Thierry Brésillon
Una riforma costituzionale annunciata
Lo scorso settembre il presidente della Repubblica Béji Caïd Essebsi ha annunciato un’imminente revisione della Costituzione del 2014 che aveva inciso nella pietra le conquiste del 2011. Secondo il Presidente, la Costituzione bloccherebbe l’azione del Governo. Nello specifico egli denuncia il parlamentarismo costituzionale, istituito per evitare una restaurazione di un qualsiasi potere personale che però egli stesso intende proprio ripristinare.
In pochi giorni una serie di avvenimenti politici hanno scosso l’ultimo scampolo di torpore estivo. Il 6 settembre molti ministri dell’ancien régime sono ritornati a far parte del governo (1). Il 13 settembre il Parlamento ha approvato una legge di iniziativa presidenziale che concede l’amnistia per i funzionari pubblici coinvolti in casi di corruzione tra il 1955 e il 2011 – purché non abbiano tratto personale beneficio dalle loro azioni (il che è molto difficile da provare senza un’investigazione riguardo i benefici indiretti o nascosti ottenuti in cambio dell’aggiramento delle procedure che essi avevano legalizzato). Il 18 settembre le elezioni municipali, generalmente considerate come indispensabili per estendere la democrazia a livello locale, sono state rimandate un’altra volta, probabilmente a marzo 2018.
In un’intervista rilasciata al quotidiano La Presse, all’epoca poco commentata, il Presidente ha annunciato il passo successivo di questa riconfigurazione che riguarda niente meno che la Costituzione adottata nel 2014. Sebbene il Presidente intenda lasciare questa iniziativa di revisione ai parlamentari, questa idea, ricorrente sin dal 2015, è divenuta ora una prospettiva tangibile.
Eppure la Costituzione tenta di d’istituzionalizzare le conquiste della rivoluzione.
Nel febbraio del 2011 i partiti politici avevano canalizzato le rivendicazioni dei giovani in sit-in alla Kasbah verso la redazione di un nuovo testo, con l’intento di lasciare uno strumento che potesse rigenerare l’insieme del modello politico, economico e sociale. Presentata come una delle Costituzioni più liberali del mondo arabo, capolavoro di equilibrio, ciò nonostante essa è ritenuta, da parte del Presidente, responsabile dell’impasse dell’azione governativa.
UN PARLAMENTARISMO CONTRASTATO
Le sue critiche sono principalmente rivolte all’ “intreccio di attribuzioni” ai vertici dell’esecutivo. La Costituzione affida la direzione delle politiche governative al Primo Ministro, nominato dalla maggioranza e responsabile davanti al Parlamento. Questa logica è stata difesa con forza da Ennahda, con l’intenzione di evitare il rischio di una nuova restaurazione di un potere personale come quello che la Tunisia ha vissuto fin dall’indipendenza. Una filosofia non priva di motivazioni nascoste: in quel periodo il partito islamista puntava a convertire una maggioranza conservatrice dal punto di vista sociologico, in maggioranza elettorale. Con una modalità altrettanto calcolata, i suoi oppositori hanno allora ottenuto che il Presidente della Repubblica fosse non solamente eletto a suffragio universale, ma che disponesse anche di un “campo riservato” sancito costituzionalmente : gli affari esteri e il campo della sicurezza e della difesa. I sostenitori di questa soluzione scommettevano sul fatto che, ancora per molto tempo, nessun islamista avrebbe avuto la popolarità necessaria a vincere un’elezione presidenziale.
Questa dualità era stata vista all’epoca come una maniera di “costituzionalizzare il compromesso”. Era prevedibile che essa avrebbe immesso un potenziale di tensione, ma soprattutto che, grazie all’unzione del suffragio universale diretto, il Presidente avrebbe concentrato su di sé una legittimità tale da dargli l’ascendente sugli altri poteri, se avesse deciso di massimizzare i vantaggi della sua posizione. Previsione che la configurazione prodottasi nel 2014 ha confermato: la cultura politica di Béji Caïd Essebsi, caratterizzata dal potere personale e dalla centralità dello Stato, lo ha portato ad ampliare le prerogative che gli attribuisce la Costituzione.
La coalizione di governo tra Nidaa Tounes e Ennahda ha dissolto la forza della maggioranza parlamentare in un equilibrio in cui la presidenza è la chiave di volta di ogni arbitraggio. Il Primo Ministro non è più il leader della maggioranza, ma strumento degli orientamenti presidenziali.
