Lilia Blaise
Yosra, di cui per riservatezza non diremo il vero nome, casalinga di 30 anni, esce da un anno con il suo nuovo compagno. Da tre anni suo marito l’ha lasciata senza dare notizie. “Era mio diritto, dopotutto è andato via da un giorno all’altro e mi ha lasciato con nostra figlia, ancora una bimba, dopo due anni di matrimonio, di violenze verbali e abuso di droghe pesanti”, tale è la sua testimonianza. Ma Yosra abita in un quartiere popolare, a Djebel Lahmar, et il suo compagno proviene da un quartiere limitrofo, Ibn Khaldoun, altrettanto popolare. Qui si viene a sapere tutto e allorché Yosra decide di avviare una procedura di divorzio per potersi risposare, si scatena una tragedia. Racconta: « Una sera sono uscita nel quartiere del mio amico e alcune persone del vicinato ci hanno obbligato con il coltello a salire sulla loro macchina. Inizialmente avevo creduto si trattasse di una rapina, invece ci hanno portati in un bosco e mi hanno violentata in gruppo, mentre uno di loro teneva fermo il mio compagno”. Il fatto è accaduto a gennaio, appena dopo che Yosra aveva chiesto il divorzio. La donna sospetta che suo marito abbia pagato i suoi aggressori per vendicarsi.
« Anche perché, subito dopo che ho fatto la denuncia al commissariato, è riapparso come per magia per chiedere l’affido esclusivo di nostra figlia.” aggiunge. Oggi Yosra si è pentita di aver denunciato lo stupro, nonostante abbia il sostegno di associazioni storiche di difesa dei diritti delle donne come l’ATFD (Association tunisienne des femmes démocrates). “Ciò mi ha creato moltissimi problemi e non credo che i miei aggressori andranno in giudizio, viste le domande che i poliziotti mi hanno fatto quando ho depositato la mia testimonianza.” Non è stata Yosra che ha fatto la denuncia per prima, ma il suo compagno. Quando è andata a testimoniare, i poliziotti le hanno chiesto se avesse provato piacere nell’avere rapporti sessuali con i suoi aggressori. “Hanno subito trattato la questione come se si trattasse di prostituzione, invece di vedere che vi era stato uno stupro”, racconta Amira Nefzi, incaricata del centro di ascolto all’ATFD. “Però alla fine hanno comunque accettato la deposizione e la denuncia, e l’ho portata dal medico legale perché venisse esaminata , ciò dimostra che un certo progresso c’è stato”
L’intera prospettiva della nuova legge contro le violenze alle donne ruota attorno al coinvolgimento di commissariati, giudici e medici nella presa in carico della problematica. Finora in Tunisia alcune donne, vittime della violenza coniugale, si ritrovano a confrontarsi con il conservatorismo della società e delle istituzioni nel momento in cui sporgono denuncia, come confermato dall’ultimo studio dell’ ATFD che ritorna su vent’anni di violenze archiviati dal loro centro di ascolto. Se la diagnostica è stata stabilita dalla legge votata, tuttavia occorre che le riforme vengano introiettate dalle mentalità, ancora prima di dedicarsi all’aspetto penale.
Una legge votata dopo tre anni di lavori.
Giudici che dicono loro di tornare dal marito, poliziotti a volte poco formati e poco attenti al malessere di una donna traumatizzata o ancora, medici che si rifiutano di prendersi le proprie responsabilità nel momento in cui esaminano una vittima di stupro o controllano delle tracce di bruciature rifiutandosi di classificarle come violenze coniugali. E’ questo sistema che dovrà cambiare per mezzo dei dispositivi imposti dalla nuova legge che sanzionano quei poliziotti che si rifiutano di accettare le denunce delle vittime e che prevedono percorsi di formazione per tutti quelli che appartengano a organi che hanno a che fare con le vittime. Ma quale ne sarà l’impatto? Ad oggi quasi la metà delle donne tunisine ammettono di essere state vittime di violenza, secondo studi condotti dal Credif (Centre de recherches, d’études de documentation et d’information sur la femme) e il 60 % sono vittime di violenze coniugali. La legge, votata con 146 voti a favore, riconosce diversi tipi di violenze, sia psicologiche che fisiche. «Il progetto di legge nella forma attuale, come è stato votato, è il risultato di una lunga battaglia, c’è stata reticenza persino in seno al Ministero della Donna, ma abbiamo effettivamente aperto un varco.” testimonia Sondes Garbouj, psicologa incaricata della formazione di alcuni quadri securitari sulla questione. Per il Consiglio Europeo, che ha seguito il percorso di riflessione dal 2013, l’idea era di concepire una legge che corrispondesse ai criteri internazionali. «Il testo base era la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e contro la violenza domestica. Ci sono stati molti dibattiti in Tunisia su come fare in modo che le donne si appropriassero dei loro diritti, alcuni argomenti sono stati tolti dalla bozza finale, come l’eguaglianza nell’eredità o l’abolizione della pena di morte. Alla fine l’idea predominante è che la Tunisia resta un paese leader in materia di diritti femminili nella regione” afferma William Massolin, direttore dell’ufficio tunisino del Consiglio d’Europa.
