La società dell’ossimoro: se il regresso della coscienza collettiva ha un retrogusto d’avanguardia

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Monica Scafati

L’Italia, Salvini, i migranti. La politica torna a concedersi al popolo, lo coinvolge, lo galvanizza. Partecipazione e patriottismo rilanciati ormai con l’esponenzialità di un web che premia pensieri brevi e dissociati, che mutua dal marketing lo slogan, e che invece di dilatare e approfondire riflessioni non più soggette al vincolo dei costi di stampa, le contrae nel perimetro ancor più circoscritto di una sintassi ispirata alla poesia haiku. Taglia, copia, incolla e twitta. Dieci parole di solito possono bastare, per quaranta già serve almeno una foto, se superi le cinquecento sei skippato. Sintesi, brevità, dirompenza. Analogie col futurismo ed altri aspetti degli anni che gli furono propri. Spezzare il vincolo della continuità, della tradizione, ma in maniera selettiva e non di netto. I legami con quella umanista e illuminista senz’altro, quelli col rito ancestrale della caccia no di certo. Porta in tavola carni che rendono i maschi più virili e le femmine più sexy, Salvini dixit.

L’unica storia che interessa è quella odierna, ieri è già passato remoto, e in molti non lo saprebbero già più coniugare. La concatenazione degli eventi è interrotta: spezzare le catene. La logica consequenzialità non necessariamente meritevole d’attenzione. Le cause degli effetti una struttura di significati non più “infra” ma “sovra”, quasi una speculazione teorica la cui disquisizione é tacciata di inutilità e la cui restituzione scritta è scoraggiata dal rifiuto della prolissità. Analisi, confutazioni e conferme un esercizio di stile, manierismo. Il divenire si fossilizza nell’immanenza del diventato, e il qui ed ora non ha un come e un perché. Storia, geografia e relazioni internazionali roba da intellettuali da tastiera qualcuno afferma, denigrando non soltanto la cultura ma in ultima analisi perfino noi tutti e se stesso. Come fossimo così a prescindere, immediatamente così, senza percorsi e stratificazioni.

Siamo un paese di ignoranti e davvero, sinceramente, si vede. Da quanto infondati siano i presupposti delle argomentazioni, povere le affermazioni, incoerenti le azioni, abbondanti invece banalizzazioni e falsificazioni, diffusa la parzialità, sdoganata l’aggressività. Perché mai italiani che nulla sanno di geopolitica dovrebbero avere un parere che conta circa l’orientamento delle politiche di gestione dei flussi migratori? Perché sarebbe la volontà di un padrone di casa a casa sua? Sarebbe diritto alla libertà di pensiero e espressione? Sarebbe democrazia? La formazione scolastica e universitaria è quasi completamente devoluta all’insegnamento del mestiere, la conoscenza è settoriale, la cultura generale un indefinito. Il susseguirsi degli eventi un’allegoria. La semantica si riduce a giudizio soggettivo, e come in certa dottrina estetica, ogni senziente fruisce come crede quel che é oggettivo. Mi piace o non mi piace. I migranti non piacciono. Chi siano, perché esistano, cosa reclamino, sono elementi accessori nella tesi, soggetti all’interpretazione personale nell’ipotesi, estromettibili nella sintesi.

Prolificano la fanfara dell’ostilità e il circo delle amenità.

Sulla protezione umanitaria assoluto rigore e scrupolosità, troppe concessioni. Un deputato compra con i soldi per l’accoglienza l’abbonamento per vedere la Juve allo stadio. La maglietta rossa ferma l’emorragia di umanità e nella giornata del 7 luglio risulta il primo hashtag nella classifica Twitter Italia, che non sapevo esistesse. Segue quella marrone, sempre social, con cui si ricorda che siamo alle prese con un governo di merda, e quella azzurra della Meloni per gli italiani sotto la soglia di povertà. Intanto, un ventisettenne nigeriano richiedente asilo, a Milano, sventa una rapina mentre elemosina all’ingresso di un supermercato e la proprietaria dell’attività dichiara subito che gli offrirà un lavoro. Come per la cittadinanza al ragazzo africano che in terra francese ha salvato il bimbo sul balcone, e il permesso di soggiorno a quello che ha dato l’allarme di un bambino dimenticato in auto. Italiane dalla pelle scura vincono onori sui campi sportivi e imperversa la baruffa sulla determinazione esatta del tasso di italianità. Il migrante, ma anche il “nero” stanziale, può riscattarsi dalla condizione di reietto se assurge a quella di super eroe conclamato. Dalla Francia ci ricordano che la solidarietà non è reato ma fraternità, mentre in qualche comprensorio scolastico italiano si fissa il tetto massimo di bambini stranieri nelle classi, e svariate decine resteranno a casa. A Rimini ronde fasciste sulla spiaggia a braccetto con i camerati dell’est.

Dal simbolismo degli uni al “concretismo” degli altri, lo scontro contrappone non tanto le idee tra loro, ma la quasi totalità di queste ai corpi che, qualunque esse siano, ne subiscono la conseguenza finale.

Uno scrittore eritreo chiede in una lettera il perché delle campagne sull’apertura dei porti e non degli aeroporti, facendo considerazioni sull’eventualità che debba pur esserci un limite a tutto questo, ma per ironia della sorte o follia collettiva, la pubblica Il Giornale spacciandola per contributo contro il “buonismo” della “sinistra”. Un contributo più  illustre dei soliti altri perché “di colore”, spettacolare come l’arringa di un accusato contro il suo stesso avvocato, o il “pentimento” di chi dopo la complicità “vuota il sacco”.

Nel paradosso si reitera il crash quotidiano della costruzione di significato, e una certa atmosfera dadaista permea l’orizzonte di ogni discorso e di ogni silenzio.

Siamo all’assurdo.