Thierry Brésillon
Lo scorso 26 marzo l’Istanza Verità e Dignità (IVD) ha reso pubblico il riassunto dei suoi quattro anni di lavoro e di sessant’anni di dittatura.
Oltre 60 000 documentazioni individuali, quasi 50 000 audizioni private, una capacità di investigazione negli archivi delle amministrazioni ( a volte limitata dal rifiuto di collaborare da parte di alcuni, fra cui il Ministero degli Interni) le ha permesso di tracciare un quadro di una precisione senza precedenti sul funzionamento dell’apparato repressivo.
Nei singoli dettagli (metodi di tortura, violenze sessuali quasi sistematiche, fino alla morte sociale pianificata con il controllo amministrativo* e l’interdizione a viaggiare ) e tramite le sue strutture (raccolta di informazioni presso ogni singola categoria professionale, il tariffario delle remunerazioni per gli informatori, le quote di affari assegnate agli avvocati in funzione della loro lealtà…), questo sistema ha funzionato, per riprendere i termini della Presidentessa dell’IVD, Sihem Bensedrine, come “una piovra che ha colonizzato lo Stato ufficiale per asservirlo a un clan assetato di potere e di ricchezze”.
Un meccanismo destinato ad assoggettare tramite il denaro, in cambio di delazione e trattamenti di favore, tutti gli ingranaggi utili al potere e che “ha distrutto tutti quei valori che creano coesione in una società”, sottolinea ancora la Presidentessa. Una variante del dispotismo, essenzialmente in vigore sotto Ben Alì (1987-2011): “Habib Bourghiba, lui non usava il denaro. Utilizzava le leggi speciali e eliminava (le persone).”
Il governo fa finta di niente
L’IVD aveva come mandato anche quello di esaminare le discriminazioni regionali al centro della questione sociale tunisina, mantenute per mezzo della ricorrente repressione delle ribellioni.
sono stati presentati più di 220 dossiers relativi ai territori e il rapporto vi dedica quasi 400 pagine. L’IVD ha presentato anche un piano di indennizzo globale (finanziario, psicologico, sociale e simbolico) per le vittime e una strategia per conservare la memoria degli anni bui. Infine, il rapporto raccomanda un certo numero di riforme destinate a prevenire la ripetizione delle derive autoritarie.
Quindi un colossale contributo finalizzato a esprimere gli obiettivi della rivoluzione del 2011…passato quasi inosservato in Tunisia. I media nazionali, compresa l’agenzia stampa ufficiale, hanno ignorato la pubblicazione del rapporto.
Il governo, sebbene obbligato per legge a riceverlo e a elaborare nel corso dell’anno successivo alla sua pubblicazione un piano di applicazione delle raccomandazioni, non ha risposto alle sollecitazioni dell’IVD.
In effetti le verità che svela non sono più di attualità. Il suo difetto congenito è stato di arrivare fuori tempo massimo. L’idea di creare un organo incaricato di centralizzare i dispositivi di ciò che si è convenuto chiamare giustizia di transizione venne lanciata sin dal 2012. In quel momento le forze del vecchio regime non avevano più rappresentanza, i partiti al potere (Ennahdha con i suoi due alleati, il Congrès pour la République ed Ettakatol) erano stati strenui oppositori del vecchio regime e la Tunisia era aperta all’applicazione di una dottrina internazionale, relativamente consolidatasi, sulla giustizia di transizione che basa la riconciliazione su quattro pilastri: l’accertamento della verità, il rinvio a giudizio dei responsabili, l’indennizzo alle vittime e le riforme.
Di fronte al “consenso”
Ma quando la legge che istituiva l’IVD venne votata nel dicembre 2013 e al momento dell’inizio delle sue attività nel giugno 2014, l’atmosfera era già cambiata. Nasce il partito Nidaa Tounes, guidato da Béji Caïd Essebsi, ex ministro di Bourghiba, che rappresenta gli interessi di una parte di quadri del vecchio regime e intende iscriversi nella continuità del bourghibismo. Ennahdha, a sua volta, è entrata in una logica di transazione per negoziare la sua integrazione negli apparati di potere.
La vittoria di Nidaa Tounes nel dicembre 2014 e la logica del “consenso” con gli islamo-conservatori va perciò a creare un ambiente molto meno favorevole al ricordo del passato.
Dopo diversi tentativi, nell’ottobre 2017 il capo di Stato è riuscito a far votare una legge chiamata della riconciliazione amministrativa, in favore dei funzionari statali coinvolti in fatti di corruzione. Inoltre, il contenzioso dello Stato ha frenato il più possibile il concretizzarsi di accordi di conciliazione conclusi nell’ambito dell’IVD con gli uomini d’affari che avevano tratto beneficio da propri crimini finanziari.
