Alessia Carnevale
Che cosa avevano essi a che fare con il Governo, con il Potere, con lo Stato? Lo Stato, qualunque
cosa sia, sono ‘quelli di Roma’, e quelli di Roma, si sa, non vogliono che noi si viva da cristiani…
Per i contadini, lo Stato è più lontano del cielo, e più maligno, perché sta sempre dall’altra parte.
Carlo Levi, “Cristo si è fermato a Eboli”
Una fontana, al centro di una vallata. Uomini, donne, bambini. Mucche, asini e cani. Tutti si abbeverano dalla stessa sorgente. Siamo nella regione settentrionale di Bizerte, a Joumine, in un villaggio praticamente circondato dalle tre più grandi dighe della Tunisia, ma le cui case non sono fornite di acqua corrente.
Per raggiungerle, con un bidone d’acqua sulle spalle e altri quattro legati al dorso di un mulo sofferente, due donne camminano per vari chilometri sul sentiero ripido, dopo una giornata ad aspettare il proprio turno per servirsi dell’unico rubinetto del paese. Tutto intorno, i pendii verdeggianti e i campi di grano stridono con i racconti di sete e fatica delle persone, che per la prima volta hanno la possibilità di denunciare la propria condizione davanti ad una telecamera.
Quello di Joumine è solo uno degli episodi che compongono Attash Tunis – Thirsty Tunisians, film documentario di Ridha Tlili che fa luce sulle gravi problematiche relative all’accesso all’acqua in Tunisia, presentato il 12 gennaio scorso al cinema Rio, al centro di Tunisi.
Tlili, cineasta proveniente dalla regione di Sidi Bouzid, ha già all’attivo quattro lungometraggi documentari auto prodotti che scandagliano le condizioni sociali del paese all’indomani degli eventi rivoluzionari che misero fine ad una dittatura ventennale.
Jiha (2011), Revolution under 5 minutes (2011), Controlling and Punishment (2014) e Tounsa – Forgotten (2017), esplorano la complessa realtà del paese da varie angolature: la cultura popolare delle steppe delle zone interne, la disillusione dei giovani rivoluzionari nelle regioni dimenticate, la street art e la contro cultura nelle strade della capitale.
Mondi diversi, visti da prospettive diverse, ma sempre dalla stessa parte: quella degli ultimi, delle periferie, di chi è stato dimenticato, di chi ha contribuito al cambiamento e poi è stato gettato via, di chi è percepito dallo stato come un nemico, come un ostacolo, come una brutta immagine che stona nello scenario da cartolina da mostrare ai turisti o agli investitori stranieri.
Con Thirsty Tunisians il cinema-verità del documentarista tunisino incontra il road movie e viaggia diretto verso il nocciolo della questione che si propone di sviscerare: i cittadini assetati.
Tlili va ad ascoltare la voce di chi non è che non ha voce: è che non ha un microfono come ama dire egli stesso per descrivere la situazione di coloro che stanno ai margini della società, una frase che riassume la sua posizione e lo spirito del suo lavoro.
Ridha Tlili, in collaborazione con l’Observatoire Tunisien de l’Eau (afferente all’Associazione Nomad08 di Redeyef e che svolge azioni di advocacy ) ha percorso il paese videocamera in spalla per monitorare la situazione del diritto all’acqua in Tunisia, e far luce sulle gravi ripercussioni sanitarie e idrogeologiche causate da una cattiva gestione delle acque potabili e di irrigazione.
Il microfono di Ridha Tlili dà la parola a persone che vivono in condizioni estreme di povertà e di disagio, in mancanza di infrastrutture basilari, come strade, ospedali, scuole. A fine riprese l’equipe è tornata in tutti i quindici villaggi coinvolti nel progetto organizzando delle proiezioni-dibattito con gli abitanti per discutere delle possibili strategie di azione da adottare.
Un film militante quindi, che ha come obiettivo primario quello di sensibilizzare la società civile tunisina e spingerla a mobilitarsi in favore di una gestione equa ed ecosostenibile delle risorse naturali del paese. E che allo stesso tempo riesce a catturare momenti di rara bellezza, che scaturiscono dalla durezza di una natura spesso ostile, così come dai visi solcati dalla fatica di gente che lotta quotidianamente per il diritto inalienabile alla vita, e che ciò nonostante regalano sorrisi che sono una lezione di umanità.