Da parte sua, il Parlamento fatica ad imporsi come origine delle politica governativa e come potere autonomo anche perché non dispone di risorse tecniche e umane per rafforzare la competenza dei deputati. Nessuna legge d’iniziativa parlamentare è stata esaminata: a più riprese il Governo ha ritirato dei progetti che, a suo parere, erano stati troppo emendati in commissione e i voti vengono negoziati a monte, tra le direzioni dei partiti. Il quadro governativo, de facto, è perciò ritornato entro uno schema molto famigliare in Tunisia: l’unione tra un Presidente forte, un governo ai suoi ordini e un Parlamento disciplinato.
Del resto, l’attuazione del testo costituzionale è in ritardo su alcuni aspetti peraltro essenziali. La Corte Costituzionale, per esempio, non è stata, ad oggi, ancora formata, mentre avrebbe dovuto essere operativa a partire dal gennaio 2015. Nessuna strategia d’insieme è stata elaborata per rendere la legislazione conforme alle nuove esigenze costituzionali. Qualche aggiustamento è stato fatto, sotto la pressione di precise mobilizzazioni o, come è il caso della recente legge in materia di uguaglianza uomo-donna, per trarne un vantaggio politico.
Nella sua intervista del 6 settembre dunque, Béji Caïd Essebsi ha fatto diventare questo parlamentarismo contrastato il responsabile dell’inefficacia governamentale. Se l’è presa in maniera virulenta anche con le istituzioni costituzionali indipendenti, riferendosi probabilmente all’ Istanza superiore indipendente per le elezioni, all’ Istanza nazionale di lotta alla corruzione, all’Alta Autorità per il controllo dell’audiovisivo . “Dei servi più forti del padrone” ha ironizzato prima di esprimere il desiderio che esse vengano poste sotto un controllo maggiore da parte del Parlamento, così come le “organizzazioni della società civile” ha aggiunto. Le autorità indipendenti pongono certo dei problemi teorici e pratici, in particolare per quanto concerne il rendiconto della loro gestione finanziaria e, nel caso tunisino in particolare, il loro dipendere da equilibri partitici per la loro composizione. In ogni caso esse costituiscono nuovi strumenti di regolazione, in teoria più imparziali e meno esposti alle strumentalizzazioni rispetto all’amministrazione. Quanto alle allusioni riguardo la società civile, esse echeggiano stranamente i discorsi che miravano a screditare, a causa dei loro finanziamenti dall’estero, le associazioni troppo critiche nei confronti del regime, discorsi che sistematicamente si facevano all’epoca della dittatura e che ore tornano ciclicamente in alcune dichiarazioni.
LA TENTAZIONE DEL CESARISMO
Dal 2015 è tangibile la tendenza alla presidenzializzazione del regime e numerosi voci reclamano una revisione costituzionale in questo senso. Inutile precisare che il regime presidenziale al quale la cerchia vicina al Palazzo Presidenziale aspira ha poco a che vedere con la relativa teoria costituzionale, il cui prototipo è il sistema statunitense che prevede una netta separazione dei poteri e in cui il Congresso dispone di prerogative almeno altrettanto restrittive di quelle dell’esecutivo in un regime parlamentare.
Non è la teoria che è invocata qui, ma una propensione a credere che l’efficacia politica risieda nella concentrazione delle decisioni nelle mani dell’esecutivo. Laddove il parlamentarismo pone la rappresentazione, le delibere e la depersonalizzazione del potere al cuore della costruzione delle leggi e delle politiche pubbliche, la presidenzializzazione si basa sull’idea che il legame diretto tra “popolo” e“l’eletto”, la personalizzazione e la centralizzazione nella regolazione dei contrasti diano i migliori risultati per la realizzazione dei grandi disegni dello stato.
In questo schema istituzionale il Parlamento non ha che un ruolo secondario, al servizio delle iniziative dell’esecutivo. In un clima di anti-parlamentarismo e di discredito politico, “i deputati […] costituiscono d’ora in avanti la frazione dominata dell’oligarchia che governa”, secondo una formulazione pungente di Pierre Rosanvallon(2). Un’evoluzione che, senza una solida opposizione, apre la via ad una sorta di illiberalismo (3) se non addirittura al cesarismo.
