La conferenza di fine lavori dell’Instance Verité et Dignité – 1° parte

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conferenza internazionale di chiusura dei lavori della commissione Verità e Dignità Tunisi 14 e 15 dicembre 2018. Crédit photo: IVD Media Center

Olfa Belhassine

 E’ un miracolo essere riusciti a fare questa conferenza oggi, visti tutti gli ostacoli che abbiamo trovato nel corso della nostra missione!

“proclama Sihem Bensedrine, presidentessa dell’Instance Verité et Dignité , all’apertura della conferenza internazionale di chiusura dei lavori della commissione che si è tenuta a Tunisi il 14 e il 15 dicembre scorsi. Intitolata “L’IVD a fine mandato: dibattito sui risultati”, la conferenza ha presentato le proprie conclusioni e un insieme di raccomandazioni contenute nel suo rapporto finale di fronte a una platea composta dalla società civile tunisina, dalle commissioni costituzionali, da ONG internazionali che seguono il percorso della giustizia di transizione, di agenzie ONU e delle autorità.

Né il capo del governo, né il Presidente della Repubblica o quello del Parlamento e neppure i deputati hanno assistito a questo evento cruciale del percorso della giustizia di transizione. Un momento che segna la fine dei quattro anni e mezzo di lavori dell’IVD, dedicati alle investigazioni e alla documentazione sulle violazioni dei diritti umani e sui crimini finanziari che hanno marcato la Tunisia, dall’Indipendenza fino al termine del 2013.

L’assenza dei “tre presidenti”, come vengono chiamati, è stata considerata “inquietante “ da parte di molti partecipanti alla conferenza. Un’ostilità manifesta che mostra la scarsa adesione da parte delle autorità, in particolare quelle di governo, al rapporto finale dell’IVD che tuttavia dovrà essere, a termine di legge, trasformata in misure e programmi d’azione entro un anno, a partire dal fine lavori dell’Instance, il 31 dicembre 2018.

I quattro strumenti dell’apparato repressivo

La prima giornata è stata consacrata alle rivelazioni riguardanti la verità sull”apparato repressivo sia all’epoca di Habib Bourghiba (1957-1987) che sotto Ben Alì (1987-2011).

Coloro che hanno governato la Tunisia nel passato non sempre sono stati leali. Si sono impadroniti dello Stato, del potere e delle risorse del paese, mettendo a tacere con la forza ogni voce dissidente, senza far distinzione fra marxisti, comunisti, sindacalisti, nazionalisti o islamisti

ha affermato Sihem Bensedrine.

Per la Commissione il sistema dispotico era fondato su una stretta correlazione fra violazioni dei diritti umani e corruzione finanziaria. Si trattava di un sistema che si basava su quattro cardini : la repressione poliziesca, la superpotenza dello Stato-partito, i media come strumento di propaganda e di menzogne ufficiali e la delazione.

 precisa la presidentessa dell’IVD.

L’Instance rivela la storia sorprendente della creazione di una società, ben nota in Tunisia, denominata Allo Taxi, destinata in primo luogo non già a prenotare un taxi in anticipo, ma a …passare informazioni, « con la benedizione e la convalida del presidente Ben Alì, secondo gli archivi e documenti ufficiali ritrovati durante le nostre indagini” aggiunge Oula Ben Nejma, presidentessa della commissione Investigations.

Clientelismo, affarismo e pratiche fraudolente

La stessa Commissione ha chiarito i meccanismi e le carenze giuridiche e istituzionali che hanno potuto permettere clientelismo, affarismo e diverse pratiche fraudolente. Furto e confisca di beni a privati cittadini per un cosiddetto “interesse pubblico”, per offrirli poco dopo a chi era vicino al regime, riqualificazione di terreni classificati come archeologici, a Cartagine, ma non solo, che diventavano lotti residenziali rivenduti più tardi a prezzo d’oro (una transazione di cui hanno beneficiato alcuni membri della famiglia della moglie di Ben Alì), l’ottenimento di prestiti bancari da parte del cerchio magico del presidente per lanciare finti progetti: questi solo alcuni dei meccanismi di uso indebito di fondi e di risorse dello Stato.

Abbiamo scoperto che furono adottate alcune leggi specifiche, fatte su misura per rendere possibili transazioni illegali a beneficio del clan della famiglia dell’ex presidente

assicura Khaled Krichi, presidente della commissione Arbitraggio e Conciliazione.

 Sapevate della Banca Centrale parallela?” chiede Sihem Bensedrine. «Si chiamava ‘El Kherba’ e si trovava a Bab Jazira, a Tunisi. Questa banca veniva alimentata da contrabbandieri tunisini, algerini e libici che acquistavano clandestinamente valuta in Cina e in Turchia e si infiltravano in Tunisia attraverso le frontiere, in particolare essi venivano dalla Turchia

La presidentessa dell’IVD dà ragguagli sullaffaire della Banca franco-tunisina (BFT), oggi portato davanti ai giudici.

