Intervista a cura dell’equipe redazionale di Barr al Aman
Maha Ben Gadha ha risposto alle domande dell’equipe editoriale di Barr al Aman per email. Attualmente è direttrice dei programmi economici per l’ufficio Africa del Nord della Fondazione Rosa Luxemburg. Laureatasi in Scienze contabili in Tunisia, ha proseguito i suoi studi in finanza internazionale all’Università di Clermont Ferrand , poi in economia industriale, istituzioni e strategie internazionali all’Università di Parigi 13. Nel 2012, durante la transizione democratica, si unisce alla squadra del presidente Moncef Marzouki, come consigliera responsabile dell’organizzazione delle attività presidenziali (2012 – 2015).
- Lei afferma che alcune controverse disposizioni previste dall’Aleca sono già state adottate mentre le negoziazioni erano ancora in corso e ritiene che ciò potrebbe indebolire la posizione dei negoziatori tunisini. Può spiegarci meglio?
In effetti ci sono stati la legge sul partenariato pubblico privato (PPP), gli Accordi sulla valutazione della Conformità e accettazione dei prodotti indistriali (ACAA), la convenzione con l’ufficio europeo dei brevetti, ecc. che inizialmente erano stati citati nell’ALECA , ma che sono stati adottati dall’Assemblea dei Rappresentanti del Popolo (Parlamento tunisino,n.d.T.) al di fuori delle negoziazioni. Per avere un’idea più precisa su questo tipo di disposizioni integrate nella legislazione nazionale, bisogna risalire a tutte le leggi/ decreti/accordi che hanno un legame con l’Unione Europea. Tutti e tutte con finalità commerciali che vedono vantaggi per la UE e accelerano il percorso del negoziato.
Oltre la liberalizzazione delle tariffe doganali e l’abolizione delle regole non tariffarie, l’accordo ha come scopo la convergenza verso il diritto acquisito comunitario (cioè, l’adozione delle norme europee) che dovrebbe essere negoziato fra UE e Tunisia, in funzione dei settori in cui vi sia beneficio per la Tunisia nel convergere verso queste norme. Il problema è la maniera in cui l’Unione cerca di imporre le sue norme parallelamente al processo di negoziazione dell’Aleca, diciamo che c’è una forma di pressione esercitata dall’Unione Europea.
- Perché passare per la legislazione tunisina e non per i negoziati dell’ALECA?
La prima ragione è il risparmio di tempo. Se viene firmato l’ALECA, bisognerà seguire le procedure costituzionali di ratificazione (Parlamento Tunisino e Parlamenti degli stati membri), sapendo che bisognerà anche prevedere un periodo per la sua messa in attuazione che va negoziato (dai 10 ai 20 anni).
La seconda è politica. L’Europa è in piena crisi: incertezze sulla sorte dei paesi della sua periferia in transizione e/o politicamente instabili, nei quali avanza la Cina con la sua iniziativa « One Belt, One road », senza dimenticare le prossime elezioni europee e l’avanzare dell’estrema destra. Tutti questi fattori accentuano l’aspetto offensivo della sua strategia.
La terza ragione appartiene all’aspetto strategico della negoziazione: il mandato della negoziazione della commissione UE prevede nel suo testo che essa faccia un rapporto sugli obiettivi realizzati nel corso dei negoziati, ma anche su quelli realizzati al di fuori.
- Come si manifesta la pressione della UE per imporre le proprie norme in Tunisia?
Questa pressione si manifesta per mezzo delle condizioni poste nei prestiti accordati alla Tunisia, per esempio le AMF (assistenza Macro Finanziaria) del 2014 e del 2016. Le condizioni per l’ottenimento dei prestiti includono diversi progetti di legge/decreti che finiranno di fatto col convergere con le normative UE, come la legge sulle norme sanitarie e fitosanitarie (attualmente in discussione al Parlamento tunisino). Quest’ultima è stata presentata nel 2014 come condizione per il versamento della terza tranche di un prestito di 300 milioni di euro. Questa stessa AMF introduce un’altra condizione per il versamento: la pubblicazione di un nuovo decreto sull’omologazione dei prodotti industriali in vista dell’avanzamento dell’accordo sull’accettazione e la conformità dei prodotti industriali (ACAA).
L’UE non si accontenta solo di decreti e leggi che le sono favorevoli a livello commerciale, ma utilizza questo stesso stratagemma includendo in queste condizioni una implementazione soddisfacente del programma di riforme del Fondo Monetario Internazionale che ha permesso che venisse introdotta la clausola dell’arbitraggio fra imprese private e Stato (anch’essa in corso di negoziazione all’interno dell’ALECA) nelle leggi interne (codice degli investimenti e PPP). Così come la clausola del trattamento nazionale (anch’esso avrebbe dovuto far parte dei negoziati) che viene di fatto adottata come principio basilare per gli investitori stranieri che d’ora in poi avranno un trattamento non meno favorevole di quello degli investitori tunisini. La nozione di “non meno favorevole” definisce un trattamente uguale o superiore in termini di sovvenzioni, di vantaggi fiscali e di trattamento legislativo e di regolamenti. Così come l’accordo per la validazione dei brevetti: tutti i brevetti europei saranno riconosciuti e validati in Tunisia. Ciò proteggerà ulteriormente i prodotti europei da ogni forma di concorrenza.
« Nel caso più semplice, le due parti in conflitto scelgono liberamente ciascuno un arbitro accordandosi su un terzo che presiederà il tribunale così formatosi. In alternativa possono rimettersi a un foro specializzato come ne esistono oggi in molte piazze finanziarie e commerciali.
