Olfa Belhassine
Negli anni ‘60 e ‘70 alcuni giovani studenti tunisini scelsero l’estrema sinistra per opporsi al potere assoluto del presidente Bourghiba. Venivano chiamati “Perspectivistes “. Subirono le peggiori esazioni. A distanza di quasi cinquant’anni, la camera specializzata per la giustizia di transizione di Tunisi ha ascoltato il racconto dei crimini commessi contro di loro.
« Signor giudice, siamo vecchi, alcuni di noi sono morti e la maggior parte dei nostri compagni sono malati. Fate che questo processo non si prolunghi oltre misura e che gli accusati si presentino di fronte a questa Corte. I presunti responsabili sono conosciuti , si sa dove risiedono, non c’è motivo per cui, udienza dopo udienza, solo le vittime assistano al processo!”, così protesta H’mida Maâmar prima che il tribunale specializzato in giustizia di transizione si alzi per lasciare la sala dell’udienza questo 24 febbraio, alla fine di una lunga seduta consacrata al dossier chiamato dei “Perspectivistes ».
Hmida Maâmar, settant’anni, ex prigioniero politico della sinistra radicale nata negli anni ‘60 nei meandri dell’università, si sente al colmo della disperazione. Non testimonierà quel giorno, cedendo il posto a due altri attivisti del suo gruppo Perspectives, Mohamed Maâli et Tahar Chagrouch, incarcerati con lui in condizioni disumane nelle peggiori prigioni di Bourghiba, dal 1975 al 1980. I due superstiti continueranno il racconto delle altre quattro vittime del gruppo che era iniziato lo scorso 16 dicembre di fronte allo stesso presidente, il magistrato Ridha Yacoub.
UN’ ÉLITE INTELLETTUALE, CON UNA ATTIVA PARTECIPAZIONE DELLE DONNE
Alla fine degli anni ‘60 un vento di libertà soffia su una popolazione studentesca imbevuta di ideali marxisti e maoisti allora molto in voga nel mondo. In Tunisia quel vento soffia inizialmente proprio per il movimento Perspectives. Venne fondato a Parigi, in reazione a brogli elettorali in occasione delle elezioni dell’UGET (sindacato studentesco che fino a quel momento era in mano al partito unico del presidente Bourghiba) che dava come vincitori gli studenti dell’estrema sinistra. Il tentativo di neutralizzare uno degli ultimi bastioni politici rimasto parzialmente autonomo fece emergere la sinistra radicale. Perspectives dominerà l’università tunisina durante gli anni ‘60 e ‘70 e andrà rafforzandosi di pari passo con la repressione sproporzionata che si abbatte sui suoi leader e militanti, uomini e donne che subiranno violenze, torture e processi iniqui nel 1968, 1972, 1974 e 1975.
E’ tale contesto e le sue ripercussioni sulla giovane élite tunisina che sono stati narrati dalle vittime, durante le udienze del 16 dicembre 2019 e del 24 febbraio 2020.
La serie di testimonianze dei Perspectivistes comincia dalle sue militanti. Perché le donne hanno partecipato attivamente, a fianco agli uomini, a questo movimento di dissidenza e l’hanno pagata cara. Diplomatasi brillantemente a 17 anni, Zeineb Ben Said parte per Parigi per proseguire i suoi studi di filosofia alla Sorbona di Parigi. Partecipa, con la crema dei giovani intellettuali tunisini innamorati delle idee rivoluzione dell’epoca, alla creazione del gruppo Perspectives. Nel 1974 ritorna in Tunisia e comincia, parallelamente alle sue attività politiche, a insegnare all’età di 22 anni alla Scuola normale Superiore di Kairouan. « Eravamo dei giovani avidi di libertà, di autonomia rispetto al regime e ci opponevamo all’imperialismo e alla deriva autocratica del partito desturiano di Bourghiba, che era piombato nel monolitismo politico. La nostra organizzazione di sinistra era patriottica, aveva come valori il pluralismo politico, la libertà d’espressione e la giustizia sociale”rivela la sua testimonianza davanti alla corte.
« GLI AGUZZINI HANNO COME SOLO DIO BOURGUIBA »
i racconti si assomigliano e i ricordi hanno la stessa fonte: l’università tunisina e francese degli anni ‘60 e ‘70, aperte al mondo e agli ideali dell’epoca. All’università tunisina si potevano incontrare e discutere con loro, filosofi e insegnati di fama internazionale, come Derrida, Deleuze e Foucault. E’ in quest’ambiente che Raoudha Gharbi si nutriva di politica. A 22 anni la giovane donna , fra gli elementi migliori a essere promossi, prende la sua laurea in scienze dell’educazione alla facoltà 9 aprile a Tunisi. In parallelo fa parte della cellula di supporto ai prigionieri “perspectivistes”, incarcerati a seguito dei processi del 1968 e del 1972. Non appena comincia a insegnare, viene arrestata e portata alla Direzione di sicurezza territoriale (DST) nel novembre 1974 dove l’attende un duro interrogatorio .
In clandestinità il gruppo pubblica volantini e una rivista intitolata “Perspectives”. In uno dei suoi discorsi, Bourghiba, folle di rabbia, giura di consacrare tutta la sua vita “ a eliminare uno ad uno questi microbi dei gauchistes”. Con una violenza raddoppiata, specie nei confronti degli uomini, gli aguzzini si concentrano su tutti i membri del gruppo . I loro nomi risuoneranno a più riprese nel corso delle due udienze processuali: Abd Elaziz Tabka, Abd Elkader Tabka, Massoud El Hajji, Hassan Abid, Mohamed Ennaceur, Abd Essalam Dargouth (alias Skapa), Mongi Amara, Mohsen Ben Abdessalam… « Non riconoscono nessun Dio, se non Bourghiba. Uno di loro ha minacciato di giustiziarmi subito, puntandomi una pistola alla tempia. Mi ripeteva che nessuno gli avrebbe chiesto conto “ ricorda Mohamed Maâli nel corso dell’udienza.
