Tunisia: gestione securitaria della crisi a spese del diritto alla salute

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Olfa Lamloum

La Tunisia si prepara al deconfinamento con un sistema sanitario allo stremo. Certo, il governo è riuscito a contenere l’epidemia e le sue conseguenze con misure d’urgenza. Ma le infrastrutture pubbliche e sanitarie erano già fragilizzate dalla politica portata avanti sotto il regime di Ben Alì, particolarmente nelle regioni interne e nei quartieri popolari. Di fronte alle diseguaglianze sociali e territoriali, potrebbe nascere un nuovo movimento di contestazione.

Cosciente del suo scarso margine di manovra, il governo di Elyès Fakhfakh, arrivato al potere alla fine di febbraio, ha scommesso su due approcci, sin dall’apparizione dei primi casi di corona virus. Il primo, pro-attivo, ha per obiettivo di limitare le conseguenze sanitarie e sociali della crisi. Per farlo sono state rapidamente prese delle misure di precauzione a ritmo crescente: chiusura delle scuole, riduzione dell’orario di lavoro nella funzione pubblica, coprifuoco dalle 18 alle 6, divieto di assembramento e, per finire, confinamento. Nello stesso tempo sono stati annunciati una serie di aiuti per le famiglie a basso reddito, per i bisognosi e per i dipendenti del privato che si ritrovano in cassa integrazione Inoltre, è stata avviata una raccolta fondi per sostenere lo Stato nella lotta al corona virus.

Il secondo approccio si è basato sull’adozione di una comunicazione trasparente riguardo la propagazione dell’epidemia, riconoscendo anche le difficoltà che sta attraversando il paese, adottando egualmente la metafora della guerra per galvanizzare la nazione a proposito del bilancio del governo.

Ma, a quasi due mesi dall’inizio della crisi, questi due approcci mostrano i loro limiti. Certo, il governo è riuscito a contenere la propagazione dell’epidemia e il numero delle vittime (949 casi confermati, 38 decessi) . Ma sembra incapace di attenuarne gli effetti sociali , specialmente nei quartieri popolari e nelle regioni dell’interno in cui il confinamento ha accentuato la disoccupazione e la precarietà e in cui sono venuti allo scoperto i punti deboli strutturali della governance sanitaria e sociale dei margini.

DISEGUAGLIANZE REGIONALI NELL’ACCESSO ALLA SANITÀ

I limiti dell’approccio governativo restituiscono in primo luogo le diseguaglianze territoriali e sociali che confermano la debolezza del sistema di sanità pubblico e il degrado dei servizi ospedalieri. In questo modo l’accesso alle cure è diventato, in molti casi, un privilegio che l’episodio rivoluzionario non è riuscito a rimettere in discussione. La penuria di medici specialisti e rianimatori ne è l’esempio flagrante: nel 2016 (ultimi dati disponibili) il governatorato di Tataouine (150 000 abitanti) contava solo tre ginecologi-ostetrici. Ancora oggi gli ospedali di Tataouine e di Kasserine non dispongono di medici rianimatori. Stesso discorso riguardo la mancanza di servizi di screening, di medicine, la diminuzione della capacità di ricoveri clinici, il ritardo nelle ospedalizzazioni e la difficoltà di accesso agli ospedali a causa del deterioramento o della inesistenza dei trasporti pubblici, così come l’indebolimento dei servizi per la salute riproduttiva.

Ancora oggi non esistono laboratori per le analisi dei campioni dei potenziali malati in nessuno dei governatorati del nord-ovest e del sud, compresi quelli in cui il numero di pazienti contagiati dal corona virus è elevato, come i governatorati di Kebili e di Mednine, nel sud est.

Allo stesso modo la maggior parte di queste regioni non disponeva di alcun posto letto per la rianimazione fino al mesi di marzo, come Kasserine e Sidi Bouzid, da dove è partita la rivoluzione. Esplode anche la percentuale dei giovani privi di copertura sociale: quasi il 60% a Tataouine e a Kasserine, cosi’ come in alcuni quartieri popolari della Grand Tunis.

UN SISTEMA COMPROMESSO DALLE POLITICHE DI PRIVATIZZAZIONE

Questa situazione è il risultato di tre decenni di attacco metodico al sistema pubblico della sanità. di riforme strutturali in cui lo Stato ha progressivamente ridotto le sovvenzioni a questo settore. Tale politica è stata accompagnata da una serie di leggi che offrivano facilitazioni agli investitori privati. Inoltre gli ospedali universitari hanno ottenuto l’autonomia finanziaria e sono state cancellate le sovvenzioni pubbliche, ad eccezione degli stipendi del corpo medico e paramedico. Lo Stato, in seguito, ha sospeso la sovvenzione per la gestione agli ospedali regionali, il che ha portato un duro colpo alla loro capacità di rifornirsi di medicinali.

