Arianna Poletti
Da ottobre aumenteranno i rimpatri di tunisini dall’Italia. Le tante ombre sull’intesa tra Lamorgese e Mechichi.
In seguito all’aumento degli sbarchi a Lampedusa e all’interruzione dei voli charter verso la Tunisia durante i mesi dell’emergenza Covid, il numero di migranti rimpatriati aumenterà temporaneamente a partire da ottobre. In via straordinaria nuovi voli verranno aggiunti a quelli bisettimanali che trasportano 80 tunisini, accompagnati da due agenti di sicurezza ciascuno, dall’aeroporto di Palermo a quello di Enfidha-Hammamet. Così è stato concordato tra il ministro dell’Interno Lamorgese e il neo-premier tunisino Hichem Mechichi, a capo del governo tecnico in carica da inizio settembre. È proprio a Mechichi, ex ministro dell’Interno, che Lamorgese stringeva la mano il 27 luglio durante una prima visita a Tunisi, seguita da un altro incontro in presenza di Di Maio e dei due commissari UE Johansson e Varhelji a metà agosto. Di ritorno a Roma, Lamorgese annunciava che 11 milioni di euro presi dai fondi del Viminale riservati all’accoglienza verranno trasferiti alla Tunisia per potenziare il controllo delle frontiere.
Da allora la stampa tunisina si interroga sui contenuti di un accordo bilaterale che, come dopo ogni aumento notevole delle partenze, viene riconfermato ed implementato, ma mai reso pubblico. Con l’annuncio dell’istituzione di voli speciali, le richieste di chiarimento da parte della società civile si sono moltiplicate. Il Forum tunisino per i diritti economici e sociali (FTDES), principale organizzazione non governativa del paese nordafricano, ha diffuso un comunicato chiedendo al governo più trasparenza sui negoziati in corso con l’Italia. Proprio a questo proposito, insieme ad altre associazioni locali, lo FTDES ha depositato al tribunale amministrativo di Tunisi una richiesta di accesso all’informazione sul contenuto degli accordi. Il presidente Kais Saied e il governo da lui nominato, infatti, sembrano evitare accuratamente di pronunciarsi sulla questione rimpatri. L’unica dichiarazione a riguardo è arrivata durante una conferenza stampa indetta in tutta fretta lunedì 21 settembre, durante la quale il ministro degli esteri Othman Al-Jerandi ha negato l’esistenza di “pressioni da parte del governo italiano” e si è limitato a far notare che “l’espulsione dei migranti tunisini è conforme agli accordi conclusi tra i due paesi”.
L’intesa tra Italia e Tunisia si fonda su un accordo firmato a Tunisi il 5 aprile 2011 dall’allora ministro dell’Interno Roberto Maroni, dal suo corrispettivo tunisino Habib Hessib e dal premier ad interim Béji Caïd Essebsi, a capo di quel governo provvisorio impegnato nell’organizzazione delle prime elezioni parlamentari post rivoluzione. Nel corso del 2011, infatti, più di 50.000 tunisini hanno tentato di attraversare lo stretto per cercare fortuna in Italia. Basandosi su una nota verbale risalente al 1998, i due governi hanno elaborato un testo che prevedeva, a partire dal 5 aprile a mezzanotte, il rimpatrio dei migranti di nazionalità tunisina con procedure semplificate in cambio di aiuti economici ed equipaggiamento tecnico. Un accordo da considerare “caduco” per Antonio Manganella, avvocato a Tunisi specializzato in questioni migratorie, “perché mai passato tra le mani di un parlamento”.
Secondo la Costituzione tunisina del 2014, l’esecutivo è responsabile unicamente della conclusione di trattati internazionali riguardanti questioni amministrative. Per gli accordi sulle frontiere nazionali, invece, la validazione spetta al parlamento. Anche il presidente della Repubblica tunisina, è scritto nell’articolo 77, ha il diritto di ratificare i trattati internazionali. Dato che il paese attende ancora l’istituzione della sua Corte Costituzionale, questo gomitolo legislativo non è mai stato districato: per la legge tunisina, ha validità un accordo internazionale passato per le mani un governo e non per quelle di un organo eletto? “Proprio in questo contesto caotico si situa il trattato bilaterale tra Italia e Tunisia. Si tratta di un’anomalia giuridica perché la sua approvazione, come è stato il caso di altre convenzioni bilaterali di questo tipo, avrebbe dovuto seguire l’iter parlamentare”, spiega Manganella. Invece, l’accordo non è neanche mai stato iscritto nella gazzetta ufficiale della Repubblica tunisina.
Di fronte ad un trattato dal contenuto così opaco, per l’avvocato “è difficile anche solo poter identificare il percorso di ratifica corretto”. E la mancanza di trasparenza non riguarda solo la Tunisia: in Italia la procedura è più chiara, ma sembra comunque non esser stata rispettata. “Qualsiasi accordo internazionale – ricorda Manganella – per legge è sottoposto all’obbligo di pubblicazione. In più, trattandosi di un accordo di natura politica, l’articolo 80 della nostra Costituzione prevede la ratifica da parte del capo dello Stato sotto riserva dell’autorizzazione del parlamento”.
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