Lina Ben Mhenni se n’è andata questa mattina, la leonessa ha perso la sua ultima battaglia contro una crudele malattia autoimmune, il lupus, il cui decorso ci descriveva in rete, a volte con pessimismo, a volte con un soprassalto di gioia per il minimo segno di miglioramento.
Ci siamo incontrate l’ultima volta il 14 gennaio all’avenue Bourghiba dove entrambe eravamo venute a salutare le famiglie dei martiri della rivoluzione e alcuni dei ragazzi feriti. L’avevo abbracciata forte, percependo fra le mie braccia la fragilità del suo corpo. Ci siamo dette che eravamo rimasti veramente in pochi, ormai, a ritrovarci a esprimere solidarietà a quelle tristi famiglie, sfinite da nove anni di manifestazioni e lotte per mantenere viva la memoria dei loro figli.
Lina,lei c’era sempre.
Così come era presente il 19 gennaio ai funerali di Tarak Dziri, un blessé della rivoluzione, e dove il mio compagno Hamadi l’aveva salutata, non immaginando, neppure lui, che sarebbe stata l’ultima volta.
Può suonare retorico, ma Lina era veramente al cuore di tutte le battaglie che dal 2011 a oggi hanno attraversato la Tunisia. Ma, ancora più importante, era stata al cuore della rivoluzione, con il suo blog “A Tunisian Girl”, censurato dalla dittatura, e poi nelle manifestazioni che si sono succedute fino alla cacciata di Ben Alì. Aveva documentato la rivolta a Sidi Bouzid, fotografato la violenza poliziesca e, nonostante più tardi fosse già fragilizzata dalla malattia, non c’è stata causa che non l’abbia vista in prima fila. Era questa la particolarità di Lina, a differenza di altri/e che hanno ceduto, abbandonato il campo, spesso stanchi/e di non vedere risultati. Ricordo che una sera, parlando con Azyz Amami, sottolineavo il fatto che quando andavo, ad esempio, a una manifestazione per la difesa dei diritti delle donne, o della comunità omosessuale tunisina, le persone che incontravo non le vedevo però scendere in strada per i diritti economici e sociali, con le famiglie dei dispersi in mare, per la difesa dei rifugiati o contro la violenza poliziesca.
Lina, lei, c’era sempre, con la sua macchina fotografica a tracolla, il viso spesso troppo serio ( aveva confidato di sorridere raramente perché non le piaceva la sua dentatura), per un lungo periodo accompagnata da una guardia del corpo perché continuava a ricevere minacce di morte.
Figlia di due militanti contro la dittatura, Emna Ben Ghorbal e Sadok Ben Mhenni, una delle sue ultime iniziative aveva riguardato una colletta di libri per le biblioteche delle prigioni tunisine che a novembre 2019 aveva raggiunto la ragguardevole cifra di 45.000 volumi donati.
Non farò l’elenco dei premi e dei riconoscimenti internazionali da lei ricevuti in questi anni, il mio rimane soprattutto un ricordo personale, il dolore di oggi, la rabbia e la voglia di cambiamento che abbiamo condiviso fino a ieri. E le piccole cose più intime, come la passione comune per i gatti e la vita nella banlieue sud di Tunisi.
Arrivederci, Lina. Che freddo, mia cara amica e quanta solitudine ci aspetta!
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