Alla concezione della giustizia di transizione che è stata il principio cardine della definizione del mandato dell’IVD, fondata cioè sulla verifica del passato, i rappresentanti del vecchio regime e chi li sostiene non hanno mai smesso di opporne un’altra che ha fretta di “girare la pagina”.
Secondo questa concezione la riconciliazione non è vista come risultato finale di una terapia delle cause delle tensioni politiche e sociali, ma come prezzo da pagare perché la transizione democratica possa continuare.
In questo approccio la giustizia di transizione ha come funzione quella di fornire una narrazione del passato che consacra i rapporti di forza per non disturbare le attuali intese. Una logica alla quale l’IVD non ha mai voluto piegarsi.
Béji Caïd Essebsi, anche lui è coinvolto
Ma il vero pomo della discordia sono i processi. Dal mese di marzo 2018 l’IVD ha trasmesso 174 dossier a tribunali speciali. Vi sono implicati 1700 responsabili, di cui una grande maggioranza appartiene all’apparato securitario, fra cui lo stesso Béji Caïd Essebsi, ministro degli Interni al momento dell’ondata di repressione che colpì l’estrema sinistra dopo il maggio 1968. Malgrado le intimidazioni, sono state messe in piedi una ventina di cause. Con difficoltà. Gli accusati, salvo eccezioni, non assistono alle udienze che si svolgono , col trascorrere dei mesi, in sale sempre più vuote. I giudici non si sentono abbastanza protetti, finora, per emettere mandati di comparizione.
Ma la macchina giudiziaria messa in moto preoccupa i quadri securitari che dispongono ancora di una reale capacità di nuocere e di alleati politici.
In un apparente paradosso, dato che i militanti islamisti furono i più numerosi a soffrire per la repressione, la direzione del partito islamista Ennahdha si è impegnata, senza ambiguità, in favore di una riconciliazione alla quale il presidente del partito, Rached Ghannouchi, ha invitato precisamente nel mese di dicembre, in occasione della conferenza annuale del partito. Per paura, senza dubbio, di vedere i quadri del vecchio regime imbeccare le formazioni politiche più ostili alla integrazione del partito nel sistema.
Attualmente è in corso di elaborazione un progetto di legge per liquidare la dimensione giudiziaria. Nell’esposizione delle sue motivazioni tale progetto, sotto gli auspici del “consenso”, si ispira alla stessa concezione della verifica del passato del ”patto dell’oblio” votato in Spagna nel 1977, dopo la dittatura di Franco, o della legge argentina detta “punto e a capo” del 1986, dopo la dittatura militare.
I traumi del passato devono essere nascosti per non disturbare la transazione, percorsa di continuo da tensioni, che permette alla transizione democratica di proseguire.
I tribunali speciali verranno sciolti e rimpiazzati da due commissioni composte da nove membri nominati dal capo dello Stato, dal capo del governo e dal presidente del Parlamento che si occuperanno rispettivamente delle violazioni dei diritti umani e dei crimini economici.
Esse erediteranno i dossier che l’IVD ha trasferito alla giustizia. Gli autori di violazioni (tortura, stupro, sparizioni forzate, esecuzioni, ecc.) verranno invitati a presentare delle scuse alla Commissione. “La riconciliazione avviene con la presentazione delle scuse” prevede l’articolo 20.
Riconciliazione versus giustizia
La riconciliazione mette fine a tutti i procedimenti. In altre parole, il perdono sarà automatico, accordato da una commissione la cui autorità deriva dal consenso e in assenza della vittima. Un’assoluzione, perciò, accordata sull’altare della riconciliazione fra il vecchio apparato dello Stato e i nuovi arrivati nei circoli del potere.
Una tale riconciliazione fra élites avrebbe poche possibilità di rafforzare la fiducia dei cittadini nelle loro istituzioni, cittadini che per decenni sono stati spogliati, repressi, umiliati dallo Stato.
Alla fine del mandato dell’IVD, a fine maggio, le migliaia di documenti, i dossiers personali delle vittime, così come tutta la documentazione politica e amministrativa che rende conto nel dettaglio dell’apparato repressivo e della predazione economica, saranno trasferiti agli Archivi nazionali, dove resteranno inaccessibili almeno per trent’anni.
Nel frattempo le vittime argentine, cilene o spagnole riescono ad avviare procedure giudiziarie contro i loro aguzzini.
*obbligo di presentarsi più volte, nel corso della giornata, al posto di polizia
L’articolo originale è apparso sul sito Middle East Eye il 17 aprile 2019
Traduzione e adattamento dal francese a cura di Patrizia Mancini
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