Monica Marks
ricercatrice associata al programma WAFAW (When authoritarianism fails in the Arab World) del Consiglio Europeo per la ricerca, titolare di una borsa Rhodes. Tra il 2012 e il 2016 ha condotto 1200 interviste in Tunisia nel quadro delle sue ricerche.
La settimana scorsa è stata molto pericolosa per la fragile democrazia tunisina. Nei prossimi giorni due progetti di legge retrogradi potrebbero essere votati dal Parlamento.
Il primo accorderebbe di fatto un’amnistia ai funzionari dello Stato che hanno commesso crimini nel periodo della Tunisia pre-rivoluzione.
Il secondo conferirebbe alle forze di sicurezza corrotte un più ampio margine di manovra per violare i diritti umani.
Entrambi i progetti minano la ricerca di dignità e di giustizia incarnata dalla rivoluzione tunisina del 2010-2011. A meno che la società civile tunisina e alcuni attori internazionali – fra i più importanti la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale- non riescano a convincere il governo a fare marcia indietro, questi progetti di legge avranno forti probabilità di trasformarsi in leggi nelle settimane, se non nei giorni, a venire.
Il dibattito su questi due testi legislativi dura dal 2015. La scorsa primavera, il presidente Béji Caïd Essebsi, che tiene più a che la Tunisia si concentri sul suo sviluppo futuro piuttosto che sugli abusi del passato, ha proposto il primo progetto di legge chiamato “legge della riconciliazione”, offrendo inizialmente l’amnistia a due gruppi di persone: uomini d’affari e funzionari statali corrotti.
I difensori della legge hanno messo in evidenza i presunti vantaggi economici. A loro dire, togliere la minaccia di procedimenti giudiziari incoraggerebbe l’arrivo di investitori in una economia, come quella tunisina, a corto di liquidi. Hanno anche sostenuto che la legge non accordi l’amnistia ai corrotti, dato che essa prevede che li colpevoli dovranno rimborsare i loro guadagni illeciti.
La legge per la riconciliazione si è scontrata immediatamente con l’opposizione della società civile e degli esperti giuridici internazionali che hanno sostenuto come essa fosse priva di meccanismi d’applicazione indipendenti i quali avrebbe inficiato il lavoro dell’Instance Verité et Dignité (IVD) – entità costituzionalmente legittima che lavora per la giustizia di transizione contro gli abusi da parte dello Stato, fra cui i crimini finanziari.
Il Ministero degli Interni tunisino ha presentato il secondo progetto di legge nell’aprile del 2015, a meno di un mese dal massacro di 23 persone, perpetrato al museo del Bardo a Tunisi. Chiamata “legge per la protezione delle forze di sicurezza”, essa offrirebbe un più ampio margine di manovra alle forze di sicurezza per un ricorso mortale alla forza. Tale testo contiene anche una vaga disposizione che criminalizza “la denigrazione” delle forze di sicurezza.
Anche in questo caso, società civile e gruppi internazionali di difesa dei diritti si sono opposti a questa legge. Essi sostengono che ad essa si possa dare una interpretazione talmente vasta che rischia di essere una trappola per i manifestanti pacifici, i giornalisti così come per altri innocenti considerati però problematici dalle forze di sicurezza tunisine- in gran parte non riformate.
I sindacati delle forze di sicurezza vicini a Nidaa Tounes, il partito politico fondato da Essebsi, hanno insistito nel sostenere la legge, anche dopo il dissiparsi dell’atmosfera draconiana predominante all’indomani dell’attacco terroristico del Bardo e di quello, nel giugno 2015, nel corso del quale 38 persone furono uccise in un albergo a Sousse.
Progetti di legge zombies
Dal 2015 regolarmente si ha l’impressione che questi due pericolosi progetti di legge potrebbero essere sepolti. Per tre volte i tentativi di far passare quello sulla riconciliazione sono falliti. Le organizzazioni tunisine della società civile hanno pubblicato di recente un’altra dichiarazione in cui si denuncia il progetto di legge sulle forze di sicurezza.