“Il PRESIDENZIALISMO DELL’IMPOTENZA”
Perché la Tunisia sembra imboccare di nuovo questa strada? Probabilmente bisogna chiedersi quale visione di funzionamento dello Stato si cerchi di ricostituire. Reintegrare il personale politico e tecnocratico dell’ancien régime; fare passare il messaggio all’amministrazione che obbedire ai dettami politici per gestire l’economia non espone più a rischio di condanne; rivedere la Costituzione per centralizzare nuovamente le decisioni ; diminuire l’autonomia delle nuove forme di contro potere; ritardare in continuazione le elezioni di poteri locali, dotati di maggiore autonomia decisionale: tutto va nella stessa direzione. Si tratta, alla fine, di confessare che di fronte ai cattivi indicatori economici, alle tensioni sociali, alle inerzie amministrative, alle disfunzioni istituzionali la classe dirigente tunisina non ha altre soluzioni che ritornare alla personalizzazione del potere. E’ ammettere che senza la possibilità di oliare un meccanismo mantenuto per preservare l’influenza dello Stato sull’economia e di mettere i funzionari al servizio di favoritismi e di clientelismi, la politica non abbia i mezzi per creare le condizioni di un rilancio.(4)
Non si potrà far credere ancora a lungo che i nuovi tentativi di riordino e rinnovo istituzionale siano responsabili della crisi e delle tensioni sociali . I partiti hanno esaurito la capacità di rappresentare la società e hanno rinunciato a ogni funzione propositiva svuotando di significato il regime parlamentare. Le ragioni strutturali delle fratture sociali e della debole produttività dell’economia non sono risolvibili su ordine del potere. La personalizzazione nella conduzione dello Stato ha poche possibilità di colmare queste lacune. L’esperienza tunisina precedente dimostra, al contrario, come questa personalizzazione mantenga l’opacità nella regolazione dei contrasti, indebolisca la legittimità delle decisioni, accresca la sfiducia verso le istituzioni e alimenti un sentimento di ingiustizia alla base e intrighi ai vertici.
Il principio costituzionale è ritenuto il fondatore nella modernizzazione politica e nella trasformazione sociale della Tunisia contemporanea. Al punto che il movimento nazionale si definì “destourien”, per rivendicare una Costituzione (Destour in arabo) dopo la sospensione, nel 1864 di quella del 1861. Questo movimento non aveva portato ad una reale modifica delle pratiche del Bey e lo sconvolgimento delle norme che aveva introdotto nella società provocò un sollevamento nazionale represso nel sangue. Malgrado i suoi proclami democratici, la Costituzione del 1959 è servita da quadro giuridico alla dittatura. Quella del 2014 avrà già chiuso la sua missione storica che era riuscita a porre fine alle dispute ideologiche del 2012-2013 attraverso abili compromessi e conformandosi alle norme del formalismo democratico?
La forza di una Costituzione dipende dalla volontà politica di farne vivere lo spirito, così come dalla relazione fra il potere e le dinamiche economiche e sociali. Ora queste dinamiche continuano a intrattenere con lo Stato dei legami che si pongono fuori dal controllo del legalismo e la debolezza programmatica dei partiti priva l’azione governamentale della capacità di trasformarle. In queste condizioni, forse il presidenzialismo permetterà di contenere le tensioni, ma non potrà agire sulle cause strutturali delle ineguaglianze sociali e dei malfunzionamenti statali. Questo “presidenzialismo dell’impotenza” (5) prepara senza dubbio alla disillusione. E forse annuncia nuovi passi indietro.
Note:
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Hatem Ben Salem et Ridha Chalghoum sono tornati alle funzioni che avevano alla vigilia della rivoluzione nel 2011, rispettivamente al Ministero dell’Educazione e a quello delle Finanze; l’ex segretario aggiunto del Rassemblement Costitutionel Démocratique RCD), il nuovo ministro della Difesa Abdelkrim Zbidi, ha occupato più volte posti di governo all’epoca di Bel Alì; Adel Jarboui, ora sottosegretario per i tunisini all’estero, ha ricoperto diverse funzioni all’interno dell’RCD fra gli anni ’90 e 2000; il nuovo ministro dei trasporti, Radhouane Ayara, è stato segretario generale dell’RCD in Germania.
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Pierre Rosanvallon, Le bon gouvernement, Seuil, 2017.
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NDLR. Secondo Selon Pierre Rosanvallon, l’illiberalismo è” una cultura politica che squalifica nei suoi principi la visione liberale” , in « Fondements et problèmes de l’”illibéralisme” français », Académie des sciences morales et politiques,2001.
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Per la definizione di questo meccanismo d’esclusione leggere: « La transition bloquée : corruption et régionalisme en Tunisie », International Crisis group, mai 2017.
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Éric Gobe, « La Tunisie en 2015 : La présidentialisation de l’impuissance politique ? », Année du Maghreb, 15|2016.
L’articolo originale è apparso il 10 ottobre 2017 sul sito Orient XXI
Traduzione dal francese a cura di Giulia Bonacina
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