Si passa dai sentieri polverosi e dalle montagne rocciose dei villaggi berberi del sud, ai palmeti sconfinati della regione del Jerid, ai frutteti del Cap Bon, alle dolci colline verdeggianti del nord ovest, sino alle periferie più povere della capitale.
Ad Ayeisha, Gafsa, i rubinetti sono a secco dal momento stesso in cui furono impiantati, e gli abitanti bevono acqua da pozzi improvvisati. A Toujane, Gabes, le donne si inerpicano sui sentieri rocciosi per raggiungere le sorgenti. Nelle banlieue di Manouba, a 10 km dal centro della capitale, le interruzioni sono costanti e continue. Le fatture della Sonede, la società nazionale di distribuzione dell’acqua, però continuano ad arrivare.
L’assenza e l’inquinamento dell’acqua è spesso causa di malattie gravi: non solo problemi renali, ma anche epidemie di epatite A nelle scuole. [1]
Da sud a nord, passando per le periferie dei grandi centri urbani, il film svela una situazione di seria emergenza.
In effetti, lo stress idrico non è affatto una novità per il paese, così come per il resto del Nord Africa. L’aridità e la scarsità delle piogge, l’aumento della salinità delle acque, i cambiamenti demografici, sono indicati come cause maggiori della penuria d’acqua.
Ma a ciò si aggiunge una gestione disastrosa e una ridistribuzione iniqua delle risorse, l’inadeguatezza della rete idrica o dell’assenza della stessa in molti villaggi, l’inadeguatezza della rete fognaria e dal conseguente inquinamento, dal consumo insostenibile di attività come l’industria del fosfato nella regione di Gafsa e il settore alberghiero nei grandi centri turistici della costa. [2]
Una crisi che puntualmente provoca manifestazioni popolari di protesta soprattutto nei mesi estivi. Solo tra maggio e giugno 2018 sono state rilevate dall’Osservatorio ben 104 manifestazioni, come afferma il coordinatore del progetto Ala Marzougui. [3]
La presenza massiccia di spettatori alla prima nazionale e il vigore con cui si è tenuto il dibattito con il regista alla fine della proiezione, sono un chiaro segno che il film ha toccato una tematica ipersensibile, che ha turbato e scosso le coscienze dei tanti spettatori stranieri, ma anche e soprattutto degli spettatori tunisini, molti dei quali non hanno forse consapevolezza delle diseguaglianze insostenibili e delle situazioni di emergenza in cui versano i propri concittadini, e non solo nelle regioni storicamente considerate come sottosviluppate e periferiche.
Qualcuno chiede al regista perché il film non abbia interpellato le autorità responsabili: non sarà troppo di parte? Dove sono le carte, le statistiche, i discorsi ufficiali? La risposta di Tlili è chiara e ferma: “I documenti ci sono, le autorità conoscono bene il problema, ed hanno tutte le piattaforme d’informazione pronte a diffondere la loro voce. Io sto dall’altra parte: dalla parte della gente che ha sete, punto.”
Una contro-narrazione necessaria, che ha destato grande interesse da parte dei media nazionali, anche mainstream, e che può rappresentare una buona occasione per aprire un dibattito politico serio che miri a risolvere la questione dell’accesso alle risorse idriche nel paese.
NOTE
[1 ] Cf. Zoé Vernin, in Mejel Bel Abbès. Un vaccin pour s’immuniser contre l’absence d’eau potable, Lutter contre les injustices environnementales en Tunisie, FTDES, 2017.
[2] Cf. Nour El Houda Chaabane, L’eau en Tunisie: une crise occulté!, Nawaat, 24 settembre 2014, e Jasser Jebali, L’eau en Tunisie : entre pénurie et mauvaise gouvernance… la crise continue!, Huffpost Maghreb, 7 agosto 2018
[3] Jules Crétois, Tunisie: les pénuries d’eau déclenchent une vague de colère, Jeune Afrique, 2 agosto 2018
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