Ma poi ecco che questi progetti di legge, come zombies, ricompaiono, minacciando gli sforzi della Tunisia per imporre responsabilità, giustizia e riforme democratiche. Nonostante le critiche provenienti dalla società civile, una opposizione politica organizzata brilla per la sua assenza. Infatti le tre organizzazioni politiche più importanti del paese- Nidaa Tounes (al potere) Ennahda (suo partner nella coalizione) e il potente sindacato dell’UGTT, premiato con il Nobel per la pace, sostengono questi progetti, ma per ragioni molto diverse…
La grande determinazione del presidente Essebsi e di Nidaa Tounes a far votare la legge per la riconciliazione fa parte di un tentativo di restituire il favore a chi li ha sostenuti, per ringraziarli del loro supporto nelle elezioni passate e future. Fra questi personaggi ci sono uomini d’affari con reputazione di corrotti che hanno finanziato la vittoria di Nidaa alle elezioni del 2014 e i funzionari statali di alto e medio livello che formano un gran parte della base del partito.
La singolare ossessione di Essebsi per far votare la legge per la riconciliazione ha posto ai margini del dibattito questioni politiche e giuridiche molto più urgenti: la necessità di votare una legge sulle autorità locali, di attirare gli investimenti, di combattere seriamente la corruzione e di creare dei corpi di sorveglianza indipendenti, previsti dalla Costituzione, fra cui la Corte Costituzionale.
Essebsi, ostinandosi a far passare questa legge, ad oggi l’unica ad essere proposta durante il suo mandato, ha trascurato di frenare gli ardori di suo figlio, Hafedh, i cui sforzi per farsi incoronare principe ereditario a capo di Nidaa Tounes, hanno causato una scissione del partito e impedito ai suoi dirigenti di promuovere una visione aperta verso il futuro.
Debole opposizione
Da parte sua l’UGTT potrebbe facilmente seppellire la legge per la riconciliazione con una minaccia di sciopero generale, tattica utilizzata con successo nel 2013 contro il precedente governo. Durante le trattative con i vari governi a maggioranza Nidaa, peraltro, l’UGTT ha conservato il proprio capitale politico per opporsi alle riduzioni di salario, delle sovvenzioni e del numero degli impiegati nel pubblico impiego. Sulla legge per la riconciliazione non si è quasi espresso, contentandosi di dare un colpo d’occhio dall’alto per esprimere la propria approvazione condizionata.
Ennahda, nel frattempo, ha dato la priorità alla sua alleanza con Nidaa Tounes nel governo – alleanza il cui avvenire, secondo alcuni leaders di Ennahda, dipende dal sostegno del loro partito a questa legge – in spregio alla sua base che in gran parte vi si oppone risolutamente
Il 30 aprile il Consiglio della Choura di Ennahda – che determina la direzione strategica del partito- ha votato contro il sostegno alla legge, finché non sarà emendata in maniera significativa. Questa decisione è apparsa come una reprimenda nei confronti della leadership esecutiva di Ennahda e una reazione alla crescente opposizione dell’opinione pubblica, portata avanti dal movimento Manich Msamah (io non perdono), all’interno del quale si trovano anche ex sostenitori di Ennhda, delusi dalla sua compiacenza verso la tradizionale impunità del regime.
L’azione di lobbying svolta da Ennahda dietro le quinte presso i deputati di Nidaa, insieme alle forti pressioni esercitate da Mannich Msamah, al crescente sostegno popolare ai recenti arresti anti-corruzione partiti dall’ iniziativa del Primo Ministro Youssef Chahed , uniti al rafforzamento della pressione internazionale contro la corruzione in Tunisia hanno permesso una serie di emendamenti al progetto di legge per la riconciliazione.
L’attuale versione della legge omette di far riferimento agli uomini d’affari notoriamente corrotti e offre l’amnistia ai soli funzionari pubblici che hanno servito l’ancien régime.
I cambiamenti alla legge hanno indebolito le ragioni dei suoi difensori. Nidaa afferma che ne trarranno profitto circa 1500 funzionari pubblici – meno dell’1% del totale in Tunisia – che rischiano di trovarsi nel mirino dell’attuale processo tunisino di giustizia di transizione, semplicemente per essere stati “obbligati a eseguire degli ordini”.
Non esistono documenti ufficiali che attestino queste affermazioni.
Secondo Nidaa Tounes, alcuni amministratori hanno talmente paura di subire procedimenti giudiziari da non svolgere il proprio lavoro come dovrebbero. Un rappresentante di Nidaa mi ha confidato che alcuni funzionari dello Stato sono “talmente terrorizzati dall’eventualità di andare sotto processo che si rifiutano di firmare importanti documenti, indispensabili per lanciare progetti di sviluppo e investimento”.