Un tipo di mentalità che persiste fra i poliziotti, nonostante la formazione.
Quattro ministeri sono coinvolti nelle formazioni: quello della Salute, Interni, Educazione e quello della Giustizia. Sondes Garbouj si è recata nei commissariati e nelle scuole di polizia per cominciare a sensibilizzare sulla nuova legge. E sul campo il lavoro spesso è difficile, a causa dei pregiudizi.
« Il problema è che si comincia in ambienti in cui la visione della donna è già molto misogina. Perciò bisogna fare formazione su due assi, quello psicosociale della legge, tornando sulla questione della violenza di genere e poi quello penale.” Sondes Garbouj e colleghi hanno dovuto procedere a una decostruzione di miti e pregiudizi che spesso sono radicati negli ambienti securitari e comportano una banalizzazione della violenza. « Vi è un accordo implicito fra la polizia e il pubblico ministero sul fatto che sporgere denuncia non sia il rimedio giusto. Spesso si dice alla donna di portare pazienza, di non distruggere la struttura famigliare, ecc. “ci dice Sondes Garbouj.
2 500 chiamate al numero verde nel 2017
In Tunisia la polizia rimane il primo contatto per una donna che è vittima di violenza nel momento in cui sceglie di parlarne, salvo nel caso in cui si rivolga a delle associazioni. Cosa difficile per persone come Yosra, che non conosceva l’ATFD. « Dopo la mia deposizione ai poliziotti, ho digitato “Donne violentate” su Google e non ho trovato delle associazioni, è stata un’amica su Facebook che mi ha indirizzato a un numero verde dal quale, a sua volta, mi hanno indirizzato verso questa associazione” dice. Anche il Ministero della Donna ha creato una linea verde nazionale (gratuita) che ha ricevuto nel 2017 quasi 2500 chiamate.”Il numero di chiamate è raddoppiato, specialmente dopo la campagna di sensibilizzazione portata avanti da diverse associazioni in collaborazione con le Nazioni Unite e che è durata 16 giorni durante il mese di novembre” come riferisce Imen Zahouani Houimel, direttrice generale presso il Ministero della Donna e della Famiglia che però ci conferma come “la dominazione maschile” persista nella mentalità tunisina. Ad oggi soltanto il 2% delle donne vittime sporge denuncia per violenza in Tunisia. Al Ministero degli Interni la volontà di cambiare il dato è percepibile. Najet Jaouadi, che si occupa della formazione delle unità specializzate sulla violenza contro le donne, parla della necessità di cambiare innanzitutto la percezione che si ha delle donne «Occorre che i nostri agenti imparino a far differenza fra la donna come essere umano e la donna come moglie, perché spesso è il peso famigliare che falsa il giudizio, non si concepisce la donna come portatrice di diritti, ma soltanto come essere che ha dei doveri coniugali”. Ci informa che nel 2017 settemila processi verbali riguardanti violenze nei confronti delle donne sono stati registrati in Tunisia presso i commissariati Il 90% riguardava violenze coniugali. Unità specializzate formate da squadre miste sono state istituite presso i settanta distretti territoriali della polizia e nei cinquantasei della Guardia Nazionale. . «Anche il fatto che nella nuova legge sia stato abrogato l’articolo 18 che permetteva alla donna di ritirare la denuncia è un grande passo avanti perché ora l’agente di polizia è obbligato ad accettare la denuncia e non può utilizzare la sua autorità per dissuadere la persona dal farlo , altrimenti rischierebbe una sanzione “ aggiunge.