Nel 2007 viene promulgata una nuova legge relativa all’assistenza sanitaria. La cassa nazionale di assistenza sanitaria ha cominciato a rimborsare indifferentemente le cure prestate nel settore pubblico e in quello privato, senza che il primo conoscesse miglioramenti, come stipulava tuttavia l’accordo firmato all’epoca dal sindacato e dal governo. Il finanziamento pubblico partecipava oramai, indirettamente, a sostenere il settore privato della sanità. Dieci anni dopo, le cifre ufficiali le cifre ufficiali mostrano che il settore pubblico aveva solo 48 apparecchi tomografici in tutto il paese, contro i 131 del settore privato.

In parallelo il settore privato si è sviluppato in maniera anarchica nelle regioni della costa e nelle grandi città, trascurando del tutto le regioni dell’interno. Capitali bancari, persino dei paesi del Golfo, hanno investito in cliniche private e nell’industria farmaceutica, profittando del mercato libico e sub-sahariano, a causa della chiusura europea agli africani. Sempre nel 2007 è stata promulgata una circolare governativa che regolamenta l’attività privata complementare per i professionisti degli ospedali universitari, permettendo a certe categorie di esercitare un’attività privata negli ospedali pubblici per due mezze giornate a settimana. Una misura che ha spalancato le porte alla corruzione e allo sfruttamento del settore pubblico a fini di lucro.

Dal 2011 i governi succedutisi non hanno interrotto queste politiche di austerità favorevoli al settore privato. Non hanno neppure adottato ala minima misura per ridurre la diseguaglianza fra le regioni nell’accesso al diritto alla salute. Al contrario, le assunzioni nel pubblico sono in caduta libera al punto da non riuscire a coprire i posti vacanti lasciati da chi è andato in pensione.

NESSUN CAMBIAMENTO DOPO IL 2011

Nonostante le rivendicazioni portate avanti dai movimenti sociali dal 2011 in numerose regioni dell’interno per ottenere un rafforzamento dei servizi sanitari e malgrado le promesse di sviluppo regionale da parte dei partiti politici che da allora sono stati al potere, la priorità di questi governi è stata quella del rimborso del debito verso l’estero a spese dello sviluppo dei servizi sociali ( più del 23% per il debito, 13% per i servizi sociali nel budget dell’anno 2019). A tal punto che la percentuale budgetaria destinata alla sanità nel 2018, sotto il governo di Youssef Chahed, è stata inferiore a quella del 2006, sotto Zine El-Abidine Ben Ali (5,2 % nel 2018 contro il 7,4 % del 2006). Le mobilitazioni dei giovani medici che chiedevano il miglioramento delle loro condizioni di lavoro nel settore pubblico e l’emigrazione in Europa di centinaia di loro non hanno inciso affatto su tale politica.

Con l’inizio della propagazione dell’epidemia e per paura di una catastrofe sanitaria, il governo ha intrapreso delle misure d’urgenza per attrezzare alcuni stabilimenti sanitari e assicurare alcuni bisogni vitali di protezione e diagnostica, contando sulla devozione e la mobilitazione dei medici e degli infermieri del settore pubblico. Ha beneficiato, inoltre, della solidarietà di centinaia di iniziative inedite, individuali o collettive, da parte di cittadini che hanno fatto doni in natura (inclusi letti e apparecchi respiratori) o in denaro e hanno organizzato campagne di raccolta fondi. Tuttavia le diverse iniziative, anche se di una certa importanza, non sono sufficienti , soprattutto nel caso di un aggravamento della situazione sanitaria.

Ciò nonostante, il governo sembra deciso a non costringere il settore privato della sanità a partecipare pienamente alla lotta contro la pandemia. Un certo numero di uomini di affari ne hanno approfittato per speculare e monopolizzare i farmaci e vi sono molti sospetti di corruzione riguardo i contratti per la fabbricazione delle maschere. Tutto questo non ha impedito al governo di continuare a escludere la possibilità di requisire le cliniche private e di mettere a disposizione le fabbriche di materiale di protezione.

GLI STESSI MEZZI PER GLI STESSI RISULTATI

Il fallimento dell’approccio governativo si è visto anche negli stessi dispositivi che sono stati applicati nei gestione dei quartieri popolari e delle regioni dell’interno, gli stessi del periodo pre-rivoluzionario. Da una parte, ci si è contentati di distribuire un po’ di aiuti ai più poveri con lo scopo di riassorbire le conseguenze sociali del confinamento. Per fare ciò, ci si è basati sulle stesse categorizzazioni burocratiche stabilite ai tempi di Ben Alì (le famiglie bisognose e quelle aventi diritto alla gratuità delle cure, ecc.) (1), escludendo così persino numerosi “invisibili” del settore informale , dimenticati dai registri ufficiali dello Stato. Allo stesso modo non è stata presa nessuna misura di redistribuzione per compensare l’evasione fiscale. Per quanto riguarda poi il richiamo del presidente Kais Said alla sua proposta elettorale di accordare un’amnistia agli uomini d’affari accusati di corruzione , in cambio di finanziamenti di progetti di sviluppo nelle regioni dell’interno, è rimasta una pia illusione.

