Patrizia Mancini
Le presidenziali 2019 rappresentano un svolta storica della transizione tunisina.
Infatti se da un lato l’astensionismo in chiave anti sistema continua ad aumentare (con un tasso di partecipazione del 45%, mentre nel 2014 era stato del 62.9%), esprimendo la rabbia e il disgusto della popolazione nei confronti di una classe politica incapace, dilaniata da lotte fratricide anche a sinistra, di un governo di corrotti e corruttori, dall’altra, basandosi al momento sulle proiezioni della società specializzata in sondaggi Sigma Conseil, al ballottaggio di fine mese andrà il professore di Diritto Costituzionale Kais Saied contro il magnate televisivo Nabil Karoui, attualmente in prigione con l’accusa di riciclaggio.
Mentre tutta una fetta della società tunisina sembra cadere dalle nuvole (parlo dei cosiddetti “modernisti) come era accaduto nel 2011 di fronte al successo degli islamisti di Ennahdha, forse era prevedibile che quella parte di popolazione che non ha scelto l’astensione (di cui fanno parte buona parte della società civile e i movimenti contestatari indipendenti dai partiti) esprimesse quello che è la realtà maggioritaria di questo paese: un conservatorismo che non necessariamente ha riferimenti religiosi, ma che è finora profondamente radicato e che è anch’esso, ci piaccia o no, venuto fuori dalla rivoluzione del 2010/2011.
Kais Saied lo incarna perfettamente. In una intervista che gli feci nel 2014 insieme allo scrittore Santiago Alba Rico, così parlava del momento rivoluzionario “ E’ stata una rivoluzione dei giovani che, tramite le loro rivendicazioni, le loro domande e i loro slogan, esprimevano precisamente quello che volevano. Avevano soltanto bisogno di nuovi mezzi per realizzare i loro obiettivi, dato che non ne volevano sapere di utilizzare schemi prefabbricati imposti da politici o politologi. Durante i movimenti della Kasbah del 2011, mi sembrava di vivere un sogno. E’ stata la prima volta in cui mi sono sentito pienamente cittadino, il momento in cui la società si è fatta carico di sé . I giovani partecipavano alla gestione degli affari correnti, mantenevano l’ordine e si occupavano persino della nettezza urbana. Durante la seconda fase dei sit-in, però, si sono resi conto che nuovamente veniva loro sottratto il potere e si sono ritirati. Chi inizialmente aveva optato per una soluzione collettiva, è tornato a fare scelte individuali. Ora vi è rassegnazione e disperazione, alcuni cercano di partire per l’Europa, altri si iscrivono a un partito, non perché ne condividano appieno l’ideologia, ma per trovarvi una sorta di rifugio. Non riescono a riorganizzarsi perché privi di strutture di riferimento. Sono i vecchi partiti che si sono imposti e non hanno lasciato la possibilità ai giovani di occupare nuovi spazi. Ha vinto la Kobba contro la Kasbah (1) E anche io, come la maggioranza di loro, non ho partecipato alle elezioni. Sfortunatamente, abbiamo perso il treno della storia, stiamo facendo dei passi indietro perché invece di cercare nuovi mezzi di azione, una nuova organizzazione politica e sociale, abbiamo messo la marcia indietro alla rivoluzione, con la complicità pressoché totale di tutta la classe politica tunisina, sinistra inclusa, che non ha impedito il ritorno del vecchio regime, in un clima avvelenato ove ogni rappresentante politico sembra trarre la propria legittimità non da un progetto o da un programma politico, ma dal rifiuto dell’altro. “
Kais Saied ha fatto una campagna elettorale rinunciando al finanziamento pubblico, girando nei caffè e nei quartieri popolari appoggiato solo da una squadra di cinquanta fedelissimi, soprattutto giovani. Ha chiuso il telefono ai giornalisti e ha scelto di partecipare solo a contraddittori radiofonici. L’ Union des diplômés chômeurs (l’associazione dei laureati disoccupati che ha partecipato pienamente alla rivoluzione) ha fatto campagna per lui. Ho contattato un membro di questa organizzazione che ci ha tenuto a spiegarmi come l’ Union si sia sentita abbandonata dalla sinistra che alle questioni sociali avrebbe anteposto la questione dei diritti umani e delle libertà individuali. Ancora una volta da evidenziare l’enorme responsabilità di una sinistra che non è stata in grado di trasmettere il messaggio cruciale sul fatto che le due tematiche non possano essere disgiunte. A ciò va ad aggiungersi la forte componente anti-colonialista e panarabista del discorso di Saied.
Sembra infatti che questo populista sia stato votato soprattutto dai giovani , mentre la fascia “adulta” ha confermato il proprio voto, questa volta spezzettato fra diversi candidati , per le vecchie élites bourghibiste o islamiste. I due (sic!) candidati della sinistra Hamma Hammami e Mongi Rahoui, entrambi provenienti dal Fronte Popolare, hanno raccolto briciole. Ancora una volta qualcosa non torna nelle analisi classiche, soprattutto eurocentriche. Infatti questi giovani avrebbero votato un Kais Saied con una visione populista che vede nella democrazia partecipata il fulcro della politica, solo che per metterla in pratica vorrebbe eliminare le elezioni legislative, sostituendole con elezioni locali che esprimerebbero a loro volta dei rappresentanti regionali da inviare al Parlamento. Ha dichiarato che una volta eletto farà pubblicare finalmente la lista ufficiale dei martiri e dei feriti della Rivoluzione e che ripristinerà loro gli aiuti mensili. Contrario sia all’eguaglianza fra uomo e donna nell’eredità, è anche un nemico delle comunità LGBT, le cui rivendicazioni considera una importazione dell’Occidente. Inoltre, è contro l’abolizione della pena di morte.
Se venisse eletto, quasi sicuramente farà ricorso a una delle prerogative presidenziali che è quella relativa al referendum e per prima cosa sottoporrà alla popolazione quelle relativo al rapporto Colibe sulle libertà individuali e sull’adesione della Tunisia ad alcune Convenzioni Internazionali.
Piaccia o no, Kais Saied è un uomo fuori dal sistema che è riuscito a coagulare intorno a sé la faccia conservatrice del “dégagismo” rivoluzionario.
Per chi non condivide le sue concezioni politiche e l’aspetto conservatore sulle dinamiche della società, rimane da fare un lavoro titanico sul terreno, lontano dalla tentazione di interpretare la società tunisina “con gli occhi dell’Occidente”.
1) Nel marzo 2011 alcuni partiti si riunirono nel palazzetto sportivo chiamato Cupola (Kobba) di El Menzah per reclamare ” il ritorno all’ordine” e fermare le manifestazioni e gli scioperi che “disturbavano la vita della gente normale”
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