Monica Scafati
Terminato il mese di gennaio con i suoi significativi tentativi di rivolta, è tornato il silenzio sulla questione tunisina, mentre già il 4 febbraio il governo tornava a stringere nuovi accordi bilaterali con l’Italia e le democrazie europee relativamente ai flussi migratori e al terrorismo.
Febbraio e marzo sono stati nel frattempo due mesi di fermento per la discussione in atto di alcune importanti leggi di interesse sociale, per il costante lavorio di incontri con delegazioni internazionali, per le numerose manifestazioni di protesta, ma anche se non soprattutto per le fughe clandestine che sono state numerosissime, di cittadini che evidentemente non credono alla retorica della transizione democratica, e non riscontrano alcuna possibilità di incidere positivamente nella determinazione del proprio futuro, se non andando altrove.
Stando ai dati ufficiali, che sono ovviamente da considerarsi relativi alle sole presenze rintracciate e in una certa misura ancora tracciabili, vale a dire ad una percentuale che non rappresenta affatto la totalità ma piuttosto una sua grande approssimazione per difetto, ciò che risulta e che è di seguito riportato racconta molta più verità di quella a cui si sente dar voce.
Al 15 febbraio, dice il rapporto pubblicato la settimana successiva dalla Commissione Parlamentare della Camera dei Deputati, il numero di cittadini tunisini sbarcati clandestinamente in Italia dal 1′ gennaio 2018 è già a quota 763 stando alla nazionalità dichiarata al fotosegnalamento: 660 uomini, 16 donne, e 87 minori di cui 75 non accompagnati.
Al 23 febbraio il numero era già salito a 1.054, costituendo a questo punto il 16% del totale degli sbarchi. Ovviamente poi, andrebbero aggiunti a questi numeri tutti coloro che hanno invece ritenuto, come non è insolito, di avere maggiori possibilità di evitare il rimpatrio mettendo in atto il tentativo di dichiarare una nazionalità diversa, una plausibile tra quelle non soggette a respingimento immediato e spesso collettivo seppur illegale, in base al principio del paese di provenienza.
E ancora andrebbero aggiunti quelli arrivati senza esser stati individuati, presupponendo a ragion veduta che anche questo accade.
Nello stesso periodo temporale dello scorso anno, dal 1’ gennaio al 15 febbraio 2017, i cittadini tunisini sbarcati erano stati 23: 20 uomini e 3 minori non accompagnati. Solo a seguito del picco estivo di quelli che poi le cronache hanno reso noti come gli “sbarchi fantasma di Agrigento”, susseguitisi numerosi fino alla tragedia dell’8 ottobre in cui è avvenuto lo speronamento di una imbarcazione da parte della Marina militare tunisina1, il numero totale dei tunisini che hanno raggiunto clandestinamente le coste italiane nel 2017 ha subito una forte crescita ed è stato infine di 5.916.
Secondo dati ufficiali, al 15 ottobre in cui il totale degli sbarchi di cittadini tunisini si attestava a 4.728, si contavano 4.177 uomini, 107 donne e 444 minori di cui 430 non accompagnati. Erano loro le “piccole difficoltà estive” che i premier italiano e tunisino, in un incontro in novembre, dichiaravano aver avuto in estate. Erano 5.000 persone! E nonostante lo speronamento sopracitato abbia dimostrato al popolo tunisino che il loro stesso governo è disposto ad ammazzarli pur di fermarli, ne sono arrivati fino al 31 dicembre altri 1.000, così da essere loro, i cittadini, a dimostrare a quel governo e a tutti gli altri, di essere pronti ad affrontare la morte piuttosto che la vita confinati in Tunisia.
Era tra questi il ragazzo morto suicida il 5 gennaio 2018 a Lampedusa, e sempre tra questi sono i cittadini tunisini protagonisti delle proteste dell’intero mese sull’isola.
Nel 2016, i tunisini rilevati agli sbarchi tra il 1’gennaio e il 15 ottobre erano stati a confronto appena 812: 769 uomini, 12 donne e 31 minori di cui 29 non accompagnati.
Dunque nel 2017 il volume delle partenze è più che sestuplicato rispetto all’anno precedente, e nel 2018 ad un analogo trend in termini di quantità si associa anche una trasformazione della “qualità” del migrante tunisino che, stando ai dati della Commissione del Senato, non si configura più come esclusivamente “economico”. Se infatti la narrazione politica e dei media ha sempre insistito, laddove non ha taciuto, sul racconto di una Tunisia più che positiva, con la più avanzata Costituzione del mondo arabo nonché unica democrazia figlia delle “Primavere” a non aver ceduto alla restaurazione, ancor più di questo è valso all’attribuzione di tale “diffamante” etichetta il fatto che gli stessi tunisini inveravano e confermavano il loro essere migranti economici nell’atto del non richiedere protezione e asilo.