Inoltre il governo ha mobilizzato le stesse strutture statali che distribuivano questo genere di aiuti prima della rivoluzione, cioè le delegazioni (2) e gli imada (3) che dipendono dal Ministero degli Interni. I quali del resto hanno chiesto frequentemente l’intervento della Guardia Nazionale e dell’esercito per supervisionare le file di poveri che venivano a chiedere aiuti nel periodo di confinamento, rinnovando la gestione securitaria della questione sociale sotto Ben Alì. Così i consigli municipali, peraltro eletti, si sono trovati esclusi dalla gestione della situazione sanitaria e delle sue conseguenze sociali, sebbene abbiano reagito velocemente, organizzando cellule di crisi aperte alla partecipazione della società civile. Il loro intervento sì è soprattutto limitato all’organizzazione di campagne di disinfezione degli edifici pubblici o di distribuzione di doni alimentari agli abitanti. Ciò ha condotto a un conflitto tra autorità regionali e numerosi sindaci che si sono lamentati della loro metodica esclusione da parte dei governatorati e della impossibilità di accedere ai dati relativi alla situazione sanitaria nelle loro circoscrizioni.

AUTORITÀ’ LOCALI SENZA MEZZI

Questo confuso paesaggio ricorda i punti deboli della democratizzazione del potere locale nei quartieri popolari e nelle regioni dell’interno dopo la rivoluzione, molto spesso nascosti dalla vulgata della “eccezione tunisina”. La decentralizzazione adottata nella Costituzione del 2014, in quanto ristrutturazione della divisione dei poteri tra il centro e il locale, che avrebbe garantito la partecipazione cittadina e uno sviluppo più equo e di cui le elezioni del 2018 sono state una delle tappe, alla fine ha dato luogo a una lotta di potere e a un raddoppiamento traballante delle prerogative.

Così, da un parte ci sono dei consigli municipali eletti, a maggioranza Ennahdha, in numero quartieri popolari e regioni dell’interno, senza sufficienti risorse finanziarie e che hanno le mani legate da una burocrazia amministrativa locale, spesso dedita al clientelismo. Questi consigli sono privi di ogni prerogativa in materia di politiche sociali e non hanno alcun potere coercitivo, dato che la polizia municipale non è ai loro ordini.

Dall’altra, ci sono le delegazioni che dipendono dal Ministero degli Interni il cui ruolo si è rafforzato a partire dal 2013 nell’ambito della lotta contro il salafismo jihadista e della gestione della contestazione sociale nei margini. Tale ruolo viene ribadito nella crisi del corona virus.

Di conseguenza, la gestione governativa di questa crisi sanitaria ha rivitalizzato i vecchi dispositivi della governance autoritaria nei quartieri popolari e nelle regioni dell’interno che si basavano sulla pace sociale in cambio di una debole rete di sicurezza sociale, al di fuori di qualsiasi controllo cittadino.

Le classi popolari e e le regioni dell’interno saranno sicuramente le prime vittime della recessione economica che l’FMI prevede come la più grave dall’indipendenza della Tunisia nel 1956. Anticipazioni di tale recessione cominciano ad farsi vedere, con il rialzo dell’inflazione, la penuria di prodotti di prima necessità, la speculazione al mercato nero, l’aumento della disoccupazione e la comparsa di tensioni sociali in alcuni quartieri popolari e nelle regioni,

Il capo del governo Elyès Fakhfakh, che aveva ottenuto una procura da parte del Parlamento per emettere decreti nell’ambito della lotta alla pandemia, è cosciente del pericolo che rappresenta questa situazione per la sua carriera politica. Teme che queste tensioni si trasformino in un movimento di contestazione sociale il che spingerebbe la maggioranza parlamentare a sacrificare il suo governo sull’altare della pace sociale, dato che esso non ha una base partitica. E’ per questo che il suo governo si è affrettato a firmare per un nuovo prestito dell’FMI, con lo scopo di coprire le spese eccezionali nel settore sanitario, le sovvenzioni alle imprese indebolite dalla crisi, in modo da beneficiare di una rete di sicurezza. D’altra parte, però, il nuovo credito impegna questo governo, una volta passata la crisi , a continuare le politiche di austerità, in primo luogo la riduzione della massa salariale nel settore pubblico, cioè nel campo dei servizi sociali, compresa la sanità.

Mentre si levano voci per chiedere l’annullamento o una rimodulazione dei debiti dei paesi poveri, il governo Fakhfakh perde l’occasione per rimettere in causa il debito estero tunisino. E organizza anche un contributo obbligatorio al budget dello Stato, prelevando una giornata lavorativa ai lavoratori dipendenti e ai pensionati, dando così un chiaro segnale sulle scelte che guidano le sue politiche sociali e che ridisegnano le sue proiezioni in materia di sviluppo.

Le conseguenze della pandemia riusciranno a sovvertire tali scelte? Le settimane e i mesi a venire ce lo diranno.

Note:

1) Categorie che non necessariamente corrispondono alla realtà economica dei beneficiari

2) Circoscrizione amministrativa intermedia

3) Ulteriori divisioni amministrative , più piccole

L’articolo originale è apparso su Orient XXI il 29 aprile 2020

Traduzione e adattamento dal francese a cura di Patrizia Mancini