“SIAMO DIVENTATI TUTTI DEGLI APPESTATI”
Tutto fa credere che Zeineb Ben Said non abbia elaborato il dolore di quegli anni di repressione. Arrestata il 20 novembre 1974, trasferita alla DST, schiaffeggiata e torturata, fra un interrogatorio e l’altro. Spogliata a metà, ha subito per ore la posizione del “pollo arrosto” (1). Viene portata davanti la Corte di Sicurezza dello Stato, un tribunale speciale costituito nel 1968, e condannata a diversi mesi di prigione. Nel febbraio del 1975 viene liberata. Ma il suo calvario non è finito: a lei e a suo marito, anche lui perspectiviste, viene vietato di entrare nella funzione pubblica.
Come la sua compagna Zeineb Ben Said, Raoudha Gharbi sottolinea la dimensione eccessiva e smisurata della repressione esercitata su questo movimento di giovani, pacifista e modernista “privo di cinture esplosive e di valige di valuta portate dall’estero e senza una reale volontà di prendere il potere”. Un movimento che aderiva alle scelte emancipatrici di Bourghiba, chiedendo allo stesso tempo un clima più liberale. « Con un figlio piccolo in braccio, abbiamo vissuto ai margini della società fino al 1980. Nessun liceo privato ha voluto assumermi, nessun giornale mi ha offerto un posto anche piccolo, a parte « Démocratie »: con il direttore eravamo d’accordo che firmassi soltanto con le iniziali. Eravamo diventati degli appestati” testimonia Zeineb Charni, militante perspectiviste et professoressa di filosofia.
LE UNICHE PROVE: LIBRI E VOLANTINI
« Tutto quello che la polizia è riuscita a confiscare nelle perquisizioni a casa nostra si riduce a dei libri, dei volantini e a un vecchio modello di macchina da scrivere” sostiene Raoudha Gharbi. Per aver espresso delle idee e rivendicato dei valori, lei e suo marito Tahar Chagrouch vivranno in situazione precaria per…trent’anni. Perché nella Tunisia della dittatura essere un oppositore di sinistra vi segnava a vita.
La minaccia di annientare i militanti formatosi nei ranghi delle università, Bourghiba l’applicherà soprattutto contro gli uomini. Torturati ferocemente (pollo arrosto, waterboarding, pestaggi, stupro anale per mezzo di un bastone, minacce di morte, insulti…) dagli agenti della Sicurezza dello Stato, le 102 vittime del processo del luglio 1975 (come i 202 militanti giudicati nell’agosto del 1974) saranno trascinati davanti a un tribunale speciale installato dal potere per eliminare i propri nemici. Tahar Chagrouch, storico e sociologo, è condannato a sette anni di prigione. E’ accusato, nel corso di un processo iniquo, di complotto contro lo stato, di diffusione di notizie false e di diffamazione nei confronti del capo dello Stato. “Tutto soltanto per delle parole, parole scritte e parole pronunciate”, insiste.
RICORDI DEL BAGNO PENALE DI BORJ ERROUMI
Nella sua testimonianza Mohamed Maâli, compagno di lotta e di prigione di Tahar Chagrouch, descrive con minuzia la gravità delle condizioni di carcerazione che tutto il loro gruppo ha vissuto. « Nella prigione 9 aprile a Tunisi siamo stati gettati ammanettati in un padiglione insieme ai più recalcitranti detenuti per crimini comuni e ai condannati a morte”ricorda. In seguito vengono trasferiti al bagno penale di Borj Erroumi, nel nord del paese dove li lasceranno marcire per mesi all’interno di grotte scavate nella roccia della montagna, assieme a ratti grossi come gatti come unica compagnia. Svestiti, incatenati come animali, soffrono l’umidità, il freddo e gli odori nauseabondi di questi luoghi in cui durante il Protettorato francese venivano messi in isolamento i leader nazionalisti come…Bourghiba. Con questo trattamento degradante lo Stato voleva spingere i prigionieri- la cui causa era stata ormai descritta, assicura Tahar Chagrouch, dai giornali più noti come “Le Monde” e “Le Figaro” in Francia e il New York Times – a indirizzargli una domanda di grazia. La maggioranza rifiutò la transazione e continuò, dal luogo di detenzione, la lotta per più diritti, maggiore dignità e per il riconoscimento della loro loro condizione di detenuti politici.
“A seguito di numerosi scioperi della fame, ottenemmo condizioni carcerarie più favorevoli così come il diritto di accedere a libri, giornali e persino alla televisione” racconta Tahar Chagrouch. Liberato nel 1980 il giovane volerà a Parigi per proseguire gli studi. Insieme alla moglie Raoudha Gharbi e a molti altri compagni di prigionia, entrerà nelle Lega tunisina per i diritti umani, in cui i Perspectivistes, traumatizzati, sfiancati dalle lotte intestine e dispersi, si ritroveranno per combattere la tortura, per il diritto a un processo giusto e perché le carceri tunisine venissero rese più vivibili.
1) Il corpo del prigioniero viene legato a un bastone e mantenuto raggomitolato per ore
L’articolo è apparso il 28 febbraio 2020 sul sito justiceinfo.net
Traduzione e adattamento dal francese a cura di Patrizia Mancini
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