Un caso da manuale per quanto riguarda la collusione tra potere politico e ambienti degli affari, ma anche in materia di abuso di influenza e d’ufficio. Questo affaire tossico per le nostre finanze rischia di mettere in ginocchio la Tunisia.

Nazionalizzata nel 1989, la Banca era divenuta all’epoca una succursale della Société tunisienne des banques (STB) prima di trasformarsi nel conto privato di amici e famigliari di Ben Alì.

Prestiti di 700 000 dinari (270 000 euro) venivano elargiti senza alcuna garanzia e senza la minima opposizione da parte della direzione della supervisione delle banche, né da parte delle commissioni di controllo del ministero delle Finanze, dei governatori successivi della Banca, dei ministri delle finanze e del pubblico demanio. La BFT ha trascinato nella sua caduta la STB e altre banche statali, secondo le analisi della Commissione Verità.

Per colpa delle malversazioni nei nostri colletti bianchi ora ci troviamo non lontani dallo scenario greco.

afferma Sihem Bensedrine.

Una marginalizzazione metodica dei territori.

Ingiustizia, marginalizzazione e malgoverno si sono estesi alle regioni e ai territori. 220 dossiers sono stati presentati all’IVD per denunciare le discriminazioni metodiche e di tutti i tipi di cui sono stati vittime quartieri, città, villaggi, solo per rappresaglia contro la loro dichiarata dissidenza nei confronti del potere.

A Sawaf, nella regione di Zaghouan (50 km da Tunisi) una fabbrica che dava da vivere a tutto il villaggio fu chiusa a causa di un movimento di protesta contro Ben Alì. Venne riconvertita in… prigione.

Dei fellaghas, combattenti della guerriglia contro la colonizzazione francese, vennero deportati, alla fine degli anni ’50, dai loro villaggi nei dintorni di Tataouine, a Cité Ennasr, vicino a Sidi Bouzid, al centro della Tunisia. Bourghiba aveva talmente paura di questi coraggiosi e liberi ex combattenti che li piazzò su terreni che non potevano né vendere, né affittare a causa del loro status amministrativo complicato. I sopravvissuti di quel periodo ci vivono ancora nella miseria più nera, insieme ai loro discendenti.

L’inferno del controllo amministrativo

Ma la repressione ha soprattutto colpito con la tortura e la violenza sessuale. Dei 57.000 dossiers in mano all’IVD il 25% riguarda donne. Le vittime sono state ascoltate in 50.000 sedute d’ascolto private che a volte sono durate più giorni. Da queste audizioni private è venuto fuori che il controllo amministrativo ha colpito 15.000 vittime, sottoponendole ad un inferno quotidiano.

Obbligati a volte di segnalare la loro presenza ogni due ore al commissariato del loro quartiere, alcuni hanno passato un quarto della loro vita in un continuo viavai tra il loro domicilio e la sede delle forze securitarie. « Sono stati registrati sei suicidi a causa del controllo amministrativo una pratica che schiavizzava le persone e le distruggeva insieme alle loro famiglie perché privava gli ex prigionieri politici di lavoro e di mezzi per provvedere ai bisogni dei loro cari. ‘Porta la tua bella moglie con te” oppure “tua figlia deve essere cresciuta adesso, faccela vedere al prossimo controllo” dicevano con malignità i poliziotti alle vittime” racconta Oula Ben Nejma .

Ibtihel Abdellatif, presidentessa della commissione Donne, ha abbozzato lo scenario di queste violazioni, quelle che hanno colpito in particolare donne, bambini e coppie, di cui 43 sono state obbligate a divorziare. All’interno delle case ,nelle camere da letto. venivano piazzati sistemi d’ascolto. Giovani donne venivano stigmatizzate per aver subito ore d’interrogatorio e violenze sessuali al commissariato. Bambini rapiti da casa o da scuola, a volte stuprati per far pressione sui loro genitori, oppositori del regime. Minori gettati in pasto agli adulti nelle prigioni.

La commissione Verité ha citato cifre spaventose a questo proposito: l’Instance ha raccolto 198 dossier riguardanti stupri su persone con meno di 16 anni. 17% femmine e 83% maschi.

‘Lo Stato ha scientificamente programmato il mio calvario’ ci ha confidato un uomo, violentato da bambino a causa delle opinioni politiche di suo padre.” ha raccontato, con voce carica d’emozione,Ibtihel Abdellatif.

L’articolo originale è apparso il 18 dicembre 2018 su justiceinfo.net/fr

Traduzione e adattamento dal francese a cura di Patrizia Mancini

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