Il peso della società e della famiglia
Un altro problema, le idee patriarcali che persistono all’interno della società e riflettono sovente un’immagine deformata delle donne vittime di violenza. Dopo la rivoluzione i media tunisini parlano più apertamente del soggetto e se ne occupano anche in alcune trasmissioni a cui invitano delle vittime. Ma molti di loro lo fanno in un modo pregiudizievole alle donne e ripropongono immagini sessiste. Per esempio, un presentatore che fa una battuta dicendo “Una donna è come un francobollo, più ci sputi sopra, meglio si attacca”, oppure un altro che obbliga un’attrice venuta a a parlare del suo ultimo film, a tornare su una storia di aggressione sessuale di cui è stata vittima in passato, con domande del tipo: “Sembra che lei ballasse sui tavoli?”.”Se grazie ai media i tunisini hanno più consapevolezza delle violenze fatte alle donne, soprattutto quelle sessuali, troviamo grandi lacune nei messaggi che vengono veicolati, in particolare nelle soap opera del Ramadan in cui si continua a presentare delle immagini stereotipate” lamenta Amira Nefzi dell’ATFD.
Khaoula Matri, sociologa, ha partecipato allo studio dell’ATFD sul bilancio di vent’anni di archivio dei centri d’ascolto, durante la dittatura e nel periodo post-rivoluzione. La sua conclusione non lascia adito a dubbi. Le donne vittime di violenza non hanno fiducia nelle istituzioni che dovrebbero proteggerle e molte banalizzano ancora la violenza di cui sono vittime a causa del giudizio della società. Dallo studio si evince che la violenza psicologica è la più significativa , citata dal 78 % delle donne. Poi il 63 % parla di violenze fisiche e il 58,5 % di violenze economiche .Il 71% degli aggressori è un partner intimo. « Ci rendiamo anche conto che nel mese di gennaio, da dopo la rivoluzione, aumentano le richieste di aiuto, perché la violenza coniugale va di pari passo con la situazione economica della coppia e storicamente il mese di gennaio è un mese nero per i tunisini” testimonia una delle autrici dello studio. Sul piano delle violenze coniugali lo stupro da parte del coniuge, che è stato definito come legalmente punibile dalla nuova legge, è una delle violenze più diffuse « Il rapporto sessuale forzato o l’atto di sodomia imposto sono molto frequenti e hanno un impatto psicologico perché rafforzano la nozione di dominio da parte del marito” come attesta Khaoula Matri. Lo studio svela anche il peso che ha la famiglia nel dissuadere la donna a sporgere denuncia. “Ci troviamo in una società che valorizza all’eccesso il posto della famiglia e dell’uomo come pilastri. Ciò banalizza la violenza. Per esempio se non ci sono tracce o lividi, la famiglia tende a pensare che non sia niente.”. Ciò può essere riscontrato nelle frasi abituali del dialetto tunisino, spesso ripetute alla donna nell’ambito famigliare . “La felicità della famiglia dipende da lei”, “Mai affrontare un uomo quando è nervoso”, oppure” Cosa gli hai fatto per farlo reagire così?”, citate nello studio. Per il Ministero delle Donna la legge nella sua versione attuale e nella sua attuazione è solo l’inizio di una strategia nazionale per far diminuire la violenza contro le donne e educare in modo diverso i giovani. « Abbiamo anche iniziato dal 2016 a sostenere una educazione all’approccio di genere sin dall’infanzia, affinché i bambini capiscano le violenze basate sul genere. La legge comporterà anche altre riforme come quella del codice del lavoro per lottare contro la discriminazione economica” ricorda Imen Zahouani Houimel. Sei strutture per l’accoglienza e l’alloggio sono state istituite nel quadro della legge che si vanno ad aggiungere a strutture già esistenti come Beity che offre, da due anni, un rifugio nella Medina a donne vittime di violenze. L’istituto Arabo dei Diritti Umani ha inoltre avviato da due anni degli ateliers di sensibilizzazione ai diritti individuali e sessuali nelle scuole, con corsi di educazione sessuale insieme a iniziazione all’approccio di genere. Ma il cammino è ancora lungo perché tutte le istituzioni si armonizzino con la nuova legge. Afferma Khaoula Matri: « La rivoluzione ha fatto scoprire a tutti e tutte la realtà della donna tunisina, spesso eretta a modello di eccezione nel mondo arabo, ma che subisce anche violenza. Sussiste oggi un vero sfasamento fra la macchina giuridica e lo spazio pubblico, nel quale le donne evolvono, per questo la legge deve innanzitutto porre fine all’impunità”.
L’articolo originale è apparso su Mediapart.fr il 12 febbraio 2018
Traduzione e adattamento dal francese a cura di Patrizia Mancini
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