Questo foro forma il tribunale, fornisce le regole procedurali e l’infrastruttura amministrativa. Le parti dispongono in questo modo di una grande libertà per quanto riguarda la giurisprudenza di riferimento e le procedure, come le sentenze, rimangono confidenziali, cosa che, nell’ambito degli affari, è generalmente preferita. Infine, secondo la Convenzione di New York del 1958, una volta omologata da un tribunale civile ordinario di un paese firmatario, una sentenza arbitrale verrà riconosciuta e posta in esecuzione molto più agevolmente nei paese terzi rispetto a un giudizio emesso da un tribunale ufficiale, sempre sospettato di parzialità. Ci troviamo di fronte ad una tipica istituzione di un mondo globalizzato: gli agenti privati dispongono di una grande autonomia istituzionale e normativa, a carattere extra-territoriale, conservando, allo stesso tempo, il beneficio ultimo dei mezzi di coercizione propri degli Stati. »
Claire Lemercier, Jérôme Sgard. Arbitrage privé international et globalisation(s). [Rapport de recherche] 11.11, Mission de Recherche Droit et Justice; CNRS; Sciences Po. 2015.
Quindi non si tratta solo di un appoggio budgetario senza costi, come sembra ammettere l’ultimo rapporto della Corte dei Conti (visto l’interessante tasso d’interesse proposto dalla UE), ma di uno strumento di difesa commerciale che permette alla UE di avanzare nei negoziati sugli accordi commerciali imponendo l’adozione di leggi tramite la pressione del debito. Il che pone un problema legittimo di sovranità legislativa e regolatoria per la Tunisia. Tanto più che se le norme cambiano in Europa, la Tunisia dovrà riprenderle senza neppure poterle discutere. E i cittadini tunisini (fino a nuovo ordine) non partecipano alle elezioni del Parlamento europeo.
- Da quanto tempo è in corso questo processo?
Dal 2011, segnato da due eventi cruciali:
1) Il partenariato di Deauville, quando le istituzioni finanziarie internazionali e i paesi del G20 hanno messo a punto la loro offensiva neoliberale. Le loro azioni si completano, i loro programmi di riforma economica convergono.
“ Il partneriato di de Deauville, di cui si sente ben poco parlare, è una pietra angolare delle politiche economiche in Tunisia durante tutto il periodo della transizione, cioé dal maggio 2011. Risponde alle stesse logiche e tendenze storiche precedenti: si tratta di un cartello di finanziatori costituitosi nel maggio 2011 per far fronte alle rivoluzioni nei paesi arabi e coordinare in questo modo le loro azioni e i loro interessi”
Fonte : Le partenariat de Deauville, à l’origine des politiques économiques en Tunisie , Jihen Chandoul, OTE, 17/09/2015
2) L’adozione da parte UE della sua nuova politica di vicinato nel 2011, rivista nel 2015, che si basa essenzialmente su degli aspetti commerciali e securitari. Il suo obiettivo può riassumersi ormai nell’apertura dei mercati e nella chiusura delle frontiere che dovrà essere gestita in appalto dalla periferia.
Utilizzando il debito come strumento di implementazione della sua politica con l’appellativo « more for more », più il paese accetterà le condizioni, più prestiti riceverà. Un metodo difficilmente contestabile da parte dei paesi del sud del Mediterraneo che rientrano in questa politica di vicinato e che vivono sotto il giogo dei rimborsi dei prestiti precedenti.
- Perché un cittadino tunisino non avrebbe diritto a un servizio o a un prodotto conforme alle strette norme europee che del resto sono garanzia di sicurezza e qualità?
L’adozione di norme UE rappresenta un costo enorme, più elevato rispetto alle norme internazionali, per i produttori locali. Per la UE la posta in gioco è altissima, l’adozione in Tunisia delle normative europee implica, in termini di commercio internazionale, un vantaggio che immediatamente porterebbe i prodotti europei ad avere la meglio su quelli tunisini. La certificazione resterà tributaria dei programmi di sovvenzione e dell’adeguamento, ma bisognerebbe che la Tunisia ne avesse i mezzi, mentre i prodotti europei sono già a norma e i produttori, gli agricoltori e gli industriali godono già delle sovvenzioni tramite i fondi della UE.
La prima conseguenza sarà che i prodotti tunisini che non corrispondono alla normativa UE verranno venduti al di fuori del circuito legale (si creeranno dei mercati paralleli, meno cari perché non conformi). I cittadini tunisini, con il crescente degrado del potere d’acquisto, tenderanno a preferirli per ragioni di prezzo. In questo modo il cittadino non sarà protetto e non verranno raccolte neppure le tasse doganali.
Tanto più che la filosofia generale di alcuni testi normativi, come il progetto di legge sulle norme sanitarie e fitosanitarie, ha come fine ultimo quello di trasferire la responsabilità penale delle multinazionali che producono prodotti tossici e cancerogeni (come Bayer/Monsanto) sugli agricoltori locali che li utilizzano.
Le garanzie di sicurezza e di qualità si costruiscono con un sforzo comune fra consumatori, produttori e chi fa le regole. Tenendo conto di tutti questi parametri e delle specificità locali, non imponendo norme costose insormontabili. Ciò è controproducente.
L’intervista è apparsa sul sito Barr al Aman il 2 gennaio 2019
Traduzione e adattamento dal francese a cura di Patrizia Mancini
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