Gli avversari della legge per la riconciliazione rifiutano tali argomentazioni. Invece di coccolare dei funzionari corrotti o inefficaci, affermano, lo Stato dovrebbe licenziare quelli che si rifiutano di svolgere i propri compiti. Lo Stato dovrebbe anche portare in tribunale i peggiori di loro, tramite strumenti giudiziari rinforzati, invece che affidarsi a una “commissione di riconciliazione”, concepita perché possano farla franca.
Incoraggiamento di cattive tendenze
Esperti e leaders della società civile continuano ad allarmarsi anche per il voto alla legge per la protezione delle forze di sicurezza. Sostengono che la difesa della nuova Costituzione democratica tunisina e il miglioramento dell’efficacia delle forze di sicurezza tunisine nella loro lotta al terrorismo richiedano che il settore della sicurezza dia prova di maggiore, non di minore responsabilità. Ciò è vero soprattutto perché l’arruolamento dei terroristi in Tunisia è in parte motivato dal disgusto suscitato nella società dalla corruzione attuale delle pratiche pubbliche.
Essi sottolineano inoltre come questa legge dia nuovo vigore alle peggiori tendenze delle forze di sicurezza tunisine che sono state la pietra angolare dello Stato poliziesco pre-rivoluzione.
Queste forze hanno una lunga storia d’oppressione violenta della libertà d’espressione e hanno fatto regolarmente abortire i tentativi di riformare il loro settore.
Nei decenni prima della rivoluzione il Ministero degli Interni, che sovrintende alle forze di sicurezza, si è trasformato anche in sala di tortura. I prigionieri politici islamisti e di sinistra vi hanno subito abusi mostruosi, nonostante i locali del ministero si trovassero in pieno centro a Tunisi.
All’indomani della rivoluzione il ministero ha per breve tempo schiuso la porta ai gruppi della società civile, per richiudergliele rapidamente in faccia dopo la vittoria di Nidaa nel 2014 – vittoria elettorale che ha rinvigorito i securitari, ostili alla giustizia di transizione e a maggiori controlli da parte della società civile.
Ennahda ha esitato a criticare questo progetto di legge. Avendo perso le elezioni più recenti a favore di Nidaa (in parte a causa di una percezione di lassismo e di incompetenza in materia di sicurezza), oramai cerca di mostrarsi più inflessibile contro la criminalità.
Intanto l’UGTT non ha preso una posizione chiara rispetto a questo progetto di legge.
Numerosi leaders della società civile tunisina e in particolare i giovani attivisti contro la corruzione di I-Watch e quelli del movimento Manich Msamah temono però che il voto a favore di queste due leggi possa neutralizzare, se non addirittura invertire la direzione che l’azione del Primo Ministro Chahed ha preso all’inizio dell’estate contro la corruzione.
Alcuni affermano che, invece di accontentarsi di applaudire il Primo Ministro, gli attori internazionali, in particolare l’FMI e la Banca Mondiale, che sono in grado di influenzare considerevolmente la politica tunisina, dovrebbero fare di più per fare in modo che gli arresti da lui compiuti entrino a far parte di una strategia coerente e istituzionalizzata di lotta alla corruzione.
Se una o entrambe le leggi passassero, tali sforzi verrebbero neutralizzati.
I giovani attivisti pensano che queste leggi non soltanto siano inutili, ma che rivelino in modo flagrante il sostegno dello Stato alla corruzione e all’impunità.
“In buona sostanza il messaggio veicolato dalla legge per la riconciliazione è che la rivoluzione non è avvenuta e che non ci sono state vittime” afferma Oumayma Mehdi, assistente di progetto a Al Bawsala, celebre ONG che segue l’attività parlamentare.
“E’ molto pericoloso. Se non spingiamo le persone a rivoltarsi contro, sarebbe come se abbandonassimo tutti i principi che sono a fondamento della rivoluzione”
L’articolo originale è apparso in inglese il 23 luglio 2017 sul sito Middle East Eye
Una versione in francese è apparsa il 24 luglio 2017 su Middle East Eye édition française
Traduzione e adattamento dal francese a cura di Patrizia Mancini
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