Gabriele Del Grande
Dopo le due manifestazioni pro e contro Persepolis, per una settimana a Tunisi non si è parlato d’altro nel paese. Identità musulmana e libertà di espressione. Da un lato chi difende la libertà di espressione a tutti i costi. Dall’altro chi non tollera le offese alla religione. E in mezzo la vera partita, che è quella per il potere. L’appuntamento è per il 23 ottobre. Si elegge l’assemblea costituente, che dovrà riscrivere la costituzione e preparare entro un anno le elezioni parlamentari e presidenziali. Ma in gioco c’è molto di più della riforma della costituzione, su cui di fatto c’è già un accordo di massima tra i principali partiti. Le elezioni sono soprattutto la prima conta dei voti, che permetterà di capire il peso reale delle forze in campo. Al voto partecipano 80 partiti e più di mille liste civiche sparse in tutto il paese per un totale di oltre diecimila candidati. Ma i posti in ballo per l’assemblea costituente sono soltanto 230.
A giocarseli ci sono il partito islamico moderato del Nahda, i partiti della sinistra tunisina (Partito dei lavoratori, Polo democratico, Partito democratico progressista, Patrioti democratici, Takattol), gli ex membri del partito del deposto regime (Partito costituzionale democratico) confluiti in 47 nuovi piccoli partiti che si rifanno alla politica del padre fondatore della Tunisia moderna, il primo presidente Habib Bourghiba. E infine le centinaia di liste indipendenti, molto forti al sud dove si presentano i nomi forti delle famiglie più potenti sul territorio, ma anche a Tunisi dove ad esempio la lista dei repubblicani del vecchio presidente della lega tunisina per i diritti umani, Monsef Merzuqi, è data tra le favorite.
Liste civiche e partiti sono coinvolti in una straordinaria campagna elettorale, che in Tunisia non ha precedenti. E questa è la vera notizia. Che fa meno rumore della manifestazione dei salafiti, ma che lascia ben sperare per il futuro di questo paese. Un paese dove le stesse persone che fino a dieci mesi fa lavoravano nella clandestinità o addirittura erano in carcere per reati d’opinione, oggi girano libere nei quartieri, partecipano a dibattiti sulla politica e distribuiscono i volantini delle proprie liste.
La gente non parla d’altro, la stampa ogni giorno ritorna sul tema, apparentemente con una totale libertà d’espressione, fatto salvo l’orientamento politico delle varie testate e la necessità di formazione che hanno molti dei cronisti che fino a ieri lavoravano seguendo le veline del regime.
Ogni strada di Tunisi è divenuta un laboratorio di dialogo e confronto politico. Noi abbiamo seguito i giovani comunisti del partito dei lavoratori (Hizb el ‘Ummal) di Hama Hammami, in uno dei più grandi quartieri popolari della capitale, Mallasin. I volantini sono quelli rossi con la falce e il martello. E a distribuirli sono una ventina tra ragazzi e ragazze.
Mariam è una di loro: 26 anni, dottoranda in filosofia e centralinista full time a 450 dinari (230 euro) al mese in un call center di proprietà della francese Orange. A seguirla con una telecamera digitale c’è Ouissam, 29 anni, fotografo di Saut esh-Sha’ab (La voce del popolo), una rivista del movimento giovanile dei comunisti tunisini che circolava clandestinamente fino allo scorso gennaio e che adesso finalmente è distribuita alla luce del sole.
Con loro a fare da apripista sotto la pioggia battente tra le bancarelle del mercatino dell’usato c’è Ahmed Sessi, altro dottorando in filosofia, tesi di ricerca sull’illuminismo e la filosofia araba contemporanea. Lui, come Mariam, nei quartieri popolari c’è nato e ci vive. Vengono entrambi da Kabbaria, uno dei tanti Bronx di Tunisi. E sanno quali sono i temi che stanno a cuore alle centinaia di migliaia di persone che vivono nei sobborghi della capitale. Ahmed parla con tutti. Con i ragazzi seduti nel bar dove andavano gli sgherri di Ben Ali, con le signore al mercato, e con i ragazzi come lui. Gli dice di votare un partito che difende i lavoratori, perché il lavoro è la base della libertà.
Le reazioni sono le più diverse. C’è chi ascolta con interesse e chi gli grida di andarsene e di lasciarli in pace. Kuffar, yuhudin. Miscredenti, ebrei. Sono i commenti più frequenti di quelli che si sono fatti strumentalizzare dalla polarizzazione identitaria del discorso politico.
Gente che si sente sopraffatta dalla quantità di liste, oltre mille in tutto il paese, un centinaio solo a Tunisi. Gente che non ha un sufficiente grado di istruzione per orientarsi tra i programmi politici di riforma della costituzione dei diversi partiti e che non sa cosa credere delle false promesse dei nuovi arrivati sulla scena politica tunisina. A maggior ragione in un contesto dove la dittatura ha di fatto azzerato per 24 anni il discorso politico delle opposizioni. E allora non resta che scegliere tra il diavolo e l’acqua santa.
Tuttavia sarebbe un errore pensare che i sostenitori del Nahda siano soltanto poveri strumentalizzati dal discorso politico di chi predica la difesa dei valori dell’identità musulmana contro la miscredenza dei liberali.
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