Le domande pervenute sono state fino al 2017 casi isolati e attinenti a ragioni molto specifiche come ad esempio l’orientamento sessuale, su cui vige in Tunisia una discriminazione e lesione dei diritti così esplicita che la sponda nord non è ancora riuscita ad insabbiare o negare.
Dal 1’gennaio al 16 febbraio 2018 invece, sono state presentate da parte dei cittadini tunisini 172 richieste d’asilo, il 2% del totale, così che la Tunisia viene a collocarsi al 13′ posto tra i paesi di provenienza dei richiedenti, presente in elenco. Dal termine dell’emergenza nord-Africa fino al 2017 la Tunisia è stata un paese assente dalle elaborazioni dei dati relativi al sistema d’asilo, e qualche sporadica domanda confluiva nel calderone a bassissima percentuale delle nazionalità genericamente indicate sotto la voce “altri paesi”.
Contemporaneamente, sempre tra 1’gennaio e 16 febbraio 2018, le commissioni territoriali hanno esaminato 95 domande presentate dai cittadini tunisini e dichiarato l’esito di inammissibilità per 83 richieste, mentre hanno accordato 6 protezioni umanitarie e 1 status di rifugiato. Le 5 domande rimanenti sono state presentate da richiedenti che al momento dell’audizione sono risultati irreperibili, persone che con elevata probabilità andranno ad ingrossare le fila dei “numeri” che danno conto degli scomparsi.
Il 17 febbraio, a dispetto dei dinieghi, altre 48 persone rischiavano la vita a largo di Sfax imbarcando acqua sulla “carretta del mare” con cui volevano fuggire verso l’Italia.2
Dal 1’gennaio al 20 febbraio 2018, 47 tunisini sono stati rintracciati mentre dall’Italia fuggivano verso la Svizzera, 15 verso l’Austria, e 19 sono stati riammessi in Italia dalla Francia che ne ha respinto in entrata altri 223. L’Italia ha nel frattempo eseguito 367 rimpatri verso la Tunisia, a fronte di 680 tunisini rintracciati come soggiornanti illegalmente sul territorio nazionale.
Nel 2017, al 18 ottobre, i tunisini irregolari respinti al confine francese erano 777, facenti parte dei 4.552 tunisini irregolari per i quali sono stati eseguiti nel corso dell’anno 1.660 rimpatri. Gli altri 2.892 cittadini tunisini che non sono stati rimpatriati, sono stati in maniera più semplice ed economica illegalizzati e lasciati al loro pirandelliano destino. Venivano intanto riammessi tra il 18 ottobre e il 31 dicembre altri 34 tunisini dalla Francia -che in tutto ne avrà riconsegnati all’Italia 57 nel 2017-, e 4 dal confine austriaco.
Al 31 dicembre 2017 risultavano censiti 251 minori tunisini di cui 169, secondo i dati pubblicati dalla Camera il 23 febbraio scorso, risultano attualmente irreperibili!
In Italia, in realtà, sono ormai più di 50.000 le persone scomparse, di cui 14.238 in Sicilia.
Di queste, 12.000 sono minori stranieri non accompagnati provenienti per la maggior parte dal Corno d’Africa. Nel 2012 furono 146, nel 2014 1.113, 4.279 nel 2016 e 3.065 nel 2017. Alcuni probabilmente sono tra i 1.691 cadaveri stranieri non identificati sepolti sull’isola.3
Tornando allo specifico dei dati sulla Tunisia – che pure ha un suo cospicuo numero di scomparsi cercati invano, da anni, dalle famiglie e da quella parte di società civile che ha fatto propria la loro rivendicazione di giustizia- è evidente che nell’ultimo anno e mezzo il paese ha vissuto una rapida e intensa ripresa dell’emigrazione, e che indubbiamente il dato oggettivo è da collegarsi allo sviluppo delle dinamiche interne del paese, nonostante si insista nel propagandare storie a lieto fine sulla Tunisia post-rivoluzionaria.4
Il 1′ aprile a Lampedusa arrivavano 72 persone dalla Tunisia, in un primo momento trattenute nell’hot spot di cui era stata annunciata la temporanea chiusura dopo le numerose proteste dei migranti che vi erano illegittimamente trattenuti in condizioni di privazione della libertà e della dignità.
Ancora ad aprile, il giorno 7, sempre a Lampedusa arrivavano altri 92 tunisini.
Contemporaneamente, la notte tra il 6 e il 7 nell’isola di Kerkennah a largo di Sfax, venivano arrestate 76 persone per tentativo di immigrazione clandestina.
Il 10 aprile, le cronache italiane riportano la notizia del fermo di 13 persone di nazionalità tunisina e marocchina residenti tra Trapani e Palermo, con l’accusa di essere a capo dell’organizzazione di viaggi da Nebel a Marsala su gommoni veloci. La cronaca parla con enfasi di potenti motori ed esperti scafisti che solcando 2 volte a settimana il Mediterraneo con un prezzo variabile dai 3.000 ai 5.000 € a viaggio, avevano istituito un sistema illecito transnazionale di contrabbando di migranti, sigarette e jihadisti. La cronaca italiana forse non sa che 5.000€ equivalgono a 15 milioni di dinari, e che questa è una cifra con cui si riesce quasi a comprare casa, nonché quasi certamente ad ottenere un visto per venirci come turista in Italia, legalmente e in aereo.
Il 20 aprile, altre 5 persone venivano soccorse e poi denunciate per tentata immigrazione clandestina mentre tentando di raggiungere l’Italia hanno rischiato di affogare a largo dell’isola di Zembra.5
Dunque, al di là della retorica sulla galoppante transizione democratica, di tanto in tanto intervallata da piccoli scoop infarciti di supposizione e inesattezza, la Tunisia è afflitta da un malessere sociale di proporzioni non indifferenti anche se a questo si concede poca attenzione. La Tunisia cerca di sopravvivere al gioco incrociato di rincari, manovre impopolari, disoccupazione, marginalizzazione, blocco della mobilità sociale e dei percorsi accusatori verso i complici del regime6, come ulteriormente dimostrato il 27 marzo scorso con il rifiuto del Parlamento di prolungare il mandato di Istanza Verità e Dignità (IDV) fino al 31 dicembre7.
La crisi economica è drammatica, la disoccupazione giovanile ha raggiunto il 37% e contrariamente all’Italia, la Tunisia è un paese in cui l’80% della popolazione appartiene a fasce d’età basse, dove l’età media degli abitanti è di circa trent’anni.
Dal 2014 ad oggi il Pil ha registrato una perdita di 12 punti percentuali, e il suo rapporto con il debito si attesta al 61%. L’inflazione è al 6% e la moneta nazionale ha subito una svalutazione tale che un euro ha raggiunto il valore di ben 3 dinari. Ad ulteriore riprova di questo, si consideri che l’agenzia di rating Moody’s Investor Service ha declassato la Tunisia ai livelli di Nigeria e Cameroon, anche se il 23 aprile a Tabarka si sono celebrati gli Italian Business Oscars, assegnati dalla Camera Tuniso-Italiana di Commercio e Industria a chi si è distinto per aver lavorato in favore del consolidamento dei rapporti bilaterali economici e commerciali8.
Mentre la Tunisia vive una crisi economica e sociale simile per dinamiche e intensità a quella del momento pre-rivoluzionario, l’Italia è entusiasta di aver installato sul territorio di questo paese ben 853 imprese, e di aver impiegato così facendo circa 63.000 tunisini. È il partenariato economico a sostegno della transizione democratica, uno sforzo quasi filantropico vorrebbero far sembrare, non certamente un’operazione di delocalizzazione della produzione funzionale al contenimento dei costi del lavoro! E neanche una modalità di appropriazione e gestione di preziose materie prime. È la formula di quell’aiutarli a casa loro di cui sempre è infarcita la propaganda contraria alla mobilità delle persone e favorevole alla speculazione economica. Infatti, un altro dei vantaggi auspicati della delocalizzazione, è quello di aumentare i tassi di occupazione e fornire una valida e concreta alternativa alla migrazione.
Di fatto, per quanto la Tunisia possa godere di una narrazione felice da parte della Comunità Europea che la esalta ad esempio e la elegge a partner, e per quanto resti fondamentale per la sponda nord la tenuta del paese in un nord-Africa destabilizzato dalle restaurazione post-primavere e dagli effetti ancora dirompenti prodotti dall’assassinio di Gheddafi, continua a far capolino tra proclami e protocolli l’obiettivo ultimo di scoraggiare una effettiva reciprocità orizzontale in termini di dignità della persona, ponendo continue e rinnovate differenziazioni a valere sulla possibilità di accesso al riconoscimento dei diritti a seconda che queste persone siano cittadini e cittadine comunitari/e o tunisini/e.
La gestione dei flussi è infatti sempre presente tra le clausole del buon partenariato, come ben dimostrano le numerose esercitazioni congiunte della Marina Militare Tunisina con unità non soltanto italiane ma anche francesi, come quelle tenutesi tra il 2 e il 6 aprile per il controllo marittimo delle attività illecite.
Sempre il 23 aprile, nel Governatorato di Kasserine intanto, sul Monte Snak, venivano individuati altri 2 nascondigli utilizzati da gruppi terroristi. Tra il 2016 e il 2017 sono state stimate circa 3.000 partenze di cittadini tunisini che sono andati a combattere con gruppi jihadisti, anche se poi è pur vero che molti di questi hanno solo intenzione di sfruttare una buona occasione di attraversamento del confine.
Anche all’epilogo jihadista infatti, ad una più attenta riflessione, non si perviene a partire dal fondamentalismo religioso, ma è una delle forme in cui si manifesta lo sfociare del malessere sociale in rabbia e violenza, che è anche spesso autoinflitta prima ancora che rivolta ai danni di terzi.
Pensiamo agli atti di autolesionismo che i tunisini hanno più volte utilizzato come modalità di protesta: le bocche cucite, le lamette ingoiate, le braccia tagliate; pensiamo alla Rivoluzione stessa ,detta dei Gelsomini, che ha preso le mosse dal gesto autolesionista di Mohamed Bouazizi che il 17 dicembre 2010 si dà fuoco nella cittadina di Sidi Bouzid.
Pensiamo che nel lungo gennaio di proteste contro la legge finanziaria, secondo il rapporto FTDES, si sono registrati 72 tra casi e tentativi di suicidio9 nell’ambito delle 1.490 manifestazioni di protesta. Manifestazioni che invece, nel gennaio 2017 richiamato in molte cronache quasi a dimostrare la folkloristica ed innocua sistematicità dei disordini in quel mese in cui, evidentemente, la Tunisia quasi si diverte nella messa in scena di una rievocazione, erano state decisamente inferiori nel numero: 971.
Tra le morti per suicidio, effettivamente forse innocue se chiamate a scalfire l’inumanità dei governi, una è quella di un uomo di Menzel Bourghiba (Bizert) che il 23 gennaio si è impiccato dopo esser stato forzatamente ricondotto in Tunisia con un rimpatrio. Il 24 gennaio un altro giovane si è dato fuoco a Gafsa nell’ambito di una protesta, e il 25 gennaio a Lampedusa i tunisini trattenuti all’hot spot tornavano a cucirsi le bocche e fare lo sciopero della fame e della sete per opporsi ai rimpatri.
Rimpatri spesso eseguiti tramite procedure non esattamente a norma di legge, dopo aver impedito la compilazione del modulo C3 per la richiesta di protezione, con respingimenti differiti notificati appena prima dell’imbarco e non convalidati da un giudice, con un autoritarismo decisionista completamente sordo alle volontà individuali e ai diritti universali. Il 9 febbraio infatti, l’ASGI ha inviato in Tunisia un gruppo di avvocati per raccogliere le testimonianze dei cittadini rimpatriati e preparare un ricorso alla CEDU.
Ma non importa, il 2017 è stato l’anno della ripresa del turismo con un più 26,8% rispetto all’anno precedente. Questo 2018 sarà invece l’anno delle tanto attese elezioni municipali del 6 maggio più volte rimandate, un’occasione vera per la realizzazione del principio costituzionale del decentramento di cui vedremo poi se saranno state solo la prova annuale da elargire a dimostrazione del perfetto stato di salute della preziosa Repubblica democratica tunisina, o se davvero si tradurranno in una nuova stagione della transizione, una nuova speranza di riappropriazione politica e sociale dei luoghi del potere da parte del popolo.
1 http://www.meltingpot.org/In-alto-mare-testimonianze-da-un-naufragio-Tunisia-7-8.html#.Wt7rGfnOO9c
2 http://www.globalist.it/world/articolo/2018/02/17/tragedia-sventata-in-tunisia-migranti-soccorsi-mentre-la-barca-stava-affondando-2019628.html
3 http://www.rainews.it/dl/rainews/TGR/media/sic-persone-scomparse-minori-migranti-96fccba2-636e-42ff-9787-a485639d6256.html
4 http://www.tunisiainred.org/tir/?p=7584
5 http://www.ansamed.info/ansamed/it/notizie/stati/tunisia/2018/04/20/migranti-marina-tunisia-salva-5-persone-a-largo-zembra_6deb668a-bb31-47fe-8268-0a4c410e17df.html
6 https://www.a-dif.org/2018/01/21/restaurazione-il-governo-tunisino-abortisce-il-processo-democratico/
7 http://www.tunisiainred.org/tir/?p=7569
8 http://www.assocamerestero.it/default.asp?idtema=1&idtemacat=1&page=news&action=read&idnews=705
9 https://www.huffingtonpost.it/2018/04/22/la-tunisia-fragile-frontiera-della-democrazia_a_23417363/
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