea di costruire un mondo di pace. Erano affermazioni di principio di popoli stanchi di guerre e violenze, che ben presto sarebbero finite in molti ordinamenti, delineando l’impianto giuridico e valoriale di molte Costituzioni. L’Unione Europea è forse l’ultima realtà ad aver recepito nel suo ordinamento questi valori. Per decine di anni il riferimento alla Carta Universale dei Diritti dell’uomo è stata la bandiera dell’occidente, e su questi valori – purtroppo – si sono addirittura teorizzati interventi militari “umanitari”
Questo meccanismo è stato messo in crisi quando un altro elemento che potremmo definire epocale si è prodotto all’interno del processo della globalizzazione. Dopo un secolo di guerre e di economie di rapina, dove l’occidente ha prodotto enormi sofferenze per le popolazione di Africa e Medio Oriente, il progresso tecnico ha favorito la mobilità delle persone con costi accessibili a tutti. Così chi fuggiva dalle guerre ha iniziato a rivendicare il diritto alla protezione internazionale bussando ai confini della fortezza occidentale che invece aveva sempre considerato il fattore migratorio gestibile solo ed esclusivamente dentro l’economia della forza lavoro. “Se sei utile puoi venire, se non sei utile torni a casa”, questo era in fin dei conti il meccanismo dei flussi e delle quote. Infatti, quelle che molti considerano leggi sull’immigrazione non sono altro che leggi sul disciplinamento della forza lavoro migrante.
Con la questione del diritto di Asilo questo meccanismo viene inceppato perché centinaia di migliaia di persone hanno potuto esercitare la possibilità di fare richiesta di asilo in tutta Europa. Si è trattato, secondo me, di un elemento significativo nella storia dell’umanità che, per portata politica, è senza precedenti. I più poveri del pianeta hanno avuto la possibilità di esercitare un diritto di fronte ad altri Stati, mentre di fatto le frontiere erano chiuse. Per farlo sono morti a decine di migliaia attraversando il mare. Mi è ben chiaro che protezione internazionale vuol dire tante cose e che, dentro questa affermazione, ci sono molti elementi su cui discutere, e sono anche uno di quelli che non ha problemi a dire “aiutiamoli a casa loro”. Ma a differenza di molti politici che sputano filo spinato e bombardamenti, io quella “casa loro” l’ho vista e di quelli che fanno questi discorsi non ne ho visti nessuno a dare una mano.
Mentre spendiamo miliardi per recintare la miseria, dando a governi autoritari e milizie ancora più poteri e riconoscimento, loro, i poveri, muoiono per una bronchite, bruciano la plastica per scaldarsi, vengono abusati ogni giorno nel corpo e nell’anima. L’occidente poteva rispondere in due modi di fronte a questa situazione: o mettersi profondamente in discussione, riflettere sugli impatti dei processi coloniali e postcoloniali in atto, sugli effetti del debito e delle guerre, sviluppando una politica dell’accoglienza lungimirante, oppure innalzare le frontiere contro i popoli che esso stesso ha sottomesso, recintandoli nella miseria. Gli Usa e L’Unione Europea hanno scelto la seconda ipotesi, iniziando a fare due cose: flessibilizzare il diritto di Asilo, come è avvenuto con l’accordo con la Turchia, e esternalizzare i processi di controllo delle frontiere, facendo fare il lavoro sporco ad altri come è avvenuto con l’accordo Italia Libia.Quest’ultimo viziato anche da una certa fretta tutta italiana di legittimare e sostenere un Governo creato dall’occidente per compensare l’interventismo di altri attori geopolitici che sostengono il suo dirimpettaio di Tobruk che è il generale Haftar. Un accordo che rimette in piedi il patto firmato da Gheddafi con l’Italia, dentro nel quale si muovono molti interessi economici delle imprese che investono sul regime della frontiera. Ogni persona che viene dalla Libia con la quale parlo a Lampedusa mi racconta di cosa sia per loro quel paese, delle violenze subite, del carcere e dei soprusi che si porteranno dentro per tutta la vita. Aver firmato questo accordo vuol dire aver dato mano libera a chi invece di finanziamenti si meriterebbe di finire sotto processo per crimini contro l’umanità. A pochi giorni da questo accordo poi, il Governo italiano è intervenuto per velocizzare le procedure di rimpatrio riducendo la possibilità dei richiedenti asilo di opporsi a eventuali dinieghi. Lo ha fatto legittimato da un’opinione pubblica ormai ampiamente indirizzata a considerare i migranti come un costo, come un peso, come un problema di ordine pubblico.
Lavorando sulla frontiera del mediterraneo, mi sono accorto che uno dei principali elementi che produce il suo meccanismo è la creazione di una forza lavoro schiavizzata nei confronti della quale si esercitano due tipi di sfruttamento: quello da parte degli stati o delle milizie che impongono a queste persone delle tasse di cittadinanza pena la reclusione, e quello dei padroni che sfruttano queste persone sui luoghi di lavoro in maniera spaventosa. I profughi rappresentano oggi il punto più elevato di sfruttamento che l’economia del capitalismo abbia mai prodotto dai tempi dello schiavismo.
Credetemi, c’è di che